Elezioni: non andare al mare, nonostante tutto

image_pdfimage_print

Non siamo sull’orlo del precipizio, stiamo già precipitando sul fondo che toccheremo a breve, con un impatto molto duro, e da cui non sarà facile e tanto meno scontato risollevarsi. Sembra incredibile ritrovarsi alla vigilia di un governo guidato da una formazione politica chiaramente neofascista, ma a ben guardare questa situazione era prevedibile da tempo per l’insipienza, il vuoto programmatico, il distacco dai problemi reali dei cittadini del centrosinistra e il velleitarismo della sinistra, incapace di trovare punti programmatici che uniscono rispetto a quelli che dividono, e che non sa capire quanto sia cambiata la realtà del Paese come quella internazionale.

Va però detto, senza mezzi termini, che non si può continuare a usare il termine centrosinistra per il partito PD, mediocremente progressista e che di sinistra non ha più nemmeno l’ombra. Il PD è un partito in cui ha prevalso la nomenclatura degli eredi della vecchia DC ed è un partito di centro in cui la nomenclatura dei vecchi PCI-PDS-DS, depotenziata da innumerevoli scissioni, si distingue solo per un rigoroso allineamento allo status quo. Il sindacato confederale è passato dalla fase della “cinghia di trasmissione” dei partiti a “cinghia di trasmissione” nel mondo del lavoro delle decisioni prese dai vari governi, perdendo il contatto con i problemi dei lavoratori e autonomia d’azione senza alcuna autocritica sul totale fallimento della politica dei redditi (visto che le retribuzioni dei lavoratori italiani sono le più basse d’Europa), nessuna azione incisiva contro il precariato o sulla necessaria riforma fiscale per incidere realmente sulla colossale evasione. Di questo: riforma fiscale, lavori usuranti, aumenti salariali adeguati e non di mera sussistenza, se ne parlava già quarant’anni fa, e nulla è cambiato se non in peggio. Nel lungo elenco delle formazioni della sinistra non c’è la consapevolezza di unire le idee e le forze, che non mancano, ma l’aspirazione, solo per il proprio gruppo, di uscire dalle percentuali dei prefissi telefonici della linea fissa per entrare in quelle dei cellulari. La serie televisiva del 1971-1972 “Attenti a quei due” con Tony Curtis e Roger Moore era brillante; quella di quest’anno con Renzi e Calenda è disperante, una fotografia impietosa della decadenza della politica dove basta sbraitare, sgomitare a destra e a manca, per poter raggiungere visibilità e tentare di appagare il proprio IO, senza dover rappresentare niente e nessuno se non se stessi. Il fronte del centrodestra e della destra non naviga su propria progettualità ma usufruisce dello smarrimento dell’area progressista e di sinistra più volte delusa e frustrata da una classe politica di riferimento inadeguata e non più scelta, ormai inamovibile grazie a leggi elettorali che svuotano il peso del voto ma garantiscono l’autoriproduzione in qualità di deputati e senatori di se stessi.

Se questo è sinteticamente il quadro rispetto alla prossima scadenza elettorale non c’è da stupirsi che l’astensionismo sia elevato nell’area progressista e di sinistra, e tutti lo stiamo verificando rispetto alle proprie amicizie e conoscenze, mentre la destra è galvanizzata per una vittoria che appare più che scontata. Ma la posta in gioco è elevata. Con l’affermazione di Fratelli d’Italia a capo di un governo fortemente sbilanciato a destra la svolta sarebbe epocale, una sorta di de profundis per l’Italia Repubblicana. I media, pronti a riposizionarsi rispetto ai nuovi e prevedibili equilibri istituzionali, non si sbilanciano e raramente mettono in evidenza i rischi di una svolta autoritaria che passerà, sicuramente, attraverso un arretramento di diritti civili, un utilizzo fortemente repressivo delle Forze dell’ordine nei confronti di ogni protesta sociale (del resto le Forze dell’ordine sono un granitico bacino elettorale di FdI), un asservimento totale, economico e sociale, ai poteri forti dell’attuale establishment, che potrebbe passare anche attraverso modifiche costituzionali, alimentando poi un negativo effetto domino a livello europeo.

Non si tratta di demonizzare l’avversario, ma Giorgia Meloni rappresenta, oggettivamente, una pericolosa rivincita neofascista rispetto alla svolta repubblicana del dopoguerra. Non si può sottovalutare che Giorgia Meloni ami partecipare ai congressi di Vox, formazione spagnola di estrema destra, monarchica e conservatrice che si richiama sostanzialmente alla dittatura franchista contestando il sistema autonomista varato dopo la morte del dittatore Franco. Non si possono dimenticare quelle parole assurde gridate nel microfono dalla Meloni davanti ai militanti di Vox , anche se effettivamente la scena è davvero buffa e patetica «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana. No me lo pueden quitar». Nessuno le vuole togliere niente mentre è proprio lei che vuole togliere i diritti agli altri ed è bene indignarsi per un esponente politico che in Italia presenta una “maschera di rispetto” verso la Costituzione, mentre in Spagna mostra il proprio volto, affine ai neofascisti di Vox. «Ho provato paura. Perché era un discorso pieno di odio e intolleranza verso la maggior parte delle persone della nostra società: i lavoratori, le donne, le persone Lgtb+, la sinistra. L’intenzione era polarizzare: famiglia tradizionale contro diritti Lgtb+». Così Yolanda Diaz, vicepremier spagnola e ministra del Lavoro, ha commentato in un’intervista a La Stampa (18 giugno 2022) le parole di Giorgia Meloni alla manifestazione di Vox. Secondo la vicepremier e leader della sinistra «in Spagna quello che l’ultradestra vuole è lo smantellamento del sistema pubblico delle pensioni, il taglio dei salari, colpendo le condizioni di vita della classe lavoratrice. Le loro posizioni non sono soltanto reazionarie negli aspetti etici, ma sono un gradino più rispetto al programma economico delle élite. Attaccano la rappresentanza sindacale e il ruolo delle comunità autonome, per questo dico che c’è un problema democratico».

Che fare, allora? Possiamo aprire querelle dialettiche sul fatto, più che condivisibile, che è la lotta e non il voto che garantisce un cambiamento positivo delle condizioni di vita e di lavoro, ma oggi le lotte non ci sono, soprattutto sui luoghi di lavoro ed è vero che da troppo tempo, soprattutto a sinistra, abbiamo votato il meno peggio tappandoci il naso o chiudendo gli occhi e mettendo faticosamente da parte delusione e frustrazione, ma in questa occasione il voto assume prioritariamente una valenza antifascista e non una fiducia a partiti che non la meritano. Il tanto peggio tanto meglio è una frase che non corrisponde, storicamente, al reale: il peggio alimenta solo un ulteriore peggioramento. In questa frustrante scadenza elettorale non possono esserci indicazioni di voto (anch’io non ho più riferimenti precisi), ma un voto antifascista oggi è necessario e chi condivide questa necessità troverà la scelta migliore.

Gli autori

Giovanni Vighetti

Giovanni Vighetti vive a Bussoleno ed è esponente del Movimento No Tav

Guarda gli altri post di: