1.
Nel gennaio del 1991 si seppe in piena notte che una pioggia di missili aveva cominciato a cadere su Baghdad. Ci ritrovammo in redazione, al manifesto, le facce bianche e l’animo scosso: quella era la prima guerra su larga scala, benché formalmente autorizzata dall’Onu, dopo che l’Iraq aveva proditoriamente occupato il Kuwait, che peraltro gli era appartenuto finché gli inglesi e gli americani non l’avevano ritagliato via, troppo petrolio per cederlo gratis. In più, era la prima guerra fin dal ’45 in cui l’Italia era direttamente coinvolta. Insomma eravamo sotto choc. E fu allora che Luigi Pintor, guardando nella tv il profilo degli edifici di Baghdad e i bagliori delle esplosioni, mormorò: «È un massacro». Giusto, non era una guerra in cui nobili antagonisti si sfidano a duello, nessuna guerra è nobile, e Luigi ne aveva esperienza, giovanissimo partigiano, torturato in via Romagna, sede di una banda di torturatori fascisti, fratello di un fratello, Giaime, ucciso mentre tentava di portare messaggi ai capi della Resistenza a Napoli, quando Roma era occupata dai nazisti. Quella notte Luigi ebbe il riflesso di respingere tutto quell’orrore, e si ruppe così, per lui e per molti di noi del giornale, l’automatismo che aveva retto il comunismo del Novecento: la violenza contro la violenza, quando noi sessantottini crescevamo con canzoni che dicevano «compagno, è l’ora del fucile».
Qualcuno, quella notte, disse: «Luigi ha ragione», e il manifesto uscì con in copertina un’unica, enorme parola: «Massacro». Il giornale prese una posizione, come si disse, di pacifismo assoluto, al punto che l’Asahi Shimbun, il quotidiano più diffuso in Giappone, scrisse che in Italia c’erano solo due soggetti totalmente contro la guerra: il Papa e un giornale comunista. Ma ai comunisti quella posizione non piacque gran che, gli antimperialisti, alcuni dei quali redattori del giornale, avevano un bisogno quasi fisico di schierarsi, ovviamente contro gli americani. Cioè a favore di Saddam, dittatore sadico per altro in gran parte creato dagli stessi americani in funzione anti-iraniana. E più tardi Milosevic e così via.
Eppure Luigi, che era approdato a quel grado di rifiuto della guerra, che era stato espulso dal Partito comunista perché si era schierato con Praga e contro i carri armati sovietici, aveva, nella sua memoria, come pietra miliare, una resistenza estrema che aveva il nome di Stalingrado. Non avessero resistito ai nazisti, i sovietici, oggi staremmo tutti parlando tedesco, disse più volte.
È forse per questo che quando la Russia, Putin, ha invaso l’Ucraina, il mio primo pensiero è stato: ecco, ora tutto dipende da quanto gli ucraini riusciranno a resistere. Ho avuto anche il dubbio di averlo pensato perché ero irresistibilmente attratto dal gioco della guerra, così maschile e così familiare per uno della mia generazione, cresciuto tra i racconti epici delle grandi battaglie, da Midway allo sbarco in Normandia, da Stalingrado appunto all’incredibilmente crudele assedio di Leningrado. Un gioco, certo, ma anche i capisaldi della nostra visione del mondo, la sconfitta dei fascisti e di Hitler. In fondo, quel tanto di democrazia che abbiamo lo dobbiamo sì agli eserciti alleati ma soprattutto alla Resistenza, non è vero? Così, non riesco a generalizzare: ossia sì, la guerra è sempre una catastrofe, per chiunque vi partecipi, ma non posso decidere che anche chi si difende, e resiste appunto, è dalla parte del torto. Al contrario, ha il diritto, e il dovere, di farlo. Ed è questa una distinzione che si intravede anche nel famoso articolo 11 della Costituzione, che noi stessi abbiamo impugnato, ovviamente, in tutte le guerre in cui l’Italia è stata coinvolta. Perché la Costituzione ripudia la guerra, certo, e proibisce all’Italia di usarla per «risolvere le controversie internazionali». Ma una guerra di liberazione, di resistenza?
Perciò mi sono stupito quando ho visto con quale veemenza e prontezza ogni tipo di sinistra e di pacifismo è insorto contro la fornitura di armi all’Ucraina.
2.
Per una parte di oppositori la spiegazione è chiara, è scritta sui loro striscioni e volantini: né con la NATO né con Putin. Un atteggiamento che semplicemente cancella gli ucraini, i tre milioni e mezzo costretti a fuggire e le decine di migliaia di semplici cittadini che sono accorsi ad addestrarsi alle armi. Mi sono anche vergognato, nel sentire (non “ascoltare” ma proprio “provare”) come nelle sinistre ancora esistenti mancasse l’ingrediente fondamentale della pietas, della commozione per la sorte delle comunità, delle famiglie, della gente ucraina. Si tratta del residuo di un secolo di sovrapposizione tra ragione di Stato sovietica e sorti della rivoluzione nel mondo, il veleno della realpolitik. Ma su chi confonde la Russia con l’URSS e Putin con Stalin, ha scritto un articolo definitivo Loris Campetti (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/03/15/stalin-e-ivan-il-terribile-le-bugie-della-guerra/). E comunque il nemico sono sempre gli Stati Uniti e i loro alleati, e amici sono i loro avversari, chiunque siano, un automatismo da cui ho imparato a diffidare, che spesso non funziona affatto. Ma è solo un dubbio. Specie dopo che ho assistito, a Mosca, al crollo dell’Unione Sovietica, e al funerale dell’unica vittima dei golpisti anti-Gorbaciov, quando il primo a parlare a una folla immensa, sulla piazza di fianco alla Piazza Rossa, fu l’ambasciatore degli Stati Uniti. Perché sì, i russi credevano che l’”Occidente” li avrebbe salvati dalla povertà micidiale, quella per cui sui marciapiede stendevano tovaglie pensionati della Grande Guerra Patriottica, quella di Stalingrado, che vendevano coppe di cristallo, medaglie al valore e matrioske per riuscire a sopravvivere. La Russia post-sovietica era precipitata in una crisi economica e, se posso dire, dello spirito nazionale tragica. Metterli alla mercé dei “mercati” e nelle mani dei cleptocrati che si impadronirono delle ricchezze nazionali spolpando lo Sato, fu l’errore autolesionista più grande che gli Stati Uniti, e l’Europa, commisero nell’epoca dell’euforia neoliberista, a cui nessun Emporio Armani nel centro di Mosca ha potuto rimediare.
In questi giorni mi chiedo con angoscia cosa direbbe Luigi, se fosse ancora tra noi. Perché io sono confuso. Non ho idea di quel che direbbe, ma il mio riflesso, oltre a pensare “è un massacro”, è stato di provare ammirazione per la resistenza ucraina.
Subito prima dell’attacco russo, avevo visto su Netflix (certo, fonte americana, ma che ci vogliamo fare?), un documentario intitolato Winter of fire (Inverno di fuoco), in cui si racconta cosa accadde in piazza Maidan, a Kiev, anzi Kiyv, tra l’autunno del 2013 e la primavera del 2014. Questo film è stato anche presentato a Venezia, qualche anno fa, ed è una cosa molto seria, per me illuminante. Ecco, io rincorro da più di quarant’anni ogni genere di movimento sociale e negli ultimi anni ho cercato di sapere il più possibile di Occupy Wall Street, degli Indignados spagnoli, dei turchi ribelli di Gezi Park a Istanbul, delle “primavere arabe”, tutti fenomeni che hanno in comune il fatto che ad agire era una nuova generazione. E ovunque, il centro delle ribellioni, anzi dell’insurrezione, sono state le piazze o i parchi, Tahrir al Cairo e la Puerta del Sol a Madrid, per esempio. E Maidan, la piazza centrale di Kiyv, dove si erano radunati all’inizio dei ragazzi, quelli nati dopo l’Unione Sovietica, che agitando bandiere ucraine e europee pretendevano che il presidente dell’epoca, Janukovich, la smettesse di prendere ordini da Putin e si associasse all’Unione Europea. Seguirono mesi di repressione selvaggia, di ragazzi e via via adulti morti ammazzati, arrestati, manganellati e gassati, e però la piazza non cedette mai, si era auto-organizzata per il cibo e la difesa e non rispose mai con armi da fuoco, sembrava una specie di Genova al quadrato, molta più resistenza e molta più violenza da parte del potere. Finì che Janukovich salì su un elicottero in piena notte e andò a chiedere asilo politico a Mosca, le forze della repressione furono sciolte, la Costituzione riscritta, un nuovo presidente fu eletto, e poi ancora fino all’attuale. Guardatelo, questo film, se solo per un momento riuscite a deporre i pregiudizi, quelli che al governo in Ucraina è “una banda di nazisti drogati”, come ha detto Putin. Già, i partiti di estrema destra in Ucraina non sono nemmeno riusciti a entrare in Parlamento, qualcosa vorrà dire.
Bene, la invasione della Crimea avvenne dopo Maidan, e così le insurrezioni separatiste nel Donbass. La Russia, Putin, non avevano sopportato che l’Ucraina volesse diventare davvero indipendente, addirittura europea. Ed è vero, nel Donbass, anzi proprio ora a Mariupol, agisce il Battaglione Azov, in cui vi sono ultranazionalisti, ed è vero, a Odessa qualche decina di separatisti morirono bruciati vivi o linciati. Gli orrori. Ma l’invasione russa è cominciata nel 2014 e probabilmente è per questo che il governo ucraino ha pensato di chiedere alla NATO se non volesse un nuovo socio, e di sicuro sarebbe stato molto meglio concedere alle regioni del Donbass l’autonomia che era stata sancita dagli accordi di Minsk. Invece si è compiuto un passo dopo l’altro verso l’abisso.
Ma c’è un’altra parte, dell’opinione che è insorta contro le forniture di armi all’Ucraina, molto più stimabile. L’argomento è stato (cito Tomaso Montanari all’indomani dell’inizio della guerra: https://volerelaluna.it/controcanto/2022/03/02/armi-allucraina/): noi, Europa e NATO, proviamo a fare la guerra “attraverso il corpo” degli ucraini, pur essendo la loro resa “ineluttabile”. Affermazioni a cui, un mese dopo (e con il senno di poi), farei due obiezioni: la prima è che gli ucraini non sono obbligati da noi, a combattere, anzi; la seconda: la resa non era affatto ineluttabile, anzi. Ora, la NATO, l’Europa, hanno fornito armi che richiedono braccia e gambe umane, per funzionare, non missili ma armi anticarro, “stinger” a spalla che sono in grado di abbattere velivoli, cose così. E allora? C’è perfino chi suggerisce agli ucraini di arrendersi, di farsi uccidere, pur di non infettare la loro storia e cultura con il virus della guerra. C’è chi dice che, prima di dar loro le armi, bisognerebbe proclamare un cessate il fuoco. Giusto, ma chi costringe Putin a farlo, se non il logoramento del suo esercito, impantanato in una guerra di trincee e di azioni partigiane? Il mio vecchio amico Tommaso Fattori ha pubblicato un documento del Max Planck Institute, se non ricordo male, organismo molto autorevole, in cui si dice sostanzialmente che solo la diplomazia e la trattativa possono far tacere le armi, e prima di tutto serve una tregua. Ma non è quel che l’Ucraina va chiedendo da un mese? Temo che ci sia un irrealismo prepotente, in queste posizioni, che servono principalmente a noi, alle nostre coscienze pacifiste, e di nuovo con scarsa empatia, diciamo così, con le sofferenze del popolo ucraino.
3.
E dunque? Va bene la NATO?
Vogliamo provare a fare un altro gioco, che si chiama “ucronia”, ovvero immaginare cosa sarebbe successo se un certo evento storico fosse andato all’opposto di come è andato? È solo per amore di ragionamento e di immaginazione. Poniamo che Francia e Gran Bretagna, negli anni Trenta, oltre a permettere ai loro cittadini di arruolarsi nelle brigate internazionali, avessero fornito armi alla repubblica spagnola aggredita da un branco di generali sostenuti da Hitler e Mussolini (che le armi invece le fornirono, e anche soldati). E poniamo che l’Unione Sovietica avesse fornito ai repubblicani più armi e meno funzionari incaricati di far prevalere con ogni mezzo un partito comunista debole contro anarchici e comunisti indipendenti. Poniamo quindi che Franco fosse stato battuto e in Spagna avesse vinto la repubblica. Come sarebbe stata la storia d’Europa? Hitler e Mussolini, sconfitti, avrebbero tirato diritto per la strada che condusse alla seconda guerra mondiale? Stalin avrebbe firmato con la Germania il patto grazie al quale si prese mezza Polonia, sterminando i militari di quel Paese e illudendosi che i nazisti non avrebbero invaso l’Unione Sovietica?
No, la NATO non va bene per niente, e l’aumento delle spese militari e del ruolo di una alleanza nata in un’altra epoca e che ha partecipato alla guerra in Afghanistan, per esempio, sono una minaccia sul nostro futuro. Ma la guerra si sconfigge cancellandone le premesse, per esempio un’alleanza militare di quel genere, la si sconfigge ricercando comunque la via della trattativa, anche contro un avversario che non sembra sentire da quell’orecchio, come Putin, e la si cancella nel dopo guerra assicurando pace, benessere e sicurezza a tutti i popoli, ai cittadini del mondo, come diceva Carlo Rosselli, prescindendo dalle nazionalità. Il mercato capitalista che regge tutto, si fa per dire, non è in grado di prevenire e curare i mali della guerra, al contrario la promuove, seminando povertà e disastro ambientale e accaparramento privato di beni essenziali come l’acqua.
Ma nel frattempo gli ucraini, come i kurdi in Siria, il loro esercito di uomini e donne che si avvalsero della copertura aerea degli Stati Uniti per sconfiggere Daesh e a cui molte sinistre italiane fornirono non armi, che non avevano, ma persone che volevano combattere; o gli indigeni del Messico, che insorsero con i fucili in spalla e annunciando che il loro era il primo esercito che negava se stesso come esercito; tutti questi e molti altri, nel mondo, hanno il diritto di difendere la loro stessa esistenza. Resistere è un diritto umano.
Condivido tutto. Sono una compagna del Pdup, e sto soffrendo per la solitudine in cui mi hanno cacciata i compagni della sinistra e le femministe. Grazie.
Non condivido che il penultimo capoverso; peccato, perchè di Sullo ho sempre condiviso OGNI analisi sin da prima dei tempi di Carta. Motivo? Si comincia col limitarsi a dubbi e rifugiarsi in orgogliose memorie, dando per scontato che di fronte alla retorica e alla frammentarietà delle notizie siano queste le nostre uniche “armi” di analisi. Si prosegue dando per scontato che la complessità ci impedisca di leggere i fatti, con la pretesa dimostrazione fornita dagli annacquamenti che il Potere impone alla Verità. E’ a quel punto che si abbandona davvero un popolo alla sua sorte più dolorosa: perchè non si lascia all’umanità delle persone il posto prioritario che le compete. Pregiudizi “storici” e geopolitica affondano i loro scarponi. Il Potere ne approfitta e si fa prepotenza. Quando è guerra, è tardi per darci consapevolezza. E ancor più ci vien da rifugiarci nei pregiudizi. Litigando coi vicini d’idee per i loro, di pregiudizi. E non meravigliandoci più se ci pare d’ “informarci” su netflix. Ma le altre fonti, sono tutte putiniane secondo voi, perdio???
Condivido in pieno la ricostruzione storica di quanto accaduto e il punto di vista e le conclusioni di Sullo.
Un (fu?) vecchio amico di Sullo dice questo:
https://www.facebook.com/ignacio.ramonet/posts/5232015703487660
E poi ci si lamenta degli opposti estremismi….