Oltre la guerra: ripensare l’Europa e l’Occidente

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Di fronte alla catastrofe umanitaria che si sta delineando in Ucraina, possibile prologo a una catastrofe di livello mondiale (nella consapevolezza che lo spettro di un disastroso conflitto nucleare non è più una lontana ipotesi, ma un qualcosa di terribilmente concreto), di fronte all’avventura neoimperialista e neonazionalista dello zar russo frutto anche delle scelte deleterie fatte dall’Occidente dopo il crollo dell’impero sovietico (scelte basate sulla ingenua quanto arrogante presunzione che si potesse andare verso un assetto mondiale unipolare, con in testa la bandiera a stelle e strisce), in queste ore drammatiche ci possono tornare utili le riflessioni, le analisi, di un grande intellettuale scomparso proprio un anno fa, Franco Cassano, a partire dal suo saggio più importante: Il pensiero meridiano. Cassano ci invitava a riscoprire le radici mediterranee dell’Europa e lo faceva rifacendosi alle idee di Albert Camus e Pierpaolo Pasolini. Lo faceva invitando a recuperare «il cuore greco della nostra civiltà, quell’amore classico per il cosmo che è stato infranto dalla tradizione ebraico-cristiana», nella consapevolezza che «la natura umana è parte di una natura più grande». Ma soprattutto nella convinzione che nei secoli l’Europa ha volto lo sguardo sempre più a Nord, come mi disse in una intervista che gli feci proprio dopo l’uscita de Il pensiero meridiano. A partire dalla scoperta dell’America, portatrice di uno dei grandi genocidi della storia, e imprinting di quegli Stati Uniti, nati alcuni secoli dopo, dove schiavismo, colonialismo e imperialismo si sono affermati con le conseguenza che abbiamo visto, a fronte, paradossalmente, di un Paese dove si sono sviluppati, ma forse proprio come contrappeso, grandi movimenti novecenteschi, da quello operaio degli IWW alle contestazioni studentesche prologo del ’68 mondiale.

Dunque Franco Cassano venticinque anni fa ‒ il testo è del 1997 ‒ riteneva fondamentale ripensare l’Occidente, soprattutto valorizzare un’Europa mediterranea, mettendo da parte il delirio di onnipotenza e qualunque mira egemonica, ponendo al centro il rapporto con la natura, mettendo da parte «il protagonismo dello spirito, il suo autonomizzarsi e contrapporsi alla natura» (parole profetiche visto ciò che si è palesato negli anni successivi e si sta palesando oggi con il rilancio proprio in questi mesi ‒ e in queste ore ‒ di politiche energetiche disastrose), evidenziando l’inconsistenza e la falsità della decantata “transizione ecologica”.

E anche Slavoj Zizek, altro pensatore controcorrente, ha sottolineato la necessità di guardare al Sud per sottrarsi alle dinamiche che ci hanno condotto a questa situazione. Cioè a dinamiche che abbiamo visto ripetersi in questi ultimi trent’anni per cui si foraggia, si fanno affari con il satrapo di turno ‒ si chiami Saddam, Gheddafi o Putin ‒ e poi lo si scarica nel gioco delle alleanze mutevoli, del business e in ottemperanza alla logica del profitto (con la differenza, questa volta, che di fronte c’è un imperialismo agguerrito e con una micidiale arsenale nucleare). A dinamiche che hanno portato non al logico scioglimento della Nato, dato che la guerra fredda era terminata con la scomparsa dello scenario formatosi dopo il secondo conflitto mondiale, ma al suo rafforzamento e alla sua miope e suicida estensione, con la graduale annessione di buona parte dell’Est europeo, ignorando che Paesi da poco tempo fuori dal dominio totalitario, dopo secoli di oppressione (prima zarista poi del cosiddetto “socialismo reale”), inevitabilmente avrebbero visto affermarsi un nazionalismo e un revanscismo che si è dispiegato sotto i nostri occhi, con gli esempi polacchi e ungheresi, dove si sono insediati esecutivi reazionari, omofobi e razzisti. Un nazionalismo ampiamente presente anche in Ucraina che in questi giorni si è evidenziato di fronte alla criminale aggressione putiniana.

Paesi che respingono alle loro frontiere le migliaia di migranti anche loro in fuga da guerre e oppressione, spesso conseguenza delle politiche delle varie potenze, ma che hanno il “torto” di avere la pelle scura, per cui proprio in queste ore assistiamo a un’umanità in fuga dalle bombe russe, ma che trova accoglienza perché ha la pelle bianca, non è afgana, curda o pakistana.

La guerra ha portato le piazze di tutto il mondo a riempirsi. Manifestazioni importanti, soprattutto quelle che coraggiosamente si sono verificate nella Russia sotto il giogo del regime putiniano, ma che non ci possono far dimenticare come quasi vent’anni fa un’altra guerra criminale, basata sulla menzogna, vide scendere nelle piazze quella che fu definita “la seconda potenzia mondiale”, la quale però dovette subire una sconfitta pesantissima di cui portiamo ancora le conseguenze. Ma del resto seppur con la sensazione di impotenza di fronte al gioco perverso del “trono di spade” a cui assistiamo, non abbiamo altra scelta se non quella di premere, gridare affinché una politica non di potenza, ma appunto che si rifaccia a quella tradizione di pensiero di cui parlava Cassano, possa farsi strada tra nazionalismi, imperialismi e corsa suicida all’armamento.

Gli autori

Sergio Sinigaglia

Sergio Sinigaglia (Ancona, 1954) ha svolto le professioni di libraio e successivamente di giornalista in una società di comunicazione. Dal 1976 al 1978 è stato redattore a Roma del quotidiano Lotta Continua, organizzazione dove ha militato sin dal 1970. A partire dalla metà degli anni Novanta ha collaborato con il mensile Una città (1995-99), il settimanale Carta Cantieri Sociali (1998-2010) e i quotidiani Il Centro (1995) e il Manifesto (2010-2014). Dal 2018 al 2021 ha scritto commenti su temi di attualità e recensioni sul sito Global Project. Attualmente scrive sul trimestrale Malamente.

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