Il tramonto del neoliberismo?

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Forse non si riflette mai abbastanza sul trauma che ha rappresentato per l’intera civiltà occidentale l’“eccesso di potere”, così lo chiamava Foucault, sperimentato con il totalitarismo novecentesco, la fuoriuscita dal quale ha dapprima quasi fornito una spinta inerziale alla rifondazione democratica degli Stati per tradursi più tardi, con il neoliberismo, in un ambizioso progetto di civiltà, con a fondamento non più la politica ma l’economia.

Probabile, come suggerisce Massimo De Carolis nel suo saggio Il rovescio della libertà. Tramonto del neoliberismo e disagio della civiltà, Quodlibet (2017), che questo fosco precedente storico sia anche la chiave del rapido successo in pochi decenni del nuovo metodo di governo globale, giacché in poco più di un trentennio il regime neoliberista ha sbaragliato il campo da ogni opposizione degna di questo nome, individuando negli individui atomizzati la premessa per ogni libertà e felicità presente e futura. Ovviamente non disdegnando l’utilizzo sempre più massiccio di dispositivi di individualizzazione su larga scala, che pubblicità e mode si sono premurate di diffondere in ogni dove. Il “distanziamento sociale” di questi mesi ne potrebbe rappresentare, nella sua tragicità, il parodistico compimento.

Peccato però che la scelta nel senso dell’individuo sia stata declinata esclusivamente in chiave economica, assumendo un’antropologia unidimensionale e un individuo, in continuità col liberismo classico, vocato per natura a un’unica relazione, il do ut des, dentro la cornice e le coordinate del mercato.

È sempre stato questo, forse, il tarlo interno che ha accompagnato la teoria e poi la prassi neoliberista: il continuo ricorso alla decisione politica, resa con il termine neutro di riforma, sempre giustificata per rimuovere le incrostazioni e le sovrastrutture collettivistiche, di fatto per riattivare di continuo quell’homo oeconomicus quale unica forma di vita in grado di riprodursi nell’habitat neoliberista, i cui input sono sempre e solo l’utile e la competizione evidentemente non così naturali come si lascia intendere.

Ne è seguita una lenta inevitabile inversione, che sempre De Carolis descrive come “tramonto”. Quel sogno di libertà via via è trasmutato in incubo, vuoi per le promesse non mantenute, vuoi per le sofferenze sempre più acute inferte alle singolarità ridotte nel tempo a semplici produttori, poi consumatori e da ultimo colpevoli di debito. E, chissà, anche di virus nel caso di una seconda ondata… Ma soprattutto per la devastazione sistematica dello spazio politico e sociale e dei beni collettivi ad essi collegati come sanità, istruzione e lavoro. Il benessere privato promesso, e solo in parte realizzato, si è tradotto in infelicità pubblica, quella sì realizzata pienamente.

Quella stessa razionalità neoliberista produce poi un’usura della terra, basandosi sulla devastazione sistematica degli ecosistemi e la distruzione della biodiversità mai così catastrofica, con l’estinzione del 60% delle specie viventi, secondo un documento del Wwf, che è poi la vera posta in gioco dell’attuale crisi sanitaria da coronavirus.

La sovranità di mercato globale, che l’emergenza pandemica potrebbe condurre a forme parossistiche, ha come caratteristica peculiare quella di spostare in avanti i termini della legittimità: non più a monte delle procedure e pratiche democratiche, bensì a valle dell’efficacia delle misure adottate, dove conta meno o non conta affatto la forma autorizzativa democratica e molto il risultato conseguito. Si comprende come il mercato e le sue leggi, corroborate da tecnologie orientate – e smettiamola una buona volta di parlare di tecnica in senso neutro! –, non costituiscano una pietra di inciampo per la democrazia ma il suo più pericoloso e temibile avversario.

Gli autori

Salvatore Bianco

Salvatore Bianco, già insegnante di storia e filosofia e poi funzionario presso un ministero, attualmente collabora con la CGIL di Bologna.

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