1.
Il risultato delle elezioni regionali in Emilia e Romagna ha inevitabilmente (e giustamente) innescato un dibattito aspro sulla situazione della sinistra nel nostro Paese. Le valutazioni sono state altrettanto inevitabilmente diverse a seconda se hanno messo in primo piano l’obiettivo di fermare la destra salviniana (aspetto politico-istituzionale) (https://volerelaluna.it/commenti/2020/01/28/miracolo-a-bologna-il-giorno-dopo/) oppure quello di costruire un progetto (e programma) di contrasto alla deriva liberista in campo economico, sociale e ambientale (aspetto politico-sociale) (https://volerelaluna.it/controcanto/2020/01/31/emilia-romagna-siamo-proprio-sicuri-che-abbia-vinto-la-sinistra/).
Ovviamente queste differenti valutazioni si sono intrecciate con diversi apprezzamenti del movimento delle Sardine che si erano già in parte espressi precedentemente: qualcuno ha approvato la capacità di mobilitazione contro la destra salviniana, qualcun altro ha messo in evidenza la loro funzionalità (subalterna) agli obiettivi del PD, altri ancora hanno rimproverato la mancanza di una visione politica più complessiva (https://volerelaluna.it/talpe/2020/01/21/le-sardine-e-la-svolta-politica-necessaria/).
Nella discussione sono emersi bilanci diversi anche per le prestazioni elettorali delle organizzazioni che si collocano soggettivamente a sinistra del PD: positivo per coloro che come LeU si limitano a ricavarsi un ruolo di alleanza critica col PD, negativo per chi come Rifondazione comunista (o come Potere al popolo) punta a costruire un’alternativa globale al PD stesso.
Se si esce tuttavia, anche solo per un momento, dalla difesa del proprio punto di vista o della propria proposta politica, non si può non prendere atto della situazione della sinistra nel nostro Paese: essa è inesistente sul piano politico ed è debolissima anche su quello sociale. Non esiste nessuna organizzazione, infatti, che possa dire di organizzare e alimentare un protagonismo politico dei lavoratori, dei giovani, delle donne, degli immigrati a livello nazionale semplicemente perché questo protagonismo in senso politico non c’è al di là di singoli episodi (e non c’è a maggior ragione in campo elettorale). Né sul piano sociale esistono organizzazioni capaci di strutturare un’alternativa anche solo embrionale all’egemonia liberista sull’economia, sulla società e sulla cultura: la desolante debolezza contrattuale dei sindacati e della CGIL in primo luogo, la loro rassegnazione di fronte all’adesione di parte significativa dei loro iscritti alle proposte della Lega e della destra sono segnali evidenti di questa situazione.
Non può sorprendere, quindi, che i movimenti esistenti – Sardine e Friday for Future –, che coinvolgono positivamente molti giovani, esprimano prevalentemente sentimenti di sinistra, ma non progetti, programmi e men che meno visioni globali anticapitalistiche. Con questo non si vuol dire che i sentimenti siano poca cosa, ma da soli non possono essere la base sulla quale organizzare un protagonismo politico di massa.
Sono evidenti, infine, anche le differenze generazionali che si possono osservare attraverso la partecipazione alle iniziative di discussione, di confronto, di mobilitazione e di lotta: le iniziative della sinistra (politica e sindacale) vedono una prevalenza di anziani; quelle dei movimenti precedentemente ricordati registrano una partecipazione maggioritaria di giovanissimi e di giovani. Le generazioni intermedie dei quaranta-cinquantenni sono assenti o comunque minoritarie. Questo fatto evidenzia in modo drammatico la cesura politica che a sinistra si è determinata dopo le sconfitte sociali e politiche degli anni ’80 e ’90 quando i cinquantenni e i quarantenni di oggi erano giovani; ma chiarisce anche perché è difficile per una sinistra di anziani costruire un dialogo politico efficace con i movimenti attuali dei giovani e giovanissimi.
2.
Se questo bilancio è corretto, allora la nostra sinistra di vecchiette e vecchietti, invece di abbandonarsi a sentimenti di nostalgia per un passato glorioso oppure di “disperanza” per un presente politico sul quale non si riesce a operare efficacemente (https://volerelaluna.it/societa/2020/02/05/la-disperanza-guardare-al-futuro-con-una-disperazione-lucida-e-feconda/), potrebbe costruire un programma essenziale per la sopravvivenza immediata di una proposta di sinistra anticapitalista e per un suo sviluppo futuro da affidare ai giovani.
Al primo posto sta la necessità di favorire e di aiutare a rinascere e a consolidarsi una sinistra sociale, a partire da un lavoro di inchiesta nei territori, per cercare di rispondere alle domande che emergono da una società che vede deperire lo Stato sociale e crescere le disuguaglianze di classe. Questa presenza nei territori deve favorire anche la costruzione di reti tra i vari soggetti che a diverso titolo già sono presenti in modo da permettere una riflessione politica sulle pratiche sociali in atto.
Va da sé che questa priorità fa scivolare in secondo piano l’esigenza di una presenza in campo elettorale, ma non quella di una battaglia contro ogni modalità di restrizione della rappresentanza politica istituzionale. Si tratta di organizzare la mobilitazione contro ogni forma implicita ed esplicita di meccanismi maggioritari: all’interno di questo quadro va avviata una campagna per ristabilire nei grandi centri il sistema proporzionale nelle elezioni comunali, che sono realisticamente il primo terreno che, a determinate condizioni, può in futuro essere utilizzato per ricostruire una rappresentanza istituzionale della sinistra. Questo obiettivo va perseguito non solo per il suo valore democratico nel campo della rappresentanza, ma anche perché esso può ridare un ruolo politico ai consigli comunali dei grandi centri sia per favorire un maggior controllo democratico sulla gestione amministrativa, sia per permettere alle forze politiche di maggioranza e di opposizione di formare i propri quadri amministrativi. In alcune grandi città, come ad esempio Torino, non sono più oggi le amministrazioni comunali a decidere la loro politica in campo sociale o culturale, ma le fondazioni bancarie che finanziano direttamente questi interventi arrogandosi il diritto di stabilirne gli obiettivi e le modalità di sviluppo. Non può sfuggire, però, a un osservatore attento che questi flussi finanziari sono largamente inferiori a quelli che dal comune vanno alle banche collegate alle stesse fondazioni per pagare tassi fuori mercato sui mutui e le anticipazioni di cassa indispensabili al comune stesso per il suo normale funzionamento e il pagamento degli stipendi. In sostanza alcune grandi città non sono amministrate per molti importanti aspetti da sindaci e giunte eletti col sistema maggioritario, ma da consigli di amministrazione di fondazione bancarie che non hanno ricevuto nessun mandato elettorale. Il sistema maggioritario serve solo a far velo su questa realtà negativa e non permette nessun controllo democratico sulle scelte amministrative che vengono fatte.
Se però le osservazioni sul gap generazionale interno alla sinistra, fatte in precedenza, hanno un qualche fondamento c’è un terzo compito che la nostra sinistra di anziani deve assolutamente assolvere: è quello del racconto, o come si dice oggi della narrazione, delle lotte e delle conquiste che hanno visto protagonisti i lavoratori, le donne e i giovani negli anni ’70 nel nostro Paese e in Europa. Per questo servono interviste, filmati, pubblicazioni che parlino ai giovani di oggi, smontando l’interpretazione oggi prevalente, che vede in quel periodo solo i cosiddetti “anni di piombo” per tacere gli aspetti positivi e per nascondere le azioni golpiste e antidemocratiche di una parte consistente dell’apparato di Stato e dello schieramento politico di allora. Servono quindi testimonianze personali non per alimentare nostalgie e narcisismi, ma per proporre piuttosto un bilancio critico che distingua ciò che è stato chiaramente positivo e almeno in parte riproponibile oggi, da quanto è stato sbagliato o comunque non più attuale.
Entro questi limiti, dunque, c’è molto da fare oltre al confronto sui risultati elettorali passati e futuri.