Ogni progetto politico minimamente civile deve partire dal rifiuto netto e rigoroso di ogni atto disumano. E la disumanità avanza quando si diffondono parole di odio, in un clima di paura, quando, in nome della sicurezza, si va contro ai più elementari princìpi di solidarietà, di libertà, di democrazia, quando si individua come nemico chi viene da altri Paesi o vive ai margini della società, mentre crescono i “negazionisti” dei crimini tremendi, che abbiamo il dovere – morale, civile, politico – di ricordare perché costituiscono un monito continuo e pressante a non ricadere in tali abiezioni. Si tratta di un processo lento e progressivo, che può portare a quelle conseguenze estreme (lo sterminio di interi popoli, di milioni di persone). Perciò ritengo molto grave che l’attuale governo, a cui va attribuito il merito iniziale di avere temporaneamente sbarrato la strada al “potere assoluto” di Salvini, non sia stato in grado fino ad oggi – a molti mesi dal suo insediamento – di eliminare i decreti sicurezza, poi convertiti in legge, che sono una prima vergognosa tappa sulla strada della disumanità (tanto che si continuano a fare le multe alle ONG che salvano le persone e ai lavoratori / alle lavoratrici che fanno azioni di protesta contro provvedimenti ingiusti). È il movimento delle “sardine” che ha posto un freno a tale processo e ha contrapposto l’“umano” al “disumano”, togliendo spazio ai seminatori di odio che imperversavano, e continuano a imperversare, sui media.
Ciò naturalmente costituisce una base di partenza indispensabile, ma non è sufficiente per costruire le risposte che un progetto politico seriamente di sinistra, all’altezza dei tempi, dovrebbe dare (riguardo ai problemi dell’ambiente, della crisi climatica, del precariato, del venir meno per i giovani di prospettive di lavoro e di futuro, del prevalere degli interessi affaristici di pochi sui bisogni della collettività, di uno sviluppo economico basato sulle logiche neo-liberiste etc.). Certo, per costruire un progetto del genere è necessario che la sinistra – l’unica a poterlo fare – esista, sia visibile e autorevole, esprima analisi, elaborazioni, programmi, si ponga in rapporto con le situazioni conflittuali all’interno della società, mostrandosi in grado di parlare al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. E la sinistra oggi in Italia è desaparecida, in quanto ridotta alle residue testimonianze di chi rimane in buona parte attaccato ai simboli e alle bandiere, anche gloriose, di un tempo che fu, e si rinchiude in un angolo con comportamenti autoreferenziali, insofferenti dei rapporti con chi assume posizioni diverse, o perché è passata, armi e bagagli, allo schieramento di quanti/e accettano il mondo così com’è, cercando, nel migliore dei casi, di mitigarne gli effetti disastrosi.
Vi sono, in varie situazioni (anche nella mia Firenze), esperienze che manifestano una certa vitalità, cercando faticosamente di unire ciò che resta del vecchio sistema a prospettive di rinnovamento nei metodi e nei contenuti. Sicuramente, per ricostruire la sinistra che non c’è, occorre tener conto di tali esperienze, cogliendone tutte le valenze positive, ma bisogna anche andare oltre, liberandoci dagli intralci che le vecchie irriducibili formazioni partitiche producono, ponendoci in rapporto – che è anche capacità di ascolto – con le persone che animano i movimenti attuali – i/le giovani “Fridays for future”, le donne di “Non una di meno”, per citare i più rilevanti. È necessario un progetto politico che ricomponga istanze parziali, portate avanti con determinazione da vari soggetti, e le colleghi a elaborazioni che vengono dalla storia del movimento operaio, con al centro i princìpi della solidarietà e dell’uguaglianza, riproponendo la prospettiva del socialismo (di un socialismo che rivaluta il pubblico rispetto al privato, che dà nuovamente valore alla programmazione economica, che assume i beni comuni e la democrazia partecipativa come parti principali dei propri programmi, che contrasta decisamente le politiche di guerra e la produzione e il commercio delle armi, che sviluppa iniziative di accoglienza e d’inclusione nei confronti dei/delle migranti e di chi è in condizione di emarginazione). Il termine socialismo è completamente scomparso dai nostri linguaggi, mentre, ironia degli eventi umani, appare in zone da cui sembrava messo ai margini (gli Stati Uniti), e anche, in parte, nei programmi dei laburisti britannici di Corbyn (sconfitti alle recenti elezioni, ma con percentuali che per noi sono un miraggio).
In effetti, l’Italia attualmente è l’unico, o quasi, Paese europeo, in cui la sinistra non ha voce in capitolo (in alcune situazioni – Spagna e Portogallo – è addirittura al governo, in altre comunque – ad esempio la Gran Bretagna – costituisce un’opposizione consistente). La sinistra è ridotta a un ricordo del passato, o a una presenza evanescente priva di una sponda e di un interlocutore valido nei movimenti, che pur continuano, appunto, com’è nella loro natura, a “muoversi” su obiettivi specifici e a produrre analisi, denuncie, proteste, vertenze, elaborazioni, progetti alternativi. Ricostruire la sinistra è quindi un obiettivo prioritario: una sinistra che non sia un assemblaggio elettorale, scarsamente attraente per l’elettorato e comunque destinato a scompaginarsi dopo le elezioni, ma abbia, anche al di fuori di tale scadenza, una sua visione della società, un suo progetto di trasformazione di quella attuale, una sua idea di futuro capace di entrare in comunicazione con la ragione e i sentimenti delle persone.
È un percorso difficile, che finora non siamo riusciti ad avviare. Comunque, vale la pena di provarci ancora. Tenere insieme il necessario contrasto al fascio-leghismo (per cui occorrono schieramenti ampi) e la costruzione di un soggetto politico nuovo (che nasce anche dalla convinzione che le formazioni tradizionali più consistenti, con la loro accettazione delle politiche neo-liberiste, hanno favorito lo sviluppo del distacco dalla politica da un lato e l’aumento dei fascio-leghisti dall’altro) sembra la quadratura del cerchio. Eppure è l’unica strada che può portare davvero a una presenza, visibile ed efficace, della sinistra nel nostro Paese. Il risultato delle elezioni in Emilia-Romagna ha fatto tirare un respiro di sollievo perché l’attacco di Salvini alla democrazia costituzionale nata dalla Resistenza è stato respinto. Ma il pericolo è ancora dietro l’angolo e si fa sempre più urgente che si inizi il percorso per ridare presenza attiva e visibilità alla sinistra nel nostro Paese. La stagione elettorale che si prospetta non è la più adatta per ricostruire un soggetto politico con le modalità che ho indicato, perché un appuntamento del genere comporta la necessità di compromessi fra il vecchio e il nuovo (per evitare, ad esempio, che si crei una grande confusione negli elettori con più liste a sinistra) e implica un problema di alleanze. E, d’altra parte, non si può ignorare la scadenza delle elezioni, perché il tirarsi indietro, l’essere “astensionisti”, renderebbe ancora più desaparecida la sinistra in via di ricostruzione. Occorre cercare di uscire dalla morsa che rischia di stritolare i nostri tentativi, quella che ha da un lato l’esigenza di fare diga contro il “disumano” e dall’altro l’ansia di affermare la propria identità delle più o meno piccole formazioni che sopravvivono a sinistra.
Ma l’iniziativa deve svilupparsi anche sul terreno culturale: da tempo è largamente egemone nella società il pensiero della destra, che influenza pure il linguaggio e che si traduce in un senso comune in cui predomina il timore dell’invasione – ad opera, appunto, dei “clandestini” –, della sostituzione etnica, della pericolosità dello straniero. Il segretario del PD Zingaretti, in una recente presa di posizione, mostra di essere influenzato dalla destra salviniana quando afferma che Salvini sa individuare i problemi, ma non le soluzioni. L’iniziativa di chi vuole ricostruire la sinistra deve, inoltre, tendere a creare comunità, a costruire spazi comuni e condivisi, a riscoprire il senso del mutuo soccorso (le società di mutuo soccorso ebbero un ruolo essenziale nell”800 al momento della nascita del movimento operaio). Un aspetto importante di questo processo è indubbiamente il recupero della dimensione dell’utopia, da tempo abbandonata in nome della concretezza del governare, quell’utopia che costituisce l’orizzonte verso cui camminare, che rimane lontano, per quanto si proceda, ma che ti spinge a continuare il cammino, come scrive Eduardo Galeano.
Il processo di ricostruzione ha molte facce. La difficoltà nel portarlo avanti è che devono coesistere, intrecciarsi l’una all’altra, non avere tempi diversi. Riassumendo in modo sintetico le osservazioni esposte, occorre che, contemporaneamente, chi si pone l’obbiettivo di rendere nuovamente viva, e vitale, la sinistra:
– assuma come assi fondamentali irrinunciabili alcuni contenuti che hanno la loro matrice nella Costituzione nata dalla Resistenza (l’antifascismo, l’antirazzismo, il ripudio della guerra in quanto strumento di offesa agli altri popoli) e l’antiliberismo, contrapponendosi in proposito al pensiero dominante in Italia e in Europa;
– si ponga in rapporto con le persone impegnate nei movimenti, fornendo loro un punto di riferimento;
– contamini le proprie elaborazioni con i “saperi sociali” maturati in quei movimenti;
– abbia presenti le varie situazioni di conflitto esistenti nel Paese e ne prenda spunti e temi;
– faccia proprio ciò che è stato alla base del concetto stesso di sinistra, e cioè l’egualitarismo;
– riproponga la prospettiva socialista e recuperi il pensiero di chi, come Gramsci, ha compiuto elaborazioni fondamentali per il movimento operaio;
– promuova la democrazia partecipativa;
– operi per sviluppare comunità locali, spazi comuni, iniziative di mutuo soccorso, specialmente nelle zone dove le condizioni di emarginazione producono timore del diverso e paura che si traduce in rabbia,
– agisca anche sul piano culturale, contrastando l’egemonia attuale nella società della cultura di destra (populista, sovranista, liberista),
– affronti le questioni internazionali in un’ottica di pace e di solidarietà con i popoli che lottano per l’indipendenza, per l’autonomia, per affermare i loro diritti (civili, sociali, politici);
– consideri come prioritaria la questione dell’ambiente e dell’emergenza climatica (posta con energia dai/dalle giovani di “Fridays for future”);
– dia il massimo rilievo alla lotta contro la violenza maschile sulle donne e agli altri temi al centro dell’azione del movimento femminista, “Non una di meno” in primo luogo;
– presti grande attenzione ai diritti civili e alla completa attuazione del principio della laicità dello Stato.
Mettere insieme tutti questi aspetti non è certo un’impresa facile, ma si tratta di un percorso obbligato, se si vuole davvero “resuscitare” la sinistra (in modo che non costituisca, nel nostro Paese, soltanto un oggetto di ricerca storica o di incontri di “reduci” che rievocano il bel tempo andato, facendo un po’ di amarcord).