C’è poco da esultare in Emilia Romagna

image_pdfimage_print

Si è conclusa la peggiore campagna elettorale della storia: due candidati e due coalizioni minestrone che hanno basato il loro affannato e adolescenziale strepitare non su programmi e idee, ma esclusivamente sulla paura. Una, attraverso il suo ingombrante leader (il vero competitore di Bonaccini), ha speculato sulla paura dell’immigrato e del diverso; l’altro sulla paura di Salvini, dell’odio e del ritorno del fascismo.

Un quadro davvero desolante e inquietante, non solo per le esecrabili pulsioni xenofobe leghiste. Ma ci sarà davvero da esultare per lo scampato pericolo? Basta aver allontanato lo spettro, pur opprimente, del ritorno del fascismo, anche in versione citofono, per sentirsi sollevati?

Un’analisi non superficiale del voto e dei flussi elettorali offre alcuni elementi di riflessione, cui i vincitori dovrebbero fin da subito prestare estrema attenzione:

– pur avendo recuperato in termini assoluti, il Pd, con un 34% di consensi, è oggi ancor meno autosufficiente e ha necessità di appoggiarsi a coalizioni infinite dove l’identità già sbiadita del centro-sinistra rischia di perdersi nei mille rivoli pseudo civici. Una torta sempre più ridotta e da spartire tra tanti commensali sempre più diversi tra loro;

– la Lega, con quasi il 32%, ha confermato ‒ purtroppo ‒ la tendenza su base nazionale: dunque, non ha vinto, ma nemmeno perso e gode di un consenso ormai strutturale anche nella nostra Regione;

– Bonaccini ha ricevuto un’ulteriore spinta dal voto disgiunto dell’elettorato 5 stelle e da liste di sinistra che non appartenevano alla coalizione: un provvidenziale strumento che tuttavia non rappresenta uno stabile sostegno al suo governo;

– il consenso a Bonaccini ha tenuto soprattutto nelle città, a conferma dell’accorata chiamata alle armi di un sistema di potere traballante, ma ancora ben radicato nei centri di potere cui tanti, troppi, devono aver cura delle proprie convenienze personali per potersi permettere di abbandonarlo;

– il voto è stato puntellato dalla decisiva novità delle Sardine che, nonostante il loro apparire sotto vuoto per la povertà delle proposte, hanno rigalvanizzato, seppur provvisoriamente, l’elettorato giovanile.

Elementi, come si comprende agevolmente, sufficienti a conseguire il risultato e a recuperare voti, ma non stabili e di lungo termine. Un voto esclusivamente contro, che non ha permesso di comprendere le idee e le ragioni di un candidato che, non a caso, ha nascosto il logo del partito cui appartiene dietro un volto appena tratteggiato.

Ragioni poco chiare, così come le differenze con la controparte. Infatti, appare evidente la progressiva convergenza dei due schieramenti su una visione della società e dell’economia basate sulla riduzione dei diritti, sullo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, del suolo, sulla svendita dei beni comuni, sul dogma della crescita e del Pil. Una visione insostenibile per il pianeta e i suoi abitanti, che porta l’Emilia Romagna a essere una delle regioni più inquinate e cementificate d’Italia e con, caso unico nel panorama nazionale, due multiservizi quotate in borsa.

Non a caso, il folle impianto Forsu di Reggio Emilia (per il trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani) è stato approvato dalla uscente giunta regionale, così come la pessima nuova legge urbanistica che non segnerà affatto un cambiamento a un trend costante e preoccupante.

Quando libertà fa rima con liberismo, il rischio è che, prima o poi, i richiami e gli appelli alla paura non bastino più. Ecco perché, dopo aver stappato il lambrusco, servirà qualcosa di più rosso e di più frizzante per convincere un’altra volta, l’ennesima, un elettorato sempre più frammentato e rassegnato al meno peggio.

Gli autori

Francesco Fantuzzi

Francesco Fantuzzi, animatore del gruppo civico Reggio Città Aperta, consigliere della cooperativa di finanza mutualistica e solidale Mag6, è promotore di iniziative di partecipazione civica culturale e ambientalista nel settore dei beni comuni. Ha scritto da ultimo, con Franco Motta, "Dentro la zona rossa. Il virus, il tempo, il potere" (Sensibili alle foglie, 2020).

Guarda gli altri post di:

One Comment on “C’è poco da esultare in Emilia Romagna”

  1. Ora vige il tradimento dell’urbanistica pubblica e sociale anche nei punti di maggior resistenza. Ah, il mito emiliano bolognese. Si è visto il nuovo modello. Le «sette città» bolognesi come i peccati capitali, o il settimo sigillo aperto dall’Agnello, da cui le strombettate trionfali dei sette angeli che non impediranno l’avvento di grandine e fuoco misto a sangue.
    I bravi amministratori d’antan, convinti di aver realizzato il miglior esempio di pianificazione generale e locale, se sopravvissuti si sono ritrovati nel nuovo contesto culturale ultraliberista, anzi reazionario: il famoso modello bolognese è stato capovolto nell’esagerazione masochistica dichiarata, ossia alienare la pianificazione e ogni progetto ai padroni della rendita e dell’edificazione mentre l’ente pubblico anticipa il consenso e il supporto magari oneroso.
    Intanto il meno famoso ma adeguatamente propagandato nuovismo urbanistico toscano, pronto dopo una lunga gestazione per un’applicazione rispettosa del bene pubblico, è respinto dai benpensanti consiglieri, che «licenziano» l’autore (l’urbanista Anna Marson).

Comments are closed.