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28/11/2019 di: Fabio Balocco
È vero, l’ho sempre sostenuto: le battaglie ambientali non si combattono per vincerle ma perché ci si crede. C’è forse però anche un limite alla pervicacia, forse è arrivato il momento di deporre le armi.
Me lo sono detto leggendo la dichiarazione del governatore ligure, Toti, dopo il disastro causato dalle piogge nella terza decade di novembre: «È indispensabile un piano straordinario di infrastrutture per la Liguria: in questo paese bisogna smetterla di parlare di cantieri e non aprirli. Serve coraggio: non siamo cementificatori ma vogliamo smetterla con un ambientalismo che non ha migliorato questo paese ma, anzi, lo sta lasciando indietro di anni».
Parole che si commentano da sole: 1) gli ambientalisti non sono un partito e non hanno di conseguenza mai governato né hanno mai suggestionato la politica, men che meno in Liguria; 2) già nel 2008 Sansa e Preve denunciavano lo stato di degrado del territorio ligure proprio a causa di cemento e asfalto; 3) la Liguria è la regione più impermeabilizzata d’Italia e col più alto numero di posti barca, che significa consumo pure del mare; 4) i risultati di tanti crimini ambientali sono sotto gli occhi di tutti: ogni volta che piove a dirotto una parte della Liguria va sott’acqua.
Ciò detto, il rimedio, a detta di Toti, è aprire nuovi cantieri. E quindi alimentare il disastro. Sicuramente ci saranno altri dissesti, altre frane, nuovi morti. Questo vezzo di creare le condizioni per disastri che poi si avverano si chiama in diritto “dolo eventuale”. Toti creerà le condizioni per un tot numero di reati. Ma chissenefrega, intanto lui non sarà neanche più governatore e quindi i disastri rimarranno senza un colpevole, come accade ormai da decenni in Italia. Cominceranno con la Gronda di Genova, con il traforo Armo-Cantarana, previsto dallo “sblocca-cantieri”, e poi chissà cos’altro. Ma non è tanto la politica che ci induce a dire “basta”.
È il fatto che i politici fanno esattamente ciò che vuole la gente, e qui Toti sbaglia parlando di “coraggio”. Perché è la gente che vuole le grandi opere, o comunque i cantieri, e i politici li accontentano. È questo che è drammatico. Il non fare nell’agire della politica non esiste. Esiste il fare, ma non il fare inteso come ripristino delle aree golenali dei corsi d’acqua; non il fare inteso come abbattimento di tutti gli immobili abusivi o sorti in aree di esondazione; non il fare inteso come vincoli a tutela della natura; non il fare inteso come governo naturalistico del bosco e non già a fini economici. È il fare inteso come nuovo cemento e asfalto che premia politicamente. Lo sottolinea giustamente Marco Ponti nel libro “Grandi operette” quando racconta come il primo governo Conte se ne sia altamente fregato dell’analisi costi/benefici della commissione che Ponti dirigeva: si farà il Terzo Valico, si farà l’AV Brescia-Verona, si farà il TAV Torino- Lione, nonostante sia appurato che distruggano il territorio e non siano neppure convenienti per lo Stato. Si farà l’AV Napoli-Bari senza neppure più un’analisi (tanto non serve a nulla) e si farà persino l’AV in Sicilia, il colmo del ridicolo. Così come si farà il MUOS, e, per tornare alla Liguria, oltre ai nuovi buchi, si faranno o termineranno altri porti turistici, nonostante che si sappia che erodono le coste.
Non sono così deficienti i politici, non siamo più negli anni del boom economico: ci sono fior di studi e di analisi, sanno benissimo che il loro operare è scellerato, è criminale, che porterà disastri e decessi, ma lo fanno lo stesso: nell’immediato la gente li premierà. Rendendosi co-responsabile di disastri e decessi.