Pacifismo e movimenti per la pace nel nuovo millennio

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È all’alba del terzo millennio che una nuova linfa comincia a scorrere nelle vene del pacifismo, una linfa che scaturisce dal movimento dei movimenti del Social Forum, quello contro la globalizzazione imposta dai poteri forti (Seattle, Porto Alegre, Genova, Firenze, Mumbay, Parigi St. Denis, Londra sono le tappe più importanti che ne segnano il cammino). Si diffonde, e diviene senso comune, la presa di coscienza del divario crescente fra Nord e Sud del mondo, dell’accumularsi di ingiustizie che gravano sull’80% dell’umanità, di una situazione che è essa stessa causa di conflitto. La pace e la lotta contro la guerra e il terrorismo (che si alimentano a vicenda) si impongono fra gli obiettivi principali del movimento dei movimenti o movimento no global.

Dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York si susseguono, condotte dal Governo USA e dai suoi alleati, la guerra all’Afghanistan e quella all’Iraq. Lo schieramento pacifista ha ormai una dimensione mondiale, tanto è vero che, dopo la grande giornata di mobilitazione per impedire che si scateni la guerra all’Iraq (110 milioni di persone scese in centinaia di piazze in tutto il mondo), il New York Times parla dei pacifisti come della seconda potenza mondiale. Ma la logica di guerra, a livello di potere, continua a prevalere. Accanto ai conflitti principali, su cui si accentra l’attenzione, vi sono decine di cosiddette guerre dimenticate, che provocano anch’esse morti, feriti, profughi, immani sofferenze.

Se don Milani e i ragazzi della Scuola di Barbiana facessero oggi la ricerca che avevano condotto oltre 50 anni fa – se esistesse o meno una guerra giusta alla luce dell’articolo 11 della Costituzione – avrebbero l’amara sorpresa di vedere che, nei circa 70 anni trascorsi dalla Costituzione, l’Italia ha partecipato a varie guerre, nonostante il “ripudio” scritto a chiare lettere nella Carta. Il “ripudio” dei/delle Costituenti era frutto dell’esperienza, della conoscenza diretta che i costituenti avevano avuto degli orrori, delle sofferenze, delle distruzioni che i conflitti bellici provocavano, in special modo, sempre di più, per la popolazione civile. Una conoscenza maturata durante le imprese coloniali del fascismo, durante la partecipazione – vedi la Spagna – alle aggressioni reazionarie a ordinamenti repubblicani scelti dal popolo e, soprattutto, durante l’immane tragedia della 2ª guerra mondiale, che aveva costretto gli italiani e le italiane che intendevano opporsi alla barbarie nazi-fascista a prendere le armi nella lotta partigiana, a sostegno delle truppe dei Paesi unitisi contro la minaccia per l’intera umanità costituita dalla Germania hitleriana e dai suoi alleati. Nelle aspirazioni di chi aveva preso le armi, specialmente di chi lo aveva fatto sulla base «di un patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo» (per usare la bella definizione di Piero Calamandrei), si trattava di una guerra che avrebbe posto fine a tutte le guerre, dando inizio ad un’epoca in cui giustizia e libertà avrebbero trionfato ovunque. Purtroppo, tutto ciò non si avverò.

La guerra oggi è, nuovamente, anche sul suolo europeo, nell’Ucraina che subisce l’aggressione della Russia. L’Europa, invece di inviare armi al Paese aggredito, dovrebbe operare perché si giunga al più presto al cessate il fuoco e si intraprendano le strade della diplomazia e della mediazione, anche attraverso una Conferenza internazionale, per superare i problemi esistenti. Per ora, però, si è scelto la via opposta. Che fare allora? Quali prospettive per chi crede che la pace venga comunque prima di tutto?

Occorre fare in modo che riprenda vigore il movimento pacifista (che periodicamente sembra scomparire, sopraffatto dalle disillusioni e dagli insuccessi, per poi rientrare in gioco con rinnovata energia), immettendolo in tutte le articolazioni della società, collegando sempre di più il suo percorso con quello della nonviolenza, ricercando forme più efficaci per incidere sulla politica istituzionale, riprendendo modalità e tecniche sperimentate in passato da ristrette élites, ma che varrebbe la pena estendere in ambiti più ampi (penso all’obiezione fiscale alle spese militari), avviando un confronto, che coinvolga le istituzioni, su iniziative come la difesa popolare non armata e nonviolenta (già negli anni ‘80 terreno di esperienze da parte di alcuni piccoli comuni), sviluppando i rapporti con gli enti locali per portare avanti insieme interventi di cooperazione internazionale decentrata e di diplomazia dal basso (nell’ottica delle indicazioni contenute, all’inizio di questo secolo, nella Carta del Nuovo Municipio).

Pacifismo e ambientalismo sono facce della stessa medaglia e fanno tutt’uno con l’antifascismo, di cui dobbiamo recuperare il valore fondante della nostra democrazia, alla luce della Carta costituzionale, in un momento che vede ricomparire, con i neo-fascisti al governo, azioni squadriste e comportamenti inumani, con il rischio che il tutto passi nell’indifferenza generale. Il nazionalismo, tipico dei fascismi di ogni epoca, oggi si esprime attraverso il sovranismo, che si affianca ad affermazioni come “prima gli italiani”, o “solo gli italiani”, tradotte poi in atti di respingimento dei/delle migranti, in attacchi alle ONG che salvano i naufraghi in mare, nella non approvazione di leggi dovute come quella dello jus soli, che riconosce la cittadinanza a chi è nato in Italia o vi risiede da un certo numero di anni (già derubricata a jus scholae, che la riconosce invece a chi vi ha compiuto gli studi). È invece necessario, per dare un altro taglio alla globalizzazione, improntare la nostra azione al già citato principio “nostra patria è il mondo intero”. Il futuro dell’umanità passa attraverso la scelta di porre finalmente la guerra “al di fuori della storia” e, nello stesso tempo, di riuscire a tradurre in comportamenti diffusi e condivisi quelle che sono attualmente iniziative di gruppi ristretti, che si pongono con determinazione e continuità contro-corrente. Penso, per fare qualche esempio fiorentino, all’esperienza di Mondeggi “fattoria senza padroni” e di “Contadino clandestino”, all’attività, nel campo dello sport, dell’associazione Lebowski (https://volerelaluna.it/territori/2021/09/08/firenze-il-lebowski-e-un-altro-mondo-possibile/), alla mobilitazione intorno ai lavoratori e alle lavoratrici della GKN, che è riuscita ad aggregare molte energie a livello sociale, costituendo un punto di riferimento sul territorio, a livello locale, e non solo, alle occupazioni di immobili e spazi pubblici inutilizzati che li fanno divenire “beni comuni” (https://volerelaluna.it/lavoro/2023/03/09/gkn-un-caso-esemplare-di-protagonismo-operaio/).

Se ieri gli obiettivi del movimento pacifista potevano essere considerati utopici, oggi si dimostrano di un estremo realismo. Perché è ad essi, da intrecciare con quelli della riconversione ecologica, che si collega la speranza di sopravvivenza dell’umanità. E la pace deve essere realizzata non solo fra le nazioni e fra le persone, ma anche con gli altri esseri viventi, con la natura, con l’ambiente. Non si tratta solo di rifiutare – di ripudiare – la guerra e la violenza, ma anche di impegnarsi per costruire quell’altro mondo possibile, e sempre più necessario, che era nella prospettiva dei Social-forum dei primi anni 2000. In questo caso, non ci sono davvero alternative: o riusciamo, con una riconversione, che è, nello stesso tempo, economica, sociale, politica, a modificare radicalmente scelte e comportamenti, a livello collettivo e individuale, oppure la sorte dell’umanità è segnata (e i tempi utili per “riconvertirsi” si vanno sempre più restringendo). Il “restare umani” (come diceva Vittorio Arrigoni, ucciso mentre era impegnato in iniziative a sostegno della popolazione palestinese), è la base comune di tale riconversione, il che significa tornare a dimensioni e modalità, nelle città, che permettano le relazioni fra le persone e abbiano spazi e occasioni per incontrarsi, per socializzare, per attività di mutuo soccorso, all’insegna della solidarietà e della cooperazione, con una netta inversione di rotta rispetto alle logiche dell’individualismo, della concorrenza, della rincorsa al successo, dell’essere ciascuno/a imprenditore e imprenditrice di se stesso/a, logiche dominanti a partire dalla fine degli anni ‘70 (e che si sono oggi “incattivite”, con notevoli tratti di disumanità).

Occorre, in altre parole e in conclusione, cambiare radicalmente il vecchio motto “se vuoi la pace, prepara la guerra”, ritenuto per tanto tempo indicazione saggia e virtuosa. Se vuoi la pace, per dirlo con le parole di padre Balducci, opera, in ogni occasione e in ogni momento, per preparare e costruire, pazientemente e con costanza, la pace. Che è, nello stesso tempo, il presupposto e il frutto dell’indispensabile azione per trasformare in profondità il mondo.

L’articolo completa una trilogia i cui precedenti contributi sono stati pubblicati il 22 marzo (https://volerelaluna.it/societa/2023/03/22/pacifismo-e-movimenti-per-la-pace-qualche-cenno-storico/) e il 28 marzo (https://volerelaluna.it/societa/2023/03/28/pacifismo-e-movimenti-per-la-pace-al-tempo-della-guerra-fredda/).

Gli autori

Moreno Biagioni

Moreno Biagioni, impegnato dal secolo scorso nel movimento antirazzista, antifascista e pacifista fiorentino, fa parte della Rete Antirazzista, del Comitato "Fermiamo la guerra", della Rete Antifascista di San Jacopino-Puccini-Porta al Prato.

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One Comment on “Pacifismo e movimenti per la pace nel nuovo millennio”

  1. Trilogia che ripercorre in profondità ed esaurientemente quanto ad oggi il movimento pacifista ha prodotto ed il suo attuale messaggio. Rimane l’angoscioso interrogativo: come procedere concretamente per incidere e contare ? La mia senile ingenuità si ferma qui. Cerco lumi. Grazie Moreno e grazie VOLERE LA LUNA

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