L’approvazione della legge delega «in materia di politiche in favore delle persone anziane» non è affatto «una svolta storica per il nostro Servizio Sanitario Nazionale» come dichiarato da Giuseppe Milanese, presidente di Confcooperative sanità, che ha esaltato il provvedimento come strumento che «restituisce finalmente dignità ai nostri anziani, riconoscendo loro il diritto ad essere curati nel modo più idoneo». La «svolta», semmai, è di segno opposto, come hanno denunciato le 14 associazioni del Coordinamento nazionale per il diritto alla sanità delle persone anziane malate e non autosufficienti (Cdsa): gli anziani malati non autosufficienti non riceveranno cure universalistiche di lunga durata, tanto meno dal Servizio Sanitario Nazionale, ma prestazioni di assistenza sociale (Leps) vincolate a parametri socio-economici.
Un appunto sul percorso formale: una decisione di tale portata è stata discussa (?) dalla Commissione competente in Senato dal 2 febbraio al 2 marzo, con una sola giornata di audizioni e modifiche limitatissime al testo giunto dal Governo. Ancora più veloce, e senza alcun emendamento approvato, il percorso alla Camera, che ha infine approvato la legge delega il 21 marzo. Un caso di scuola del sempre minor peso dell’assemblea legislativa a favore dell’esecutivo (il testo scritto dal Governo tornerà al Governo per la scrittura dei decreti attuativi), del monocameralismo di fatto e della mancata apertura del dibattito sul provvedimento a chi aveva manifestato posizioni contrarie, confinato dalla presidenza della Commissione all’invio di sintetici «contributi scritti».
Nei contenuti, veniamo ai nodi più deleteri della legge. Il previsto “Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente” (Snaa) sarà collocato nell’ambito delle politiche sociali e al suo interno si programmeranno (articolo 4, punto 2, lettera c della legge) «in modo integrato i servizi, gli interventi e le prestazioni sanitarie, sociali e assistenziali rivolte alla popolazione anziana non autosufficiente». Traduciamo in concreto. L’erogazione di tutte le prestazioni di lunga durata per gli anziani malati non autosufficienti – quelle sanitarie comprese – sarà vincolata a una «valutazione» che terrà conto «dei fabbisogni assistenziali» (articolo 4, punto 2, lettera l, punto 2). Chi ha dimestichezza con i servizi socio-assistenziali, sa che dietro questa locuzione tecnica si nasconde una selezione dei richiedenti in base all’Isee e a valutazioni dell’intero nucleo famigliare. Per cui sarà per esempio penalizzante per il malato avere una famiglia presente e attenta alle sue esigenze, perché il Snaa scaricherà sulla famiglia stessa oneri di cura che la pratica quotidiana di consulenza a casi individuali ci rivela essere insostenibili per costo e impegno.
Risultato prospettato dalla stessa legge: gli anziani malati cronici non autosufficienti, superata la fase acuta e sub-acuta della malattia (che continua ad essere a carico del Servizio sanitario nazionale), saranno selezionati dal settore delle politiche sociali in merito al diritto e alla concreta fruizione non solo delle prestazioni domiciliari di lunga durata, ma altresì dei centri diurni e dei ricoveri in strutture residenziali socio-sanitarie, anche per la parte sanitaria di questi servizi. La legge, insomma, intacca il diritto esigibile alla parte prevista dai Lea sanitari e socio-sanitari come diritto soggettivo universalistico, oggi senza valutazione socio-economica per tutti i cittadini. Si dirà: anche oggi gli anziani malati non autosufficienti finiscono in lista d’attesa e non ricevono la quota sanitaria. È vero, ma accade per regole regionali in contrasto con la normativa vigente (legge n 833/1978 e Lea) impugnabili in sede giudiziaria dalle associazioni di tutela e su cui i singoli ottengono ragione senza nemmeno andare in tribunale, semplicemente contestando le valutazioni sociali e i vincoli economici con cui le Asl pretendono di non erogare la quota sanitaria.
Mettiamoci per un attimo nell’ottica di chi ha scritto questa legge emarginante. La selezione degli utenti «a valle» della loro richiesta di prestazioni è necessaria al Snaa per la limitazione delle risorse impegnate. Ma la limitazione è anche «a monte» (fenomeno inconcepibile nel Servizio Sanitario Nazionale che conguaglia con assestamenti di bilancio il costo di prestazioni non previste erogate): per ben otto volte viene ripetuto nel testo della legge delega che le prestazioni verranno erogate compatibilmente con le risorse disponibili. Per questo, le prestazioni di assistenza sociale del Snaa non sono diritti esigibili neppure per gli anziani malati «poveri», perché sono comunque condizionati dalle limitate risorse messe preventivamente a bilancio dalle istituzioni.
Cristiano Gori, docente all’Università di Trento, ispiratore del testo di legge attraverso l’organizzazione “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, ha osservato che «di risorse non ce ne sono». Non suoni come un’ingenua constatazione. Gori e i referenti del Patto lo sapevano benissimo fin dall’inizio. Inquietante è la fonte da cui prospettano di prendere i fondi per finanziare il provvedimento: l’indennità di accompagnamento, non più erogata in liquidità al beneficiario, ma inserita (potremmo dire dispersa) all’interno del pacchetto di prestazioni destinato solo ai richiedenti che passeranno la selezione socio-economica. La legge delega prevede esplicitamente la revisione della legge n. 18/1980, ovvero proprio dell’indennità di accompagnamento: sarebbe una riforma a danno di almeno un milione di malati non autosufficienti che oggi hanno diritto all’indennità «al solo titolo delle minorazione», senz’altro criterio restrittivo.
Allo stato attuale, l’impegno di chi ha a cuore la Sanità pubblica universalistica e la tutela di tutti noi, che un giorno vicino o lontano possiamo diventare malati non autosufficienti, andrebbe diretto alla vigilanza sulla scrittura dei decreti attuativi affinché tutelino i diritti esigibili in sanità (Lea) e nella previdenza (indennità di accompagnamento) e rafforzino le prestazioni domiciliari sanitarie con il riconoscimento di un assegno di cura del Servizio sanitario nazionale.
Maria Grazia Breda, sta sostenendo una battaglia di grande valenza socio sanitaria a sostegno della popolazione anziana e MALATA. Chi ha scritto questa legge (Livia Turco, Speranza e Orlando) sapevano che hanno condannavano gli anziani malati, alla privazione del DIRITTO ALLE CURE SANITARIE. Questa è l’ultima vergogna, della politica, che per statuto dovrebbe tutelare le persone fragili!!!
Cooperative sanità è il nome
che diversi gruppi di multinteressi si danno per pagare meno tasse e sottopagare il personale . ….curati in modo idoneo=conveniente .