Dopo il 1946, dopo, cioè, la tremenda carneficina della seconda guerra mondiale (circa 50 milioni di morti, fra cui moltissimi civili), l’abominio dei campi di sterminio nazisti, lo scoppio delle prime due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la cultura pacifista riprende vigore e se ne ha qualche eco nelle carte costituzionali e nei trattati internazionali (nella Costituzione italiana, ad esempio, viene introdotto il «ripudio della guerra» come «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»). Viene fondata l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che sembra avere migliore sorte della Società delle Nazioni proposta nel 1919. Questo sforzo per cercare di risolvere pacificamente le controversie e avviare il mondo sulla strada di una pace duratura subisce, peraltro, un duro colpo con lo sfaldarsi del grande fronte unitario che aveva battuto il nazifascismo e l’inizio della “guerra fredda” fra il blocco occidentale, con epicentro gli Stati Uniti, e quello dei Paesi del cosiddetto socialismo reale, sotto l’influsso dell’Unione Sovietica.
È in questo clima, in cui si sviluppa il confronto atomico fra USA e URSS e si ha una vera e propria corsa al riarmo in entrambi gli schieramenti, che nasce, nel 1948-1949, il movimento dei “Partigiani della Pace”. Partecipano alla fase costitutiva Picasso, Brecht, Einstein, Szilard e ne viene eletto presidente Frederich Joliot Curie (che aveva contribuito, con Szilard, alla realizzazione dell’atomica americana). Il movimento si estende rapidamente con l’adesione di moltissimi intellettuali e il sostegno dei partiti operai e dei sindacati. Nel 1950 esso lancia un appello antinuclearista (l’appello di Stoccolma) che raccoglie in Italia 15 milioni di firme. Nel frattempo, sempre nel 1950, scoppia la guerra di Corea, in cui si fronteggiano Coreani del Nord, al cui fianco sono i Cinesi (con armi fornite anche dai sovietici), e Coreani del Sud, sostenuti da una forza multinazionale a guida statunitense sotto l’egida dell’ONU. I Partigiani della Pace, riunitisi a Berlino nel 1952, lanciano un nuovo appello: vi si chiede che le truppe straniere si ritirino dalla Corea e che si trovi una soluzione pacifica al conflitto, che siano messe al bando le armi nucleari, che Germania e Giappone non vengano riarmate, che cessino le violenze razziali nei Paesi coloniali. L’appello ha un successo notevole: viene firmato, in tutto il mondo, da quasi 600 milioni di persone (oltre 16 in Italia). Ciò dimostra che l’influenza del movimento va al di là dell’area della sinistra, ma, in un clima di anticomunismo sempre più virulento, le accuse ai Partigiani della Pace di essere uno strumento dell’URSS si susseguono ininterrotte (qualcuno definirà “utili idioti” i non comunisti che sottoscrivono gli appelli). È indubbio, comunque, che i partiti di sinistra ne costituiscono una componente forte e che l’URSS e i suoi satelliti lo sostengono. La crescita dell’arsenale atomico sovietico, con l’instaurarsi dell’equilibrio del terrore, e la crisi che scuote il comunismo internazionale, con la rivelazione dei crimini di Stalin e l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe del Patto di Varsavia, nel 1956, sono le cause principali del declino del movimento dei Partigiani della Pace. Costituiscono peraltro suoi indubbi meriti la denuncia forte e chiara del pericolo nucleare, tanto da far divenire senso comune l’orrore per tali armamenti, e l’avere contribuito ad impedire che le bombe atomiche e all’idrogeno fossero usate da USA e URSS nelle molte guerre, più o meno locali, di cui sono stati soggetti attivi, in primo piano o sullo sfondo, in periodi diversi.
È proprio sulla base della relazione stretta fra movimento per la pace e antinuclearismo che nasce nel 1957, per iniziativa del filosofo inglese Bertrand Russell, il nuovo movimento denominato “Pungwash” (dal nome della cittadina canadese dove si tiene la sua prima riunione), che si svilupperà sul finire degli anni ‘50 e durante il decennio successivo. Esso si fonda sull’appello inviato all’ONU nel 1955 (e scritto da Russell stesso e da Einstein), in cui si afferma: «In considerazione del fatto che in qualunque tipo di futura guerra mondiale sarà impossibile non usare la bomba atomica, e che questa bomba minaccia la sopravvivenza dell’umanità, noi impegniamo i governi del mondo ad accettare l’idea – e a renderla pubblica – che nessun progetto politico è più realizzabile attraverso una guerra, e che conseguentemente vanno trovati strumenti pacifici per risolvere qualunque controversia internazionale».
In Italia accanto a una presenza notevole dei Partigiani della Pace e alle iniziative del sindaco di Firenze Giorgio La Pira, volte a creare un collegamento fra le città del mondo al fine di battersi per la distensione e per la coesistenza pacifica (nell’ambito lapiriano nasceranno anche iniziative come quelle della rivista Testimonianze, che sulla diffusione di una cultura di pace baserà gran parte della sua attività, e del suo ispiratore Padre Ernesto Balducci, che promuoverà, anni dopo, dei convegni dal titolo “Se vuoi la pace, prepara la pace”), si registra l’azione solitaria e tenace di Aldo Capitini, apostolo della nonviolenza (scritta senza stacco fra le parole non e violenza per dare maggior vigore al concetto) e fondatore, insieme a Pietro Pinna, del Movimento Nonviolento italiano, aderente al Movimento Internazionale dei Resistenti alle Guerre e di cui sono stati esponenti importanti pure Danilo Dolci, impegnato in Sicilia contro la mafia, e Alberto L’Abate, docente universitario all’Università di Firenze e autore di molte opere, fra cui una su Gramsci e la nonviolenza. A Firenze sarebbe sorta, anni dopo, ad opera di L’Abate e di Gigi Ontanetti la “Fucina della nonviolenza”, espressione di quel movimento. È di Capitini l’idea, nel 1961, in un momento di gravi tensioni nel mondo, della Marcia della Pace Perugia-Assisi, a cui partecipano diversi intellettuali, di area social-comunista, cattolica, azionista (Giovanni Arpino, Italo Calvino, Andrea Gaggero, Renato Guttuso, Arturo Carlo Jemolo, Guido Piovene, Ernesto Rossi) e che diverrà, a partire dal 1979 (quando riprenderà dopo un’interruzione di 18 anni) un appuntamento importante del pacifismo italiano, e che continua ancora oggi con cadenze biennali, e talora anche annuali, suscitando la partecipazione di decine e, in situazioni di particolare gravità, di centinaia di migliaia di persone.
Tornando alle vicende internazionali, nel corso degli anni ‘60 il mondo va vicino alla catastrofe finale (si pensi alla crisi causata dall’invio dei missili sovietici a Cuba) e, di contro, vede anche il verificarsi di fatti positivi, pur se di breve durata, come l’avvio di processi distensivi, ad opera di Kennedy e di Krusciov (sono loro a dare una soluzione positiva alla crisi dei missili sovietici a Cuba), con il sostegno di Papa Giovanni XXIII, che, con l’enciclica Pacem in terris, in cui si lega il concetto di pace a quello di giustizia sociale, licenzia uno dei testi più pacifisti prodotti dall’alto magistero della Chiesa.
Il movimento per la pace, anche se lancia nuove mobilitazioni sotto forma di campagne per il disarmo nucleare unilaterale, è sulla difensiva e non è in grado di sviluppare ulteriormente il collegamento con la tematica della nonviolenza. È tempo di guerre, comunque: quella del Vietnam terrà la scena per molti anni e proprio contro la presenza dell’esercito statunitense sul suolo vietnamita, a difesa del regime corrotto di Saigon, si svilupperà con grande forza, a partire dalle università americane, un movimento di respiro mondiale, che si intreccerà con il moto libertario e anti-autoritario del ‘68, si esprimerà con le canzoni di Joan Baez e Bob Dylan, farà proprio lo slogan degli hippies “Fate l’amore, non fate la guerra”. È un movimento che vuole la pace, ma è anche decisamente schierato contro l’intervento USA e non tutto definibile come pacifista (nelle manifestazioni risuona anche lo slogan “Vietnam vince perché spara”).
In Italia prosegue, anche se non a livello di massa, l’azione per l’obiezione di coscienza al servizio militare, che sarà ammessa e regolamentata solo nel 1972, con una legge molto restrittiva, e nel 1982, con una normativa più ampia. Coloro che obiettano continuano a essere incarcerati e in loro favore intervengono, sulle orme di don Primo Mazzolari, padre Ernesto Balducci e don Lorenzo Milani (entrambi processati in seguito a questi interventi; don Lorenzo non verrà condannato perché morirà prima della fine del processo).
Dopo la sconfitta degli Stati Uniti nel Vietnam, nel 1975, si avvia una nuova fase, anch’essa assai breve, di distensione fra le due massime potenze mondiali e si ha la Conferenza di Helsinki, in cui si inizia a discutere della riduzione degli armamenti. Ma la competizione sul piano militare riparte quasi subito. L’URSS costruisce i missili SS20 (e successivamente occuperà l’Afghanistan); gli USA e la NATO installano missili di notevole potenza, i Pershing e i Cruise, in vari Paesi europei, fra cui l’Italia.
Il movimento per la pace riparte con l’obiettivo centrale del superamento dei blocchi: «Dalla Sicilia alla Scandinavia NO alla NATO e al Patto di Varsavia». In Italia, dopo che il Parlamento ha approvato, alla fine del 1979, l’installazione dei missili e ha individuato, l’anno successivo, il luogo dove installarli – Comiso, in Sicilia – il pacifismo (sinistre extra-parlamentari e comunisti in prevalenza, ma anche una forte componente cattolica, più le attivissime minoranze del movimento nonviolento) dispiega tutto il suo potenziale, nel quadro della mobilitazione europea contro i missili: riprendono con regolarità le marce Perugia-Assisi; si organizzano alcune grandi manifestazioni a Roma (quella del 22 novembre 1983 vede un milione di partecipanti) e molte manifestazioni locali; si costituiscono comitati per la pace in tutto il Paese; si raccolgono firme, specialmente in Sicilia (sotto la spinta del segretario del PCI siciliano, Pio La Torre, che il 30 aprile 1982 verrà ucciso dalla mafia, molto interessata alla costruzione della base missilistica); si acquistano, tramite una sottoscrizione popolare, i terreni intorno alla zona su cui sorgeranno le rampe missilistiche, realizzandovi campeggi di militanti e pensando di costruirvi un Centro per la Pace; si moltiplicano digiuni e petizioni; si attua su parte del territorio nazionale un referendum autogestito; si va con una lunga marcia da Milano a Comiso sulla base di un appello firmato da alcuni intellettuali, fra cui Umberto Eco; si fanno a Comiso vari campi estivi (nell’estate del 1983, il campo estivo IMAC [International Meeting Against Cruise] culmina in tre giornate di blocco dei lavori della base, con una feroce repressione da parte delle forze di polizia).
Nel frattempo si sono tenute due Conferenze europee per il disarmo nucleare, una a Bruxelles nel 1982, l’altra a Berlino nel 1983 (alla loro preparazione ha lavorato, prima di morire nel novembre 1982, Lucio Lombardo Radice, intellettuale comunista da sempre su posizioni pacifiste e fautore del dialogo con i cattolici), e si sono susseguite iniziative pacifiste in varie parti d’Europa. Il movimento assume posizioni nettamente disarmiste anche in Italia, provocando accese discussioni nel PCI, dove prevalgono, nonostante una notevole simpatia per i pacifisti del suo segretario Enrico Berlinguer, le indicazioni per un riequilibrio delle forze in campo, con un disarmo progressivo e bilanciato.
Dopo Cernobyl (1986) la lotta al nucleare militare s’intreccia con quella al nucleare civile. Il pacifismo si collega all’ambientalismo e al femminismo e ne riceve nuovi stimoli. Stanno maturando sul campo i contenuti e i dirigenti che porteranno al salto di qualità che caratterizzerà il movimento nell’ultimo decennio del secolo (è in questo contesto che emerge, fra diverse altre, la figura di Tom Benetollo, morto nel 2004 a 53 anni, mentre, da presidente dell’ARCI, stava dando nuovi impulsi alla lotta per la pace e anche alle prospettive della sinistra nel nostro Paese).
Crollato il “Muro di Berlino” (1989) e imploso l’impero sovietico, molti pensano che, finita la contrapposizione tra i blocchi, si possa finalmente costruire per i popoli del mondo la “pace perpetua” auspicata da Kant. Ma l’illusione è breve. Agli inizi degli anni ‘90, con la prima guerra all’Iraq, i pacifisti tornano in piazza. Nel Parlamento italiano la sinistra di opposizione, ansiosa di modernizzarsi (e di dimostrarsi così non “ideologica” e perciò di essere affidabile come “partito di governo”), comincia ad avere dubbi sull’assumere posizioni negative intransigenti nei confronti dei conflitti armati. Pietro Ingrao, prestigioso leader comunista, fa risuonare comunque alto e chiaro il suo no alla guerra nelle aule parlamentari (e sarà un punto di riferimento anche per i nuovi movimenti pacifisti). Le parole di padre Balducci, allo scoppio del conflitto del Golfo nel 1991, hanno un carattere profetico, anticipando gli eventi del periodo successivo, fino ai giorni nostri: «L’orizzonte 2000 […] non è più come era prima dell’evento. Il suo asse si è spostato; se non sono crollati, si sono fatti vacillare gli spazi istituzionali, come l’ONU, dai quali fino a qualche mese fa ci era possibile guardare al futuro, anzi è vacillata una delle certezze che apparivano come un punto di non ritorno della modernità, il ripudio della guerra». Per il movimento pacifista l’impegno contro la guerra non avrà soste, perché, terminata la guerra del Golfo, si svilupperanno, nel corso del decennio, i conflitti scaturiti dalla deflagrazione della ex-Jugoslavia, un ciclo che si chiuderà nel 1998 con l’attacco alla Serbia da parte della NATO.
Dalla guerra “operazione di polizia”, contro l’Iraq, si è passati alla guerra “umanitaria”, contro la Serbia, in cui si massacrano, tramite i bombardamenti, uomini, donne e bambini per salvare – questa è la ragione umanitaria del conflitto – altri uomini, donne e bambini dal massacro della pulizia etnica. I pacifisti non si limitano a manifestare a casa loro, ma si recano nei luoghi dove la guerra infuria a cercare di fare opera di interposizione, ad attivare interventi di cooperazione, a cercare collegamenti con la società civile locale per tentare di fermare la logica perversa della guerra. Hanno anch’essi i loro caduti, ma i grandi organi d’informazione continuano a chiedersi: «Dov’è adesso il movimento per la pace? Dove si sono nascosti i pacifisti (o “panciafichisti”, come qualcuno, spregiativamente, li chiama)?». Eppure sono loro a tenere alto il principio costituzionale del “ripudio della guerra” che il Parlamento, nella sua stragrande maggioranza, ignora.
Le marce Perugia-Assisi si fanno sempre più partecipate (con un grande e positivo mescolarsi di gruppi di persone, di striscioni, di slogan – scout e circoli parrocchiali avanti, o dietro, a pervicaci comunisti di Rifondazione, ritratti di Che Guevara accanto a immagini di Gandhi, canti della tradizione anarchica e socialista insieme a “We shall overcome” – e anche con qualche elemento di confusione, perché prendono parte alle Marce pure coloro che hanno approvato i bombardamenti.
L’articolo fa seguito a quello pubblicato il 22 marzo (https://volerelaluna.it/societa/2023/03/22/pacifismo-e-movimenti-per-la-pace-qualche-cenno-storico/). Il terzo e ultimo contributo comparirà nei prossimi giorni.