Ostinati e in direzione contraria, per parafrasare De André, sono oggi gli insegnanti. Non si può che essere ostinati nell’atto di entrare in un’aula e sapere di essere rimasti una delle pochissime istituzioni che si assumono la responsabilità di fronteggiare la fragilità dei giovani. Cos’altro si può enumerare, oltre alla scuola? Quali e quanti centri di aggregazione, luoghi di socializzazione, comunità di recupero, centri diurni o altro ancora, resistono con la loro presenza e la loro capillarità sul territorio?
Bisogna essere ostinati, dunque, per confrontarsi ogni giorno con le nuove generazioni di ragazzi che hanno perso il senso di una prospettiva che sia alla portata delle proprie ambizioni. Oggi gli studenti sono invece adolescenti e futuri uomini che non hanno più lo sprone del desiderio, non percepiscono affatto l’eros dell’apprendimento né individuano in alcun adulto un credibile modello di riferimento.
Gli insegnanti sono dunque ostinati per tentare di combattere il subdolo germe dell’atelofobia, così come lo ha raccontato Cristina Dell’Acqua sul Corriere della Sera il 27 dicembre 2022. Perché l’atelofobia è, appunto, il “timore ossessivo di essere imperfetti”. Dunque ostinatamente gli insegnanti lottano in ogni scuola di ordine e grado, in ogni centro o periferia, per far capire ai ragazzi che siamo tutti “imperfetti” e che la scuola è proprio il luogo in cui è necessario ritrovarsi assieme per confrontare fragilità e punti di forza di ciascuno di noi. Arrivando alla comprensione reciproca di apprezzarci per quello che siamo e arrivando alla indubitabile consapevolezza che nessuno di noi dipende dallo sguardo degli altri o dalla approvazione calata dall’alto di qualsiasi maestro, tanto meno dal suo giudizio. E che le valutazioni in classe servono, quando servono, solo a indicare un percorso di miglioramento momentaneo di una competenza individuale, non certo una misura del valore di un adolescente.
Per questo gli insegnanti devono avere tutti lo stesso trattamento stipendiale. Perché non sono il costo della vita o la mancanza di servizi essenziali di un qualsiasi centro urbano a doverli differenziare nella veste retributiva. Quello che conta è il modo che caratterizza invece la loro intensità nell’approccio con i giovani, perché tutti i docenti hanno a che fare con le nuove leve della nostra società. Quelle che un domani saranno i futuri padri e le future madri, e i futuri insegnanti. Per questo, devono essere tutti uguali.
Infine, gli stessi insegnanti sono sempre ostinati e in direzione contraria, perché al loro interno non mancano, per quanto ci si auguri in proporzione ridotta, coloro che varcano la soglia di un’aula scolastica come se entrassero in un ufficio, pronti a svolgere la propria quotidiana mansione, nella sola attesa del suono della campanella. Perché anche tali docenti sono in direzione contraria. Lo sono rispetto ai tanti segnali di disagio che giungono dagli occhi pieni di smarrimento di chi occupa oggi un banco di scuola e lo sono rispetto agli indubbi stenti di tutto il sistema istruzione. Non cogliere questi segnali, o restarne insensibili, è un chiaro indizio di questa direzione controcorrente di chi oggi, ahimè, ha deciso di fare l’insegnante. Che sia per pochi mesi o per tutta una vita.
Tuttavia, se questi ultimi rappresentanti della categoria docenti procedono in modo imperterrito o distratto navigando in un altro tipo di direzione contraria, esiste una grande fetta di insegnanti che è pienamente consapevole di quello che fa. Attenta ai segnali di insofferenza e di smarrimento dei ragazzi e conscia persino dei colleghi indifferenti e della mancanza di un contributo educativo da parte di questi. A tale fetta di docenti appartiene anche un’insegnante in servizio in un istituto di frontiera, alla periferia di Napoli che, in una recente intervista a Repubblica (28 gennaio 2023) sulle tante criticità dell’istruzione, ha ricordato che la scuola nonostante tutto deve avere sempre le luci accese, perché la scuola è lo Stato, l’assistenza, la legalità, anche il medico.
Ostinatamente accese, aggiungo io.