Il calcio italiano continua a vivere al disopra delle proprie possibilità. A dispetto di conti in rosso, di scandali montanti, di una nazionale (che dovrebbe essere il suo più eloquente biglietto da visita) che ha guardato da lontano i mondiali in Qatar.
Quello che potremmo chiamare il lodo Lotito ha messo una toppa alla voragine dei debiti delle società con la soluzione risarcitoria con modico interesse (3%) sul modello della restituzione del debito della stessa Lazio o, in ambito politico, della Lega di Salvini. L’ascesa di Lotito come senatore, omogenea ai nuovi equilibri di Governo, è stata funzionale a questo esito. Tutto secondo programma. Ma il sistema è un Titanic che non ha direzione e, prima o poi, potrebbe sbattere su iceberg ancora più mastodontici. Too big for fail: troppo grande per fallire. Questo è il motto che si potrebbe incapsulare sul pianeta calcio dell’ex Belpaese.
Giustamente è stato osservato che Calciopoli aveva mietuto un sacco di vittime, che fossero capri espiatori o autentici colpevoli. Era stato decapitato il vertice della Federcalcio e spazzata via la cabina di comando della Juventus, in primis il tessitore degli scandali Luciano Moggi. Oggi invece quale scenario? Tutti invitano alla moderazione e all’approfondimento e tra i primi il Ministro dello Sport Abodi e il presidente della Federazione Gravina, che pure di una qualche responsabilità oggettiva dovrebbe rimproverarsi avendo partecipato in prima persona a una riunione con Juventus e club satelliti per sanare l’annosa questione delle plusvalenze, segno di come fosse partecipe di un sistema scottante.
Se, in base alle conclusione della giustizia sportiva, la Juventus dovesse finire in serie B, il problema potrebbe alla fine rivelarsi accessorio rispetto allo scenario generale. Club indebitati e vicini al fallimento, proprietà straniere poco trasparenti, fondi di investimento che ammiccano a possibili salvataggi. In un tentativo di rilancio che vorrebbe la completa liberalizzazione delle scommesse sportive, un ritorno allo status quo per sanare, per quello che si può, i debiti.
In questo contesto appare grottesco quel grande balletto delle figurine che è il mercato di gennaio, frutto di un dissennato liberalismo regolamentare. La parola d’ordine è “spreco”. Il pozzo senza fondo dei debiti juventini si alimenta anche con gli ingaggi pagati a Pogba, un cavallo di ritorno che non ha stagionalmente giocato un solo minuto di partita, e Di Maria, ammirato come campeon con la nazionale argentina ma vistosamente comparsa finora nello scacchiere bianconero. Però continua la fiera delle illusioni che ribadiscono il ruolo storico e mainstream del calcio come “oppio dei tifosi” se non tout court del popolo.
L’orchestrina su quel Titanic continua a suonare e con mirabolanti annunci, istradati e corroborati anche dalla pubblicità a mezzo stampa del più venduto quotidiano sportivo. Nomi sulla graticola tanti ma a fine mese, quando si tireranno le somme, si potrà constatare una volta di più che il calcio italiano vive in una bolla che lo allontana dalla dimensione del miglior football continentale che si gioca in Inghilterra, Spagna, Francia. Non a caso Neymar, Mbappè, Lewandosky, Benzema, sono rimasti pezzi da novanta inavvicinabili per il mercato italiano. E la presunta campagna di rafforzamento, diluita in un mese, senza succo e senza nerbo, si appoggerà a prestiti, riciclaggi, operazioni di basso profilo in cui tutti fingeranno di uscire migliori e in cerca di un rilancio.