Per sfogarsi e uscire allo scoperto il rigurgito razzista ha bisogno di un innesco. Se Paola Egonu non avesse sbagliato il set ball del 25-24 del terzo set contro il Brasile, avesse condotto l’Italia della pallavolo femminile alla finale e lì avesse contribuito a battere la Serbia, nessuno avrebbe osato un commento malevolo sui social. Invece quattro avvelenatori di pozzi hanno preso a pretesto quell’errore per scatenarsi. Come prendersela altrimenti con una ragazza di 23 anni, alta 1.98, bella e vincente, capace di distillare 275 punti per l’Italia nel convulsivo torneo iridato da 12 partite (10 vinte) in venti giorni? Dunque il colore della pelle è un pretesto ma anche un pericoloso segnale di quel fuoco che cova sotto la cenere e che appartiene al sottotesto di un’Italia brutta, puerile e pretestuosa.
La comprensibile reazione della Egonu è stata sovrastimata rispetto alla innocente confidenza-sfogo con il proprio procuratore, immediatamente virata in un titolo a nove colonne e in un tormentone che dura da giorni. Ma ben venga l’occasione per un chiarimento. Per affermare a tinte forti e indelebili che nello sport funziona uno ius italico che potenzia il nostro agonismo, un ingrediente indispensabile che, se abrogato, spingerebbe l’Italia in fondo ai medaglieri dei contest internazionali.
Lo sport della sola e unica razza umana è un’occasione di univoco riconoscimento con la maglia azzurra per tutte e tutti. In primis la Egonu che si è vista quasi travolgere dalla solidarietà corale e non solo dello sport: da Draghi, a Conte, a Malagò. Nella sua delusione e nel suo accorato proposito di lasciare la nazionale c’era più che altro la delusione per non aver coronato mesi di intenso lavoro in palestra con la conquista dell’auspicata medaglia d’oro mondiale. Perché ‒ è ovvio ‒ se la tenuta sportiva dei principali assi del Paese fosse condizionata dai commenti su internet l’attività agonistica di alto livello sarebbe completamente paralizzata. Dunque un prevedibile e risolvibile momento di impasse che prevede un legittimo e positivo lieto fine. Nel 2023, alla ripresa della preparazione azzurra, la Egonu, più rilassata e meno condizionata da una delusione comunque cocente, si riavvicinerà al sestetto di cui è insostituibile titolare.
Questa ventata di solidarietà è stata un ponentino benefico che ha messo nell’angolo quella minoranza rumorosa che mette in dubbio il diritto di cittadinanza, sportivo e non. Facili e vigliacchi commenti che corrono il rischio incosciente di denunce penali. E destabilizzano la reputazione di una nazione che non è razzista ma spesso incorre in infrazioni legate ai sovratoni di qualche pecora nera in cerca di pubblicità. È un leitmotiv gettonato. Con i buu razzisti nelle curve degli stadi: ululati spesso emessi dagli stessi ultrà che hanno giocatori africani nelle file della propria squadra. Particolari che fanno capire che si cerca il pretesto, il distinguo ambiguo. Pur di insultare e di offendere chi dovrebbe trovare accogliente ospitalità sotto un tetto di civiltà.
Nella storia personale della Egonu potrebbe esserci un happy end ancora più suadente se nel 2024, all’altezza dei Giochi Olimpici, venisse scelta come portabandiera azzurra. Per il presidente del Coni Malagò è più di una suggestione.