Juve e non solo: il doping della plusvalenza

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Lo scandalo delle plusvalenze documenta la scorciatoia individuata da buona parte delle squadre di calcio italiane di serie A per ovviare a una condizione pre-fallimentare che si riassume nella situazione debitoria complessiva di un miliardo. Questo è quanto le squadre spendono in più rispetto a quello che incassano in un solo anno. Una situazione paradossale, ma insieme insostenibile. In assenza di un’Authority indipendente la Federcalcio in questi anni si è comportata come la famosa scimmietta che “non vede, non sente, non parla”. E che ora si muove a traino della magistratura.

La Juventus è la punta dell’iceberg di un sistema deviato che, nel suo caso, ha permesso la giustificazione della bellezza di 282 milioni, tutt’altro che noccioline. Ma cosa sono le plusvalenze? «La plusvalenza è il risultato di un calcolo contabile nell’elaborazione del conto economico annuale di una società. E come voce attiva compensa e copre perdite di spese e investimenti, pareggiando il bilancio». Se non che, spesso la valutazione dei giocatori si rivela mendace. Come nell’invalso meccanismo del corrotto e del corruttore, due società possono mettersi d’accordo per alzare artatamente la valutazione di un giocatore in modo da giustificare a bilancio cifre sovradimensionate. La Juve ha trovato un comodo partner nel Genoa con cui ha movimentato 123 milioni di euro in trasferimenti. Ma buona parte di questa cifra si può considerare virtuale dato che il movimento di cassa è stato solo di 25 milioni. Il resto è stato pari e patta, come in un immaginifico videogioco. Casi di finanza creativa, a volte colpevolmente sotto l’occhio di tutti. Potete realisticamente immaginare che un giocatore come Audero valga 20 milioni e Favilli e Muratore in tandem 19?

All’inizio del millennio, Zeman parlò per primo di doping amministrativo, riferendosi ai bilanci di sette società (Juventus, Milan, Inter, Lazio, Roma, Parma e Fiorentina), accusate di aver contabilizzato plusvalenza fittizie per 750 milioni complessivi. L’istruttoria sportiva si chiuse con un proscioglimento, dunque un nulla di fatto, perché il falso in bilancio era stato depenalizzato. Poi nel 2018 vi fu una recrudescenza con club di minore blasone come Cesena e Chievo, con quest’ultimo espulso brutalmente dal calcio professionistico dopo aver fatto parlare di sé come un piccolo miracolo di felice calcio provinciale.

Ufficialmente per il brasiliano Arthur la Juventus ha speso 75 milioni, ma chi può credere che questa cifra sia realmente uscita dalle casse della società di Andrea Agnelli, attualmente indagato? Così tesserati-carneadi che mai hanno messo piede nel massimo campionato si sono visti attribuire quotazioni milionarie che non hanno mai corrisposto a effettivi stipendi percepiti. Le transazioni fittizie deformano i bilanci delle società e costituiscono una sorta di doping amministrativo, reato che è costato sonori scudetti alla Mens Sana Siena nel basket. Succederà anche nel calcio? Lecito dubitare che quando l’istruttoria sarà portata a termine saranno cancellati gli scudetti della Juventus perché in questo mondo di peccatori la plusvalenza è uno strumento di sistema pacificamente immesso a regime anche per il silenzio/assenso delle istituzioni.

Un caso a parte merita Ronaldo come stralcio dell’inchiesta della magistratura attualmente in corso. Un buco nero di bilancio che non ha portato risultati sportivi alla Juve, sempre eliminata in Europa, ma che ha provocato un ulteriore collasso delle casse sociali con la stipula di un contratto-fantasma che ancora non è venuto alla luce. Lo scandalo fa venire a galla anche i rapporti compromissori con i costi di intermediazione. I guadagni di Rajola (il procuratore di Donnarumma, tra gli altri) sono scandalosi rispetto alla crisi di sistema, un lusso che il calcio non può certamente permettersi. A bilancio questi figurano come oneri accessori ma l’enormità delle cifre desta l’interesse della magistratura, che vuole andare a fondo in questo insensato capitolo di spesa in cui gioca un ruolo fondamentale la discrezionalità dei dirigenti societari. Complici o vittime?

Certo è che la navicella del calcio, così mal guidata, rischia di diventare un Titanic incerto solo sul giorno del definitivo affondamento.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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