Lo sport azzurro: un 2021 magico e i problemi aperti

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Volge al termine l’anno magico dello sport italiano. Un segnale della chiusura di un mini-ciclo viene dalla sconfitta della nazionale calcistica di Mancini contro l’immarcescibile Spagna: passo falso che, peraltro, non inquina il successo continentale di una squadra sapientemente gestita ancorché priva di fenomeni. Un 2021 irripetibile come le cinque medaglie d’oro dell’atletica leggera all’Olimpiade di Tokyo quando il più realistico dei pronostici ci accreditava al massimo di un bronzino. L’immagine è quella di un’Italia sportivamente caparbia, molto più avanti rispetto ai progressi civili e politici del Paese. Un esempio che purtroppo non basta a farci avanzare in altri campi. Lo sport offre esempi probanti anche in questo ultimo scorcio di anno con i ripetuti progressi di Sinner, con la sorprendente messe di medaglie nei mondiali di ginnastica, appannaggio anche di atleti che a Tokyo non avevano neppure conquistato il diritto di partecipare. E ci sono poi i successi europei della pallavolo femminile e maschile, mai in vetta in condominio, e la risalita autorevole del basket, quinto con la nazionale ai Giochi, e in cima nella massima manifestazione di club – l’Eurolega – con la sempre più sorprendente e ricca squadra di Milano.

Questa orgia di podi e di soddisfazioni non deve, però, far dimenticare quanto c’è da fare.

Anzitutto ci sono discipline che versano ancora in condizioni di stallo e di inferiorità. Il rugby deve risalire al 2019 per ricordare qualche episodio felice. Il pugilato reca la macchia della mancata partecipazione all’Olimpiade anche di un solo rappresentante maschile, segno di un’infelice semina quadriennale. Su un fronte più ampio e universale, il contraddittorio rapporto tra Coni e Sport e salute, racconta di una guerra non dichiarata, di un conflitto non sanato, dichiarazioni di facciata a parte: a mediare il sottosegretario Vezzali, non ecumenicamente gradita, che in questi giorni ha annunciato il piano per la gestione dell’educazione fisica nelle elementari. E ci sono, poi, problemi che stanno nel manico: nella directory delle Olimpiadi invernali del 2026 (mentre si continua a rimpiangere l’occasione perduta di “Roma estiva 2024”) e nel monopolio dello sport da parte delle società militari. Atleti che mettono la divisa due volte all’anno e percepiscono regolare stipendio si possono permettere lo status invidiabile di professionisti. Ruolo invidiato ma supplente rispetto all’intervento istituzionale di Stato, una sorta di quieto vivere acclarato e disinvolto, che permette, ad esempio, a un atleta di spicco come la medaglia d’oro del salto in alto Gianmarco Tamberi di passare dalle Fiamme Gialle alle Fiamme Oro (con il tesseramento intermedio per una piccola società civile) senza che alcun Ministero batta ciglio.

L’auto-considerazione che realisticamente ci attribuiamo è minata, inoltre, da qualche sospetto esterno. I gossip su un quanto mai presunto doping italico vertono soprattutto sui rumors inglesi riguardanti il velocista Jacobs e la sua mirabolante ascesa. L’astensione da una qualunque attività agonistica dopo le due vittoriose volate d’oro a Tokyo ha rinfocolato i sospetti di un formicolante non detto. La cattiva gestione anche dialettica del caso-Schwazer non ci ha messo in buona luce con la Federazione internazionale (World Athletics), il Cio e la Wada. Sarà anche per questo che Jacobs non è stato inserito nella lista dei dieci atleti più meritevoli dell’anno, pur avendo tutte le credenziali in regola per farne parte.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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