La globalizzazione del calcio: un apartheid al rovescio

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Anche questa doveva toccarci in sorte, vedere in questo eterno presente neoliberista, dopo la lotta di classe vinta dall’alto (quella che con felice espressione Luciano Gallino definiva «la lotta di classe dopo la lotta di classe»), la secessione dei potenti del pallone. Una dozzina di club calcistici tra i più blasonati ‒ e, aggiungiamo, indebitati ‒ ingolositi dai miliardi messi in palio dagli immancabili Emirati Arabi e dalla banca d’affari americana JP Morgan, sono passati alle vie di fatto. Solennemente hanno dichiarato di dare vita a una Superlega separata dalle rispettive leghe nazionali per offrire ai consumatori planetari del pallone uno spettacolo irrinunciabile. Peccato solo che in questo modo faranno mancare risorse preziose per quel sistema calcio, già provato dal Coronavirs, fatto di centinaia di club medi e piccoli e soprattutto delle rispettive tribù di tifosi al seguito.

Non si sa cosa altro debba accadere per restare persuasi che ormai a comandare è sempre e solo il denaro, che annichilisce, nella forma della finanza, ogni residua sostanza etica, sport compreso, naturalmente.

Proverò a inquadrare l’affaire Superlega con l’utilizzo della nozione di «apartheid globale» proposta dal compianto economista Bruno Amoroso – lui sì vero allievo di Federico Caffè! – nel suo prezioso libretto di qualche anno fa, L’apartheid globale. Per dire che siamo ben oltre la dicotomia classica Nord-Sud. Qui ci troviamo davanti all’ennesimo fortilizio eretto nel cuore del sistema: difesa strenua di un pugno di nobili perlopiù decaduti, che si aggrappano al proprio blasone per ripianare circa 5 miliardi di debiti, mettendosi nelle mani dei nuovi rentiers, rappresentati dai colossi finanziari. E sono disposti a tutto, financo a de-territorializzarsi e riconfigurarsi in dimensione digitale, immateriale ed astratta, pronti per il consumo televisivo, che è un po’ la cifra del nostro tempo.

Dunque, il delirio di onnipotenza impastato con la necessità è stata la molla che ha indotto a promuovere il consorzio. Non che il fronte internazionale degli oppositori istituzionali del calcio, Fifa e Uefa in testa, goda di particolare prestigio e credibilità. La prima, per il Dio denaro, ha appaltato i mondiali all’improbabile Qatar, i cui avveniristici stadi, per contrastare temperature proibitive, grondano ancora del sangue di migliaia di operai, che senza diritti e dispositivi di sicurezza hanno contribuito a costruirli in tempi da record. E la Uefa europea, dal canto suo, senza farsi troppi scrupoli sui diritti umani, ha apparecchiato la finale di coppa campioni di quest’anno nella Turchia di Erdogan.

Ma quello che più stupisce è che a nessuno dei soci di quel club esclusivo, che accoglierà rigorosamente altri soci su inviti, sia balenata l’idea che la prima e più elementare regola del calcio e dello sport in generale è l’agonismo, cioè il conquistarsi sul campo, con una vittoria o anche con un piazzamento onorevole, il diritto a partecipare a una competizione: a tal punto il miraggio del business ha ottenebrato le menti di questa aristocrazia della pedata!

E chissà se alla formazione di una soggettività collettiva non più solo resiliente ma finalmente resistente, da tempo invocata, non possa contribuire in quota parte la collera di quel popolo di sportivi delusi, sempre e solo intesi come una risorsa da spremere e mai come un soggetto da riconoscere. Assecondata per una volta dalla politica nazionale e internazionale, questa sorta di internazionale del calcio dal basso potrebbe opporsi e far naufragare l’azzardo di lor signori. Nel frattempo Elon Musk, uno dei tre cavalieri (con Jeff Bezos e Bill Gates) del mondo che verrà, si è autoproclamato su twitter «imperatore di Marte», senza ovviamente averci messo mai piede, prodromico chissà a futuri insediamenti sul pianeta Rosso, naturalmente sempre e solo riservati alla superclass, come la chiamava Giorgio Galli, in questa sorta di apartheid rovesciata.

Gli autori

Salvatore Bianco

Salvatore Bianco, già insegnante di storia e filosofia e poi funzionario presso un ministero, attualmente collabora con la CGIL di Bologna.

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