Un’olimpiade a prova di tampone

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Nella precaria dipendenza dal virus l’Olimpiade si staglia all’orizzonte come un’Araba Fenice. Ma, secondo il Comitato Olimpico Internazionale e gli organizzatori, le manovre di avvicinamento non possono per definizione mettere in dubbio che i Giochi si faranno. Già, ma come si faranno? Sarà un evento a cui i giapponesi (basta leggere i risultati di specifici sondaggi) rinuncerebbero volentieri. Ma non si può mettere in dubbio l’indefettibile rigore istituzionale nipponico, quello che spingeva i kamikaze a sacrificarsi per la patria. Quindi l’avvenimento è percepito ormai come un inderogabile dovere nazionale. Fossimo in tutt’altra area (diciamo l’incerta Unione Europea) probabilmente già si sarebbe riscontrato un salomonico ammaina bandiera.

In ogni caso saranno Giochi a continua prova-tampone. Alcune prime importanti decisioni sono state prese. Non saranno Giochi a portata di turisti. Anzi si delinea sullo sfondo l’ipoteca di un parziale spettacolo “a porte chiuse”. Più che mai evento mediatico a dimensione virtual-televisiva. Le rappresentative dei vari Paesi eviteranno un concentramento nel Villaggio olimpico. Sarà un’Olimpiade con scarsa atmosfera comunitaria. Con un “mordi e fuggi” rispetto alle gare in programma. Gli atleti arriveranno un paio di giorni prima del proprio impegno, smaltiranno i disagi del fuso orario e ripartiranno velocemente per la propria destinazione di partenza. I giapponesi, forti del loro spirito programmatore, hanno persino previsto un Covid hotel per gli atleti positivi durante i Giochi. Sintomatici e asintomatici saranno concentrati in questo centro che vivrà di regole speciali di isolamento. Qui gli atleti saranno assistiti, curati e potranno vivere la prevista quarantena.

Un vago alone di boicottaggio e di rinunce, peraltro, già grava sull’evento. La Corea del nord ha dato forfait motivando l’annunciata assenza con motivi di sicurezza. E gli Stati Uniti, minacciando di disertare il successivo evento invernale in Cina, hanno destabilizzato ulteriormente la presunta pace (o non belligeranza) mondiale che dovrebbe essere garantita dallo sport. Che sia distensione con Biden al posto di Trump è un’equazione geopolitica tutta da dimostrare.

Intanto in Italia la sottosegretaria Vezzali, cooptata grazie a un inesistente curriculum dirigenziale (il suo top è stato, come noto, «Mi farei volentieri toccare da Berlusconi») ha annunciato che spedirà a Tokyo una squadra azzurra integralmente vaccinata. Decisione doverosa e necessaria per non creare focolai a macchia di leopardo. Meno giustificabile la diseguaglianza in atto nella squadra. Gli sportivi militari (il 70% circa dei componenti della spedizione) già vaccinati grazie a una ritenuta esigenza di protezione del tutto risibile perché, notoriamente, i campioni con le stellette non fanno servizio di caserma e sono degli agonisti privilegiati. In questo caso si possono configurare come raccomandati che “hanno saltato la fila” (per usare le parole di Draghi) rispetto ai loro colleghi civili. Ma nel campo dello sport in generale ci sono già altre diseguaglianze a regime. a livello globale. Un esempio? La squadra di basket di Bologna sta giocando un importante doppio confronto di Coppa con la squadra di Kazan: ma in casa gioca a porte chiuse e senza sostenitori mentre in Russia ha dovuto affrontare la torcida di 4.000 tifosi scatenati contro di lei.

Se il 23 luglio i Giochi potranno effettivamente svolgersi saranno i quinti consecutivi per la divina Pellegrini. E saranno un banco di prova per il Coni di Malagò, che spera di raccogliere podi soprattutto con scherma, tiro a segno, canottaggio, nuoto, lotta, forse judo; minor raccolto è previsto negli sport di squadra (la partecipazione nel basket maschile, per esempio, si scontrerà con la corazzata Serbia, per di più nella tana del lupo, a Belgrado); mentre in extremis la sedizione si arricchisce di qualche nuovo imprevedibile personaggio leader, come il pesista Pizzolato, freschissimo e poco pronosticato campione europeo.  

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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