Dopo Azzolina, Patrizio Bianchi
L’attuale ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, guidava la task force nominata dalla precedente ministra Azzolina per organizzare la riapertura della scuola di settembre 2020. Presi come si era dall’onda montante della pandemia, a molti sarà sfuggita la qualità dell’opera della suddetta task force. I 18 esperti che la componevano erano divisi in due sottocommissioni: la prima, chiamata Operation e destinata a lavorare sui tempi brevi; la seconda, denominata Vision, con il compito di studiare e programmare interventi sui tempi lunghi. L’architetto Ceppi, uno dei membri, così rispondeva alla scabrosa domanda «cosa si farà nell’immediato?»: «Ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione […] in questo momento la priorità è di natura biologica e logistica. Tra i temi che stiamo considerando c’è quello della verifica dell’impianto del ricambio dell’aria, della tenuta dei serramenti e poi l’adeguamento dei bagni, presidi sanitari più accessibili ed efficienti. Poi c’è il tema del distanziamento». Adesso, almeno sul ricambio d’aria, sappiamo com’è andata a finire: non se n’è fatto nulla. Così come non si è nemmeno reso pubblico il lavoro dei 18 esperti: il documento da loro prodotto dorme in qualche cassetto ministeriale.
Task force ed esperti di troppo
Vista la precedente frustrante esperienza – e divenuto a sua volta ministro – Bianchi ci riprova e nomina anche lui una task force di esperti. Sugli “esperti” la nostra idea coincide con quella che Ivan Illich ha espresso nel saggio Esperti di troppo, e cioè che il nostro è il tempo delle “professioni disabilitanti”, quelle che tolgono autonomia agli individui e si insinuano, creando nuovi bisogni, laddove ciascuno saprebbe fare la stessa cosa da sé. Da quanti sedicenti “esperti” è stata afflitta la scuola negli ultimi decenni! Con ciò non vogliamo togliere credito né ai componenti della task force nominata da Azzolina né a quelli nominati da Bianchi.
Ci limitiamo a un’osservazione: a capo della nuova task force è stato scelto Giovanni Biondi, dal 2013 presidente dell’Indire (Istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa). Di Giovanni Biondi ricordiamo il coinvolgimento nel caso delle “pillole del sapere”, brevi video didattici realizzati per le scuole (della durata di quattro minuti; insegnavano cose utilissime, ad esempio a star fermi al semaforo rosso e a passare con il semaforo verde) e pagati 39 mila euro ciascuno, per un totale 769 mila e passa euro. La vicenda, che si svolge tra il 2010 e il 2012, diviene nota attraverso un servizio della trasmissione Report e tre funzionari ministeriali, tra cui il “nostro” Biondi, finiscono sotto inchiesta. I video erano stati realizzati dal consorzio Alphabet, il cui azionista di maggioranza, col 70% del capitale, era la società Interattiva di Ilaria Sbressa, moglie del direttore delle relazioni istituzionali di Mediaset Andrea Ambrogetti (braccio destro di Fedele Confalonieri), finiti poi “nelle maglie della giustizia” per l’inchiesta milanese sulla bancarotta da tre milioni della loro società, nonché per ipotesi di turbativa d’asta e tentata truffa allo Stato su 5,1 milioni stanziati dal Ministero dell’Istruzione (all’epoca guidato da Mariastella Gelmini, la tagliatrice seriale di risorse per la scuola). Secondo una denuncia degli stessi dipendenti della società che li aveva realizzati, i filmati vennero realizzati con un costo di mille euro l’uno, ma il Miur li pagò 39 volte tanto. L’inchiesta giudiziaria che coinvolse i tre funzionari (tra cui Biondi) si concluse con un non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato per tutti gli imputati. La cosa, peraltro, non finì lì, perché Biondi, nel 2016, insieme con gli altri funzionari venne condannato dalla Corte dei Conti a un pesante risarcimento (cfr. https://www.corteconti.it/Download?id=40486c1f-1da7-4a61-ae11-212e16fb84f1). Dalla sentenza si evince che, nonostante il non luogo a procedere, anche nel giudizio penale si andò sul pesante: «Siamo in presenza di una visione della didattica e della funzione scolastica che […] tradisce approssimazione e superficialità»; le pillole vennero definite «un progetto didattico certamente opinabile, fors’anche erroneo». In ogni caso la Corte dei Conti concluse che «al Biondi deve essere […] riconosciuta assoluta preminenza (quale presidente e deus ex machina del “Tavolo di lavoro”) nell’approvazione (in data 02.02.2012) di una proposta già formulata per iscritto dall’Ansas […] con riferimento all’acquisto specifico delle “Pillole del sapere”, senza che venisse esplorata nessun’altra alternativa tecnica» e che «al Biondi deve essere addebitato il danno nella misura di 35.000 euro». A suo modo, la lettura della sentenza è istruttiva e ci insegna come si fa carriera in Italia. Dopo la brutta vicenda delle “pillole del sapere”, nel 2013 Biondi viene nominato presidente dell’Indire, carica che ricopre tutt’oggi. E adesso il ministro Bianchi lo mette a capo di una nuova e brillante task force.
Il “governo dei migliori”
Il “governo di alto profilo” si conferma come “governo dei migliori”: abbiamo come ministro della Pubblica Amministrazione colui che lanciò una vergognosa crociata contro lo “statale fannullone”, come ministro per gli affari regionali colei che andò sino in Calabria, usando più di un escamotage, per ottenere l’abilitazione all’avvocatura (a Brescia bocciavano tutti!); lo stesso premier, per cui si sono alzati cori unanimi di lode, copia stralci del suo discorso inaugurale dall’amico Giavazzi (senza citarlo) e rispetta con uno scrupolo mai visto il manuale Cencelli (https://volerelaluna.it/commenti/2021/02/28/caveau-e-pollaio-la-mediocrazia-funzionale-di-mario-draghi/). E ora vediamo che persino le task force ripropongono personaggi che, in un Paese davvero migliore, dovrebbero rimanere a casa loro.
Un approccio semplificatorio e riduttivo
Sparito, per ora, lo spauracchio delle lezioni prolungate in estate, troppo pericolose per la popolarità di un neo-ministro, Bianchi propone la “didattica leggera”: laboratori di scrittura e lettura, coding e lezioni all’aperto. Scuola per scuola si valuterà cosa fare; i fondi a bilancio attualmente sono 250 milioni, tra legge 440 (in supporto all’autonomia scolastica) e Fondi Pon. Per ora non c’è un documento da commentare. Ci limitiamo a valutare la dichiarazione di Giovanni Biondi: «In primavera dobbiamo innalzare subito la Didattica online, ed è possibile, in estate costruire un nuovo tipo di insegnamento. Entrambe le cose resteranno per settembre e consentiranno agli studenti di recuperare senza pesi, che in questo momento non sono in grado di portare». Continua con il piano per l’estate: «lezioni all’aperto, raccordi con il Terzo settore. Coding e informatica, così difficile da impartire via computer. Laboratori di scrittura e di lettura, collaborazioni tra studenti per far crescere le lingue».
Biondi ci riprova. Ad uno come lui, che ha provocato un danno erariale allo Stato, bisognerebbe impedire di coinvolgere chiunque, tanto meno il discusso “terzo settore”. Visto che abbiamo poche risorse economiche per la scuola pubblica, perché foraggiare qualcun altro? E, poi, Biondi conferma l’approccio semplificatorio e riduttivo all’insegnamento già dimostrata con la “pillola” sul colore dei semafori: agli insegnanti bisogna offrire «la galleria di idee che già sono state applicate in scuole innovative» e Leopardi va spiegato stimolando «gruppi di ragazzi alla costruzione di una propria antologia e a un’autovalutazione»… Date il coding ai ragazzi e capiranno la difficile informatica (girano in Rete esempi di coding per bambini che fanno prudere le mani, tanto sono stupidi). Tutta questa opera di recupero e integrazione verrà affidata, l’abbiamo letto, alle singole scuole: ma a partire da queste “idee” il disastro è assicurato.
Articolo ben documentato, com’è d’altronde nell’usus scribendi dell’autrice, la quale, sono certo, non me ne vorrà se, approfittando dell’evocazione dello spettro di Illich, mi permetto tuttavia di segnalare (non a lei, a cui la cosa è nota) che, sebbene nel libro citato mi pare non se ne parli, nel novero delle moderne professioni disabilitanti il più noto dei descolarizzatori assegnava a quella dell’insegnante un posto di assoluto rilievo.
E, allora, a destare preoccupazione in chi, come me, condivide l’opinione “inattuale” di Illich sulla scuola – che, piegatasi docilmente alla “nuova ragione del mondo”, nel frattempo è persino peggiorata – non è tanto il disastro che potrà fare un, per quanto taskrinforzato, Biondi qualsiasi, e nemmeno l’esercito degli ottocentomila docenti gallonati che scalpitano per tornare al più presto a disabilitare in presenza.
A gettare nello sconforto chi vede nella scuola la fabbrica dell’individuo eteronomo e, quindi, il più cruciale dei dispositivi di riproduzione dell’ordine sociale, sono le masse di ragazze e ragazzi che, frustrati nel loro bisogno di socialità dal confinamento impostogli dalla pandemia, reclamano a gran voce di tornare dietro il banco, dove di un Illich, di un Goodman (quello della “gioventù assurda”) di un Reimer non sentiranno pronunciare mai – metto la mano sul fuoco – nemmeno il nome.
E pensare che scalava, come suol dirsi, le vette delle classifiche chi, una quarantina di anni fa, cantava “Hey! Teachers! Leave them kids alone! All in all you’re just another brick in the wall”.
Un caro saluto