Il calcio italiano parla lo slang americano

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Il calcio italiano è diventato un grande risiko finanziario. I presidenti delle squadre di serie A più che competenti appassionati di calcio sono dei tycoon globalizzati che certo non sbarcano in Italia per rimetterci.

Fateci caso, nell’imprenditoria industriale la prudenza regna sovrana perché l’Italia è il Paese delle complicazioni burocratiche e della mafia, due ostacoli insormontabili per chi voglia fare profitto. Il calcio nostrano invece, con le sue resistibili leggi e i suoi blandi controlli finanziari, rappresenta un’attrazione attualissima e pervicace. Un esempio della labilità di sistema? Lotito è contemporaneamente proprietario di Lazio e Salernitana, due club professionistici che potrebbero convivere nel massimo campionato. Ma questa possibilità (una minaccia?) non è percepita dall’organizzazione calcistica. E la congestione di questi due management porta a inevitabili conflitti di interesse, al possibile sviluppo di scatole cinesi e creazione fittizia di plusvalenze. Lotito si è già impantanato in questa contraddizione nel caso tamponi ricorrendo a un service campano che ha provveduto ai controlli delle due squadre. E l’aereo sociale ha già servito ambedue i club.

Nel ricco piatto del calcio italiano il pioniere è stato Thomas Di Benedetto, primo azionista della Roma dal 2011. Il filone americano nella capitale è continuato con il discusso Pallotta, celebre per non aver messo piede nel quartiere generale della società, a Trigoria, per 14 mesi consecutivi, che ha battuto in ritirata quando ha intuito che l’affare-stadio non sarebbe mai quagliato, in coincidenza soprattutto dell’arresto del costruttore Parnasi. Per la gioia dei tifosi giallorossi ora la Roma è nelle mani della famiglia Friedkin. Il capostipite sembra ben più presente di Pallotta e deciso a rimontare la corrente con un organigramma che ha espulso molti dirigenti italiani per prendere sembianze un po’ americane, un po’ portoghesi, con Totti sempre sul punto di rientrare nell’organigramma dopo anni di diaspora.

Joe Tacopina è l’imprenditore straniero con più tentativi di scalata. Ci provò nel 2008 con il Bologna, poi si rivolse al Venezia per piazzarsi infine a Catania. La passione non è di casa, il calcolo strumentale sì. I mezzi economici di Commisso alla Fiorentina sono enormemente superiori e in questo caso il primo dirigente, un oriundo, snocciola anche qualche parola di italiano. Ambizioni superiori ai risultati con l’ovvia intenzione anche in questo caso di dilatare i profitti con il varo problematico di un nuovo stadio. Commisso può contare su un patrimonio lordo di sei miliardi di dollari e dunque perché i tifosi viola non possono sognare?

Sembra definitivamente tramontato il tempo della missione a tempo pieno. Ora le squadre di calcio per gli investitori stranieri fanno parte del “giardinetto industriale differenziato”, pedina di una strategia complessiva spesso inestricabile. Facendo i conti con un calcio che non è matematica e dunque è rischio.

L’ultimo arrivato di una colonia sempre più numerosa e sempre più americana è Rober Platek, un virginiano, che, sbarcando a La Spezia, ha tolto dall’imbarazzo di un’esposizione problematica l’italiano Gabriele Volpi. Ulteriori capitali nord-americani e con un modico investimento perché il club ligure certo non ha la dimensione delle complesse strutture delle milanesi.

Particolare il caso del Milan il cui pacchetto di ampia maggioranza (96%) è gestito dal fondo statunitense Elliott Management Corporation. Berlusconi, il presidente dei grandi successi, si è autolimitato assistendo il fido Galliani nell’operazione promozione del Monza. Più controllabile, meno costoso e concorrenziale e con il valore aggiunto di un Balotelli. Vischioso insinuarsi nel tentativo di decifrare la proprietà dell’Inter. La trasparenza cinese non è di casa ma i risultati sportivi per ora coprono l’irrequietezza del management. Anche il Parma ha decisioni che vengono da un altro continente con Kyle Krause.

Dunque un terzo dei club del massimo campionato parla altre lingue. Ma il fenomeno è in pieno sviluppo se persino una società di modeste pretese come il Campobasso è stato oggetto di una spiccata manifestazione d’interesse dall’estero. In aggiunta a Padova, Venezia, Como, Pisa, ulteriori colonie di uno sbarco sempre più consolidato.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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