Non c’è constatazione-affermazione che, ormai da un anno, veda un consenso, universale e crescente, come quella a cui rimanda anche il titolo di questa nota: «la pandemia è un test, una scuola, una verifica, una sfida epocale per la politica e per la società». È altrettanto evidente che il consenso si dissolve nella frammentazione più ingestibile di opinioni, proposte, aspettative, soluzioni, attori non appena si esplicita la domanda che si suppone tanto ovvia da sembrare implicita, e perciò evitabile: «come? in che direzione?».
Una strategia di uscita dalla pandemia che include una campagna vaccinale efficace è stata al centro, giustamente, degli impegni del Governo che hanno ricevuto la fiducia del Parlamento. Rimandando anche alle tante cose scritte in questa sede (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2020/12/10/vaccini-qualche-considerazione-di-un-epidemiologo/), sembrano opportune poche richieste che coincidono con indicatori complementari e ineludibili di una politica che faccia effettivamente della “campagna per la soluzione della pandemia” un passo “al futuro” (per riprendere un altro termine chiave del programma del nuovo governo, benvenuto in tempi che sembrano tutti misurati su una emergenza che ha rivelato sempre più il suo volto di “cronicità”).
1. Occorre la messa a disposizione trasparente dei contratti reali che reggono acquisti, disponibilità, circolazione dei più diversi vaccini, e della loro interpretazione operativa. Il problema, chiaramente, non è solo italiano. Anzi. È globale in tutti i suoi aspetti. Ma i contratti commerciali ed economici sono l’indicatore del grado di legittimità, legalità, corruzione, conflitti di interessi, criminalità di attori, comportamenti, responsabilità per omissione o commissione di decisioni che si traducono nel rispetto o nella violazione del diritto fondamentale alla sanità-salute-vita di individui-popolazioni (oltre che in ovvie implicazioni economiche). Una loro secretazione non è certo di buon auspicio-esempio per una società che deve ricostruirsi economicamente e politicamente.
2. Per un rapporto utile a far crescere un senso di appartenenza a una “comunità” europea, la richiesta precedente deve essere integrata con una trasparenza comparativa, comprensibile, aggiornata, discussa in piena libertà in tutti i suoi aspetti di convergenza/accordo e discrepanza relative ai mercati, ai piani operativi, ai costi dei paesi europei. Se l’economia vuole essere guida e riferimento per un futuro diverso non può perdere l’occasione di mostrarsi disponibile a una accountability non affermata, ma praticata. Nessuno si fa illusioni sulla “correttezza” dei mercati e dei contratti. Sia a livello privato che pubblico. Non si chiede una “confessione” (nei termini di un bellissimo e didattico film di R. Andò). Ma si vorrebbe promuovere un esempio, difficile, di dialogo (non importa quanto conflittuale) tra ragioni del mercato e obbligatorietà del diritto.
3. La pandemia è un laboratorio globale. I vaccini ne sono la versione più didattica: e documentano, giorno dopo giorno, uno scenario che rappresenta la posta in gioco (e il ruolo dei protagonisti) come una guerra, commerciale e geopolitica, tra mercati formali e paralleli (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/), tra istituzioni “garanti” dei diritti umani e altre “garanti” dei prodotti di mercato. La partita è in corso. L’Italia è schierata nel più perfetto silenzio politico e di comunicazione alla società. Il dibattito internazionale continua. Sulla possibile sospensione (almeno temporanea) di una interpretazione rigida dei brevetti (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/08/brevetti-farmaci-e-salute/), e/o sulla applicazione di clausole commerciali e di produzione a misura di un “globale” che riconosca come, quando si tratta di diritti alla vita, è “l’universale” a prevalere. Non toccherebbe a un Governo così autorevole almeno “prendere la parola” in questa guerra in cui c’è in gioco l’identità umana rispetto a quella commerciale del nostro essere nel mondo? Nessuna illusione anche qui, né di confessione né di conversione. Ma, almeno, una richiesta di coerenza: rispetto al dovere di informazione democratica al paese, e rispetto alla legittimità di citare tra i propri punti di riferimento una fonte, papa Francesco, che su tutta la pandemia non è certo rimasto neutro.
4. La pandemia (con i connessi piani vaccinali) è un laboratorio-test di un altro dei capitoli chiave degli impegni “al futuro”: la digitalizzazione, i big-data, gli algoritmi. La sanità e la scuola sono importanti settori-modello ossia. Mentre scrivo si scopre con sempre maggior chiarezza che regioni all’avanguardia in Europa, come la Lombardia, sono un modello quasi incredibile (criminale per le sue implicazioni?) di inefficienza tecnologica e di incompetenza gestionale affidata a improbabili guru del settore. Si domanda con sempre maggior urgenza (sull’onda di richieste fatte da un anno in questa e altre sedi: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/03/11/poche-importanti-certezze-sul-coronavirus/) di rendere accessibili i dati per valutazioni indipendenti, dialettiche, che riconoscano che la conoscenza non è sequestrabile in commissioni, per quanto prestigiose. In un settore che a livello globale è un modello obbligato di incertezza (dalle varianti alle modalità di azione e durata dei diversi vaccini, alla esclusione di popolazioni che non hanno neppure vaccini contro la fame, la povertà, la mancanza d’acqua) la prima e sola garanzia di affidabilità della scienza è la dialettica chiara e documentata sui dati, sulle loro “evidenze” e le loro “ignoranze”, sull’acquisito e il non-ancora (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/01/21/identita-e-affidabilita-della-scienza-in-tempi-di-covid-19/). I talk show, nelle diverse sedi (televisive o meno), sono del tutto diseducativi; come lo sono le promesse di modelli matematici e algoritmi che producono i colori delle regioni o chiudono-aprono piste sciistiche e (ben più drammaticamente, per lunghezza e implicazioni) teatri, palestre, scuole. Lo stesso vale per i dati: della sanità e del loro incrocio con gli indicatori socioeconomici, contestuali, geopolitici. I “tracciamenti” non si fanno con le app; e i robot e i droni della transizione ecologica sono infinitamente meno importanti rispetto alle popolazioni e ai loro bisogni molto diversificati e di prossimità. Siamo ancora in pandemia. Sperimentiamo in modo aperto, con non importa quali fondi ma con progetti “intelligenti”: non per la loro artificialità ma per la loro pertinenza alla diversità delle situazioni. L’accessibilità, come l’uso dei dati, non è, in un sistema sanitario o paese, un problema tecnico o tecnologico (anche se, certo, occorre evitare il modello incompetente della Lombardia). È un test della capacità di fare della pubblica amministrazione una struttura che considera la ricerca con/sui dati una priorità. È un modo di sperimentare l’idoneità dei dati a produrre, attraverso la loro condivisione, più democrazia e capacità di inclusione. I dati elaborati con criteri di prossimità sono il primo test per verificare se la diseguaglianza è una diagnosi cui ci si rassegna, o una radiografia che guida a interventi mirati, che possono essere diversissimi nei diversi contesti, per piccole o grandi minoranze. Il “futuro” dei big data applicati agli umani (alla loro vita, e ai suoi diritti) e non solo alle cose, alle prestazioni, alle previsioni, ha, nella sanità e nella scuola, un’opportunità imperdibile di sperimentazione sul campo, come interfaccia dei tanti attori che si sono citati. Ma una rivoluzione tecnologica ‒ della pubblica amministrazione in generale, e della sanità ‒ può essere credibile solo con un investimento di intelligenza e progettualità che nei prossimi anni faccia dell’Italia una rete molto differenziata di ricerca trasparente, strumento per una cultura di collaborazione (anche chiaramente dialettica) tra il livello politico e quello “scientifico”, che certo non hanno dato esempi da cui imparare, non solo in Italia.