Una volta in televisione, negli organi di disinformazione, esisteva il “panino”: su un determinato argomento il giornalista intervistava l’interessato, poi sentiva chi contestava o obiettava, infine terminava di nuovo con l’interessato. Risultato? A chi guardava il servizio restava impressa l’opinione dell’interessato. Una tecnica vecchia, ormai superata dalla “marchetta”. Si intervista direttamente l’interessato. E stop.
Mi è venuto in mente questo quando, al TG3 serale del 23 novembre, dopo i consueti inutili servizi specifici sul Covid (apro parentesi, oramai non si parla d’altro: se volete conoscere qualche notizia andate in rete, altrimenti dovrete sorbirvi inviati a Milano, Napoli, Roma, che intervistano gente comune e comuni medici), ci sono stati due servizi, uno al Sestriere e uno in un allevamento di visoni del bresciano (http://www.tg3.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-0a7a7d71-0596-4cf2-9856-710928f43dc9-tg3.html#p).
Due marchette, appunto.
Primo servizio. Il giornalista al Sestriere afferma che le piste da sci «nutrono un mondo, dall’artigianato al commercio». E già qui ci sarebbe da ridere: che lo sci di pista nutra innanzitutto l’artigianato… Ma dove? Ma quando? Poi, solo quattro voci ascoltate: una maestra di sci, il presidente della Sestriere spa, la presidentessa dell’Ascom e il sindaco. E le voci, riportate, di Tomba e della Brignone. Messaggio: se non si aprono gli impianti questi sono rovinati.
Secondo servizio: gli allevamenti di visoni. Il giornalista va a intervistare il titolare di un allevamento del bresciano che rassicura tutti: qui gli animali non sono infetti. Va tutto bene, non è come in Danimarca (https://volerelaluna.it/commenti/2020/11/22/lo-sterminio-dei-visoni-e-lo-stupore-assente/). Ma poi chiama al telefono il titolare di un allevamento di Cremona che dovrà/dovrebbe abbattere i 28.000 capi che alleva per via del contagio (che c’è? non c’è? non si capisce, ma non importa). Il giornalista commenta che il settore è già in crisi e il Covid potrebbe dare il colpo di grazia.
In un caso e nell’altro si fa una scelta di notizie da fornire e, guarda caso, è solo ed esclusivamente una scelta dettata da esigenze economiche da salvare. Ricordo bene, tanti anni fa un servizio sempre del TG3 di Gianfranco Bianco, che andò a intervistare le maestranze di una ditta che lavorava ai sondaggi per il terzo valico ferroviario, perché rischiavano di perdere il lavoro a causa di un sequestro disposto dal magistrato. Stessa logica dei servizi del 23 novembre.
Non aspettatevi dalla RAI che vi dica quanto si sono arricchite le grandi stazioni di sci negli anni pregressi, quanto costi produrre neve finta, quali ricadute negative si abbiano con la stessa, quanto la mano pubblica abbia salvato dal fallimento diverse piccole stazioni, quasi che non ci dovesse essere rischio di impresa. Non aspettatevi che la RAI vi mostri le condizioni di vita (?) dei visoni dentro le loro gabbiette, men che meno quando vengono soppressi dopo questa vita (?). Per fare cosa? Pellicce. Bisogna salvare l’economia purchessia, questo è il messaggio che deve veicolare. Che poi sia l’alta velocità, le piste da sci, i visoni, o l’ILVA di Taranto chissenefrega.
Al di là del discorso della libertà di stampa, che comunque è una cosa seria e ci vede solo al quarantunesimo posto nel mondo quest’anno (https://rsf.org/en/ranking) si dovrebbe pensare seriamente a cosa è diventato il mestiere del giornalista, che sia pagato dalla RAI, da Il Corriere della Sera, o da Libero non importa. Per quanto mi riguarda, quando mi dicono «tu che sei giornalista» io ci tengo a precisare «blogger, prego».