La pandemia pare non aver fine e non contentarsi di causare tanta sofferenza, fisica e psicologica, a una popolazione sempre più in preda all’incertezza verso un futuro che la chimera del vaccino non potrà certo rasserenare in toto.
E ora anche il prossimo Natale viene messo fortemente in discussione: probabilmente, per la prima volta nella nostra vita, non potremo passarlo coi nostri cari. Tra le tante condizioni tragiche e straordinarie al contempo che il coronavirus ha imposto al genere umano, questa è forse una delle più destabilizzanti, non solo per chi è credente. Siamo cresciute e cresciuti col rito del Natale come momento in cui la famiglia si ritrova attorno ai propri simboli, quello laico dell’albero e quello religioso del Presepe.
Mi definisco un agnostico, ma sono assai legato a questo momento e pensare che il virus ce lo porterà via ha colpito profondamente il mio immaginario.
Non a caso, qualche (sedicente) leader politico è già salito sul carro dei natalologi dell’ultima ora.
Ma si tratterà realmente ed esclusivamente di una perdita?
Non ho considerato nelle mie riflessioni, se non inizialmente, il fatto che questo momento possa costituire a volte una rappresentazione fittizia e ipocrita di un dovere morale e sociale cui nessuno può sottrarsi. Il mio pensiero corre a ciò che questo rito è divenuto nel tempo: la consacrazione del primato dell’homo consumator sulla celebrazione più importante della cristianità. Non è Natale senza regali, sovente vani se non ad alimentare la folle corsa ai consumi; non a caso quel periodo rappresenta, per diversi settori economici, quasi la metà del fatturato dell’intero anno.
Il virus ci ha mostrato, brutalmente, l’assurdità di un sistema economico produttivo ma non protettivo per le persone per cui produce e che genera beni utili solo ad aumentare il Pil, dogma forse più potente, nell’era del Capitalocene, della stessa religione.
E se fosse un’occasione per un Natale diverso, sobrio, dove laici e credenti possano ritrovare il senso di una fede e l’urgenza di invertire la sconsiderata tendenza della crescita infinita su un pianeta finito? Ritornare all’essenziale sia la stella polare di questo Natale così straniante per tutte e tutti noi. Un tornante epocale in un periodo drammatico di cui non si vede ancora l’epilogo.
Forse, in quello del 2021 i nostri abbracci, quelli tanto invocati in questo interminabile periodo, saranno più sinceri e bramati.
Accogliendo in pieno la riflessione/ auspicio dell’autore, mi permetto di riportare lo stralcio di una mail ad un’amica, scritta tre giorni fa.
«Ormai mancano pochi giorni all’Avvento. Oggi più che mai sarebbe l’occasione per recuperare il senso del Natale, in silenzio , raccoglimento, intimità, evitando i regali e riservandoseli per dopo , a sorpresa. Non sarà così. Assisteremo ad una forzatura per ragioni economiche. Sono in ballo oltre 25 miliardi di giro di affari. I dati , sulla cui trasparenza ci sono dubbi e falle, arriveranno al cosiddetto plateau di stabilizzazione, dimostrando come siano efficaci le misure adottate. Nel contempo, per tenere sotto controllo la situazione , dopo la sedazione consumistica, sarà emesso qualche bollettino allarmante per ” non abbassare la guardia”, espressione logora e abusata.»
Infine una osservazione : si è vista la folla in fila per l’apertura del Centro commerciale , zona Laurentina, a Roma ?
Mi pare una risposta negativa ed eloquente, alle attese di un Natale semplice, autentico, profondo.
Grazie Enza, condivido ogni parola.
Francesco