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18/08/2020 di: Daniele Poto
La migliore delle italiane è caduta sul traguardo di una semifinale del principale torneo di club europeo, a portata di gambe solo a una manciata di minuti dalla fine. Ma i rimpianti dell’Atalanta sono relativi. Se c’è una logica nel calcio il Paris Saint Germain l’ha imposta con la superiorità naturale creata dai suoi due giocatori che hanno creato vantaggi e differenze impostando le premesse per il terribile uno-due finale. I bergamaschi di Gasperini, bruciati sul traguardo, due come Neymar e ‘Mbappé non ce l’hanno, né l’improvviso ritorno di Ilicic avrebbe sparigliato le carte di una congrua differenza tecnica, oltre che di budget, di impianto societario, di aspettative e di possibilità.
Ma è paradossale che l’Atalanta abbia fatto di più e di meglio di Juventus e Napoli, fuori dal gioco delle otto.
Bianconeri peggio che mai quando le aspettative, con un Ronaldo nel motore, erano di approdare alla fatidica conquista della Champions League. Ma a quel tavolo delle grandi la Juve non è riuscita a sedersi e nel gioco al massacro della Borsa, della perdita di valore, della modesta quadratura del gioco, è stato stritolato come inevitabile capro espiatorio Maurizio Sarri. Mancante del phisique du role (pensate a quella strana cosa che mastica in bocca, quanto sia poco “stile Juve”) per aprire un ciclo bianconero. Sarri ha incassato uno scudetto che appare quasi un monotono premio dovuto ma ha fallito tutti gli altri traguardi, con una particolare gravità per il tonfo europeo, tanto più che l’accoppiamento con il Lione sembrava prodigo per un facile accesso al turno successivo dell’obiettivo principale di stagione.
Contro il Lione c’è stato quasi un solo uomo in campo: Cristiano Ronaldo, uno che a 35 anni deve essere libero di giocare dove meglio ritiene. Un gol, un rigore trasformato, una schiacciata di testa che meritava miglior fortuna. Nel tabellino e nella cronaca c’è solo il portoghese all’interno di una rosa che ha bisogno di profonde trasformazioni, anagrafiche ma anche tecniche. Non conta solo l’età di Chiellini (36), Bonucci (34), Buffon (42) ma anche la mancata escalation di giocatori di formazione come Bernardeschi (26) e Rugani (26) considerati giovani solo perché non sono mai approdati all’auspicata maturità.
Con l’eliminazione Sarri ha pagato il conto di un gioco involuto, affidato alle individualità e non a un certo sistema. E il futuro in cui si è inoltrata la Juve prevede un rischio ancora più alto. Si è soliti ripetere che «giocatori si nasce e allenatori si diventa». Ma Pirlo, che a 41 anni non ha vissuto neanche l’ABC della panchina, è stato perentoriamente insediato in un ruolo che scotta dato che, seppure vincenti, Conte, Allegri e Sarri, ne sono stati sbalzati con imprevedibile tempistica. Juve e Pirlo in tandem alla scommessa più importante. Facile affermare che se Pirlo non porterà in dote uno scudetto avrà fallito.
Ma la richiesta è anche naturale visto che la Juve riparte dalla pole position nel prossimo campionato. Infinitamente più avanti di Atalanta, Napoli, Lazio e Roma, se vogliamo avanzare nomi di semplici outsider. La Juve ha finito la stagione con il fiatone. Leggere la classifica finale del torneo in cui risulta un solo punto di vantaggio sull’Inter è esemplificativo. E proprio da questo duello si ripartirà nella prossima stagione. Pirlo versus Conte? Oggi appare un confronto sperequato per malizia, personalità, peso sull’ambiente. Ma Andrea Agnelli ha scelto un amico dei calciatori, uno fresco di spogliatoio perché evidentemente ritiene che questa predisposizione possa essere propizia per ricreare un clima e un’atmosfera che in questa stagione è apparsa labile e ondivaga in casa bianconera. Un futuro incerto, periglioso ma per certi versi affascinante, ancorché tutto da scrivere.