Sembra di pronunciare uno slogan da stadio. “E vince sempre lei”.
Il campionato di calcio italiano è quella corsa in cui partono tutti alla pari ma alla fine vince sempre la Juventus. Parafrasiamo Gary Lineker e un suo ficcante apologo dove la Juve si colloca al posto della Germania, peraltro vincente quando, ogni tanto, non è incappata in un’Italia con le lune giuste. Ma fa bene all’interesse sul calcio che una stessa squadra si aggiudichi lo scudetto con sconcertante puntualità?
La domanda è complessa. Ma nel calcio affare di oggi le infrazioni alla regola (brechtiane o no) non sono più concesse. I miracoli del Verona di Bagnoli, del Cagliari di Riva o della Lazio di Maestrelli non si ripetono. Perché non si possono ripetere. Perché oggi chi più spende, più vince (e più guadagna). Dunque agli investimenti della Juve corrispondono puntuali successi. Ma con qualche distinguo.
Non si può negare che la navicella amministrativa della Juve (controllata dall’alto da John Elkann) abbia subito qualche poderoso contraccolpo con l’acquisizione di Cristiano Ronaldo. Un magnifico colpo tecnico commerciale ma economicamente un salasso considerevole che la Juve sta ammortizzando negli anni. Per questa piaga c’è un antidoto, come brillantemente dimostrato da Paolo Ziliani. La plusvalenza è quel meccanismo borderline di valutazione (sopravvalutazione) di un giocatore che permette di sistemare i conti di molte società. Quando uno Sturaro passa dalla Juve al Genoa per la bella cifra di 18 milioni c’è da chiedersi se la stima sia realistica rispetto al valore del giocatore, mai troppo in vista. Ma è solo un esempio.
Sul piano nazionale nessuno discute il diritto della Juve a proporsi come la più funzionale macchina da calcio del torneo. Il sarrismo è solo un’etichetta. Prima di Sarri aveva aperto un lungo ciclo di scudetti Allegri e anche Conte aveva lasciato un segno. Dunque squadra e società forti al di là dell’impronta dell’allenatore. La Juve ha il miglior giocatore del torneo, il miglior tridente, la migliore difesa. Prima del coronavirus era in testa ed è quella che ha gestito meglio la pandemia nonostante qualche problema epidemico (Dybala, Rugani) o logistico-geopolitico (Hugain, lo stesso Ronaldo) mettendo progressivamente ko la Lazio, vieppiù stordita, incapace di sfruttare anche l’inopinato scivolone juventino con il Milan. Tanto per dirne una, in questo scorcio di 2020 solare la Juventus ha staccato la Roma di venti punti. E parliamo di una rivale che in genere nei primi due mesi del torneo era a ruota, salvo poi ritrovarsi con una ventina di punti di distacco al giro di boa del girone di ritorno.
Consacrato lo scudetto virtuale dell’ammazza-campionato veniamo a due punti critici. Questa squadra disegnata per vincere non ha mostrato ancora di sapersi imporre in Europa… E il futuro non è necessariamente più roseo con l’ostacolo-Lione. Pensiamo che il presidente Andrea Agnelli sarebbe felicissimo di barattare la perdita di uno scudetto futuro con l’affermazione nella più prestigiosa Coppa Europea. Competizione in cui alla fine è sempre mancato qualcosa per la massima conquista.
Un secondo limite sta nell’anagrafe molto alta di alcuni fondamentali componenti della rosa. Sappiamo di fruire di un calcio in cui non conta il futuro (vedi Ajax), in cui la cura dei vivai e del prodotto interno è pura utopia, in cui l’usa e getta del mercato dei giocatori è frenetico, ma non si può non notare come in maglia juventina dall’ultraquarantenne Buffon in giù ci sia un congruo numero di giocatori dall’età avanzata: Chiellini 36, Rolando 35, Bonucci 34. Ed è un calcio in cui i Bernardeschi e i Rugani (26 anni) vengono considerati giovani a un età in cui Pelè era già ‘O Rey e si apprestava a conquistare il terzo titolo mondiale. O forse sarebbe più giusto dire “diversamente giovani” perché non compiutamente realizzati in una squadra grande e vincente che offre meno possibilità di giocare sì che la personalità calcistica di promettenti giocatori italiani ha uno sviluppo incompleto.
Ottima disamina. Forse occorreva aggiungere che la stessa società si é macchiata del più grave illecito sportivo della storia del nostro calcio. Tra gli esempi virtuosi destinati a non ripetersi manca il Torino di Pianelli, cui la famiglia Agnelli impedì il glorioso seguito che a quella squadra sarebbe spettato.