Coronavirus: i numeri che non quadrano

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In tempo di pandemia non sorprende che anche le fake news diventino virali. Ciò che lascia allibiti è il fatto sempre più evidente che a diffondere dati falsati siano le istituzioni preposte. In futuro probabilmente diventerà un caso da studiare: ci si chiederà perché per settimane si è continuato ad informare la popolazione utilizzando statistiche palesemente lontane dalla realtà.

Consideriamo i numeri ufficiali delle persone contagiate nelle due regioni che hanno effettuato la quantità più elevata di tamponi: Lombardia e Veneto. Il 29 marzo in Lombardia risultavano positivi al coronavirus 41.007 individui a fronte di 107.398 tamponi. Quindi, un malato ogni 2,62 persone controllate. Alla stessa data in Veneto i cittadini colpiti dal virus erano 8.358 a fronte di 94.784 controlli sanitari. Cioè un contagiato ogni 11,34 persone verificate. Anche il tasso di mortalità per coronavirus è assai diverso: in Lombardia sono stati registrati 6.360 defunti (pari al 15,51% dei casi di contagio), mentre in Veneto sono morti 392 individui (il 4,69% dei colpiti dal virus). Come si spiegano queste differenze?

Anzitutto in Veneto sono stati effettuati tamponi a tutte le persone che hanno manifestato sintomi imputabili al coronavirus e – nel caso fosse risultata la positività al virus – a tutte le persone contattate dai contagiati. In questo modo si è riusciti a limitare la diffusione del contagio. In Lombardia, invece, nel mese di marzo i tamponi sono stati fatti quasi esclusivamente ai malati ricoverati negli ospedali. Alla maggior parte delle persone contagiate, rimaste a casa o nelle case di riposo per anziani, non è stato fatto alcun tampone. Per non parlare degli asintomatici, che sono stati contagiati e hanno contagiato altri senza accorgersene. In questo modo il virus si è diffuso senza che venisse rilevato dai numeri ufficiali.

Ormai quasi tutti ammettono che i dati resi noti dalle istituzioni sono inaffidabili. D’altra parte se fossero veri, in Italia il tasso di mortalità causata dal coronavirus sarebbe superiore all’11% (al 29 marzo su 97.689 casi di contagio risultano 10.779 morti). In realtà, la maggior parte degli esperti sostiene che le persone effettivamente contagiate sono circa 10 volte di più. Ovviamente anche i guariti sono molti di più, poiché si stima che circa il 90% dei malati non si trova negli ospedali.

I primi a comprendere la grande distanza tra i numeri diffusi ufficialmente e la situazione reale sono stati molti sindaci della bergamasca. Si sono accorti che solo una piccola percentuale dei morti viene classificata per cause dovute a coronavirus. Questo è dovuto fatto che alla maggior parte dei defunti non sono stati effettuati tamponi e di conseguenza non è certo che siano morti a causa del virus.

Da alcuni giorni Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, sta sottolineando la necessità di «dare una rappresentazione più realistica del problema gravissimo che stiamo affrontando. I dati sono la punta dell’iceberg. Vale per i contagi, i ricoveri e purtroppo anche per i decessi. Troppe vittime non vengono contemplate nei report perché muoiono a casa». Nella città di Bergamo dall’inizio dell’anno al 19 marzo sono morte 1.128 persone. Di media nello stesso periodo i defunti sono 628. Quindi sono morte 500 persone in più. Invece, ufficialmente per coronavirus nella città di Bergamo i morti fino al 19 marzo erano soltanto 48. Anche L’Eco di Bergamo, il quotidiano locale, ha scritto: «Numeri inattendibili, parziali, perché ormai la realtà è molto più drammatica».

Claudio Cancelli, sindaco di Nembro, il paese della bergamasca più colpito dal contagio, è coautore di un accurato studio dal quale emerge che dall’inizio dell’anno sono decedute 158 persone. In media negli anni precedenti nello stesso periodo in questo comune della valle Seriana sono morti 35 individui. Ne consegue che ci sono 123 morti in più. Ma le statistiche ufficiali dicono che il 23 marzo a Nembro c’erano soltanto 204 contagiati. Se il numero dei contagiati fosse vero, la mortalità per coronavirus nel paese bergamasco avrebbe dimensioni mostruose (superiore al 60%). Il sindaco di Nembro ha concluso il suo studio con queste parole: «Siamo di fronte ad un evento epocale e per combatterlo abbiamo bisogno di dati credibili sulla realtà della situazione, diffusi con trasparenza tra tutti gli esperti e le persone che con responsabilità devono gestire la crisi. Sulla base di questi dati possiamo capire e decidere cosa è giusto fare, nei tempi che la crisi richiede».

Anche in Cina recentemente è stato sollevato un serio dubbio sui dati ufficiali a partire dal numero dei morti effettivi. Un’inchiesta del giornale Caixin, il principale quotidiano finanziario privato cinese, contando le urne funerarie arrivate nella città di Wuhan (epicentro dell’epidemia), ha dedotto che il numero dei morti potrebbe essere di alcune decine di migliaia, mentre il dato ufficiale è di 2.535 decessi per coronavirus. Che questa manipolazione dei dati accada in Cina, potrebbe non suscitare stupore. Ma che si riproduca anche in Italia, dovrebbe almeno preoccupare.

Il 24 marzo, persino Angelo Borrelli, il capo della Protezione Civile italiana, in un’intervista ha ammesso che purtroppo i numeri del contagio sono altri rispetto a quelli ufficiali elencati e registrati nel bollettino: potrebbe essere ritenuto credibile il dato secondo cui ci sarebbe un malato certificato ogni dieci non censiti.

Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, se in Lombardia i numeri sono così alti «è anche perché non abbiamo fermato prima le aziende: così si sono moltiplicati i contagi. La prima linea – medici, infermieri, personale sanitario – ha fronteggiato l’onda di piena del virus senza avere attrezzature adeguate. Dov’erano i dispositivi? Adesso quella prima linea è falcidiata da malattie e, purtroppo, da decessi. Penso ai medici di base. Penso a strutture che si sono trasformate in camere di incubazione».

Di fronte a questo scenario, non mancano le anime belle che invitano tutti a restare uniti e a non alimentare polemiche. Dicono che per le valutazioni e per le critiche ci sarà tempo, quando l’emergenza sarà finita. Invece, bisognerebbe fornire subito informazioni corrette, affinché nelle regioni italiane finora meno colpite dal virus si tenga conto di quanto è accaduto in provincia di Bergamo e in regione Lombardia, per non ripetere gli errori commessi e per cercare di ridurre il più possibile il numero di morti causati dal virus.

Da Paola Pedrini, segretaria lombarda della Federazione italiana medici di medicina generale, è arrivata una chiara denuncia: «Ci chiediamo se chi gestisce i numeri è solo incompetente, se vive in un universo parallelo o se ci sta marciando». Ancora più esplicito è Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Bergamo: «Questa epidemia sta evidenziando in modo ormai lampante che la riforma sociosanitaria in Lombardia è stata una buffonata, ha fallito su tutti i fronti. E certi numeri ufficiali hanno l’aria di essere artefatti per salvare certe teste».

È sempre più evidente la necessità di una seria analisi dell’involuzione del sistema sanitario pubblico negli ultimi anni. I dati Ocse, aggiornati al luglio 2019, dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media, sia per la spesa sanitaria totale, sia per quella pubblica, precedendo solo i paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia.

Stando al report della Fondazione Gimbe del settembre 2019, in Italia il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre 37 miliardi di euro in dieci anni. Un taglio che si è tradotto inevitabilmente in un calo nel livello di assistenza: una perdita di oltre 70.000 posti letto con 359 reparti chiusi, oltre ai numerosi piccoli ospedali riconvertiti o abbandonati. In Italia siamo arrivati a 3,2 posti letto per mille abitanti. La Francia ne ha 6, la Germania 8.

Il che spiega perché le mascherine di alcuni operatori sanitari sono arrivate soltanto grazie alle donazioni private: si può anche chiamarla solidarietà, ma in realtà si tratta di una vergogna pubblica.

Gli autori

Rocco Artifoni

Rocco Artifoni è presidente nazionale dell’Associazione per la riduzione del debito pubblico (ARDeP), referente per la Lombardia dell’Associazione Art. 53, responsabile comunicazione del Coordinamento provinciale di Bergamo di Libera e del Comitato bergamasco per la difesa della Costituzione.

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