Calcio, spettatori in aumento

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Il calcio italiano si crogiola nel proprio brodo di coltura, ovvero nel bilancio del mercato di gennaio. Documentato un volume di scambi di 332 milioni che possono essere letti anche come la palla al piede di un movimento sempre sull’orlo del flop che galleggia borderline su equilibri economici precari. Letti attraverso quella cifra complessiva, infatti, la supervalutazione dei giocatori, il peso dei procuratori nelle trattative e la necessità di riparare evidenti mancanze nel tessuto delle squadre non sono necessariamente elementi positivi.

Però è innegabile che il campionato di serie A, pur se non accreditabile della logora etichetta “il più bello del mondo attraverso la sfida dell’Inter alla Juventus, l’imprevedibile ascesa della Lazio, la scoppiettante competitività della Roma e la ritrovata verve del Milan, ha ridefinito un focus preciso. Ne fa testimonianza un’altra cifra molto più significativa di quella sopra citata. Nonostante il razzismo, il mancato rinnovamento di una generazione di stadi legati ancora a Italia ’90, la metabolizzazione di norme di sicurezza ancora molto precarie, gli spettatori del massimo campionato aumentano.

Illuminanti le statistiche nel bilancio complessivo dopo 21 giornate di gara, un po’ più del girone d’andata, dunque un campione sufficiente per poter trarre considerazioni generali. Gli stadi italiani, nonostante la relatività delle zone-comfort, un accesso quasi sempre problematico (parcheggi, risse pre-partita, scarsi servizi interni) hanno riacceso un po’ di passione nella componente del tifo. La percentuale di riempimento degli impianti supera ampiamente il 50 per cento della capienza, con il tetto massimo della ritrovata Inter, vista in media da 64.889 spettatori, segno che il vecchio stadio San Siro-Meazza, nonostante la minaccia di sostituzione con una nuova struttura, riscuote ancora, nell’era della sfida alla Juventus ingaggiata da Conte, un grande gradimento. A ruota c’è il Milan, con circa 10.000 spettatori, in meno e poi le romane, con i giallorossi a ribadire un ancora netto maggior favore rispetto alla quantità dei tifosi laziali. Il fanalino di coda è il Sassuolo con 12.883 presenze per gara ma è chiaro che qui la limitatezza del bacino d’utenza scava un solco con le grandi. In decisa contrazione invece il Napoli che, persi Sarri e il momento felice di stagioni precedenti, complice anche la faida tra il presidente e alcuni dei tesserati più rappresentativi, è sceso a 31.149 spettatori per match, meno della Fiorentina, pur disponendo di uno stadio capiente e di un tifo tradizionalmente molto caldo.

In media una partita del campionato italiano propone più di 30.000 spettatori e c’è da chiedersi se si riuscirà a superare questo traguardo. Il salto di qualità potrebbe avvenire quando il nuovo piano stadi riprenderà vigore, superando gli ostacoli burocratici e il non indifferente rischio-corruzione. Il sogno di Veltroni (gli stadi come aree vive, sull’esempio spagnolo) è da tempo fermo ai box. Certo la trasformazione dei club in società per azioni con fini di lucro, promossa dallo stesso ex esponente del Partito Democratico, è stata un contrappeso pesante nella filosofia di gestione. L’avvento di tanti tycoon stranieri è la cartina di tornasole di un avvicinamento strumentale alle società calcistiche. Quale mission lascerà alla Roma un presidente come Pallotta dopo nove anni di gestione, frustrata dalla mancata realizzazione dello stadio?

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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