Sport al femminile e professionismo

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Le donne dello sport provano a scalare il professionismo. Un emendamento governativo alla legge di bilancio promuove questo passaggio introducendo un esonero contributivo al 100% per tre anni a favore delle società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo.

Tutto è partito dall’onda del successo mediatico ai mondiali di calcio. L’Italia di Bertolini e Gama, approdata insperatamente alla massima manifestazione del football femminile, è andata oltre le proprie possibilità inserendosi tra le migliori otto squadre del globo (ben al di sopra della diffusione sul territorio, essendo le praticanti in Italia appena 23.000, dopo essere state 10.000 per decenni, a fronte di cifre a cinque zeri nei Pesi del Nord e in Germania). Da quel risultato insperato è montata una campagna di opinione pubblica tesa a stabilire, anche nello sport, le pari opportunità. Non senza un certo velleitarismo. Il professionismo, infatti, non sarà la bacchetta magica che equiparerà i compensi della Gama o della Girelli a quelli di Ronaldo bensì una camera di compensazione di un movimento a cui sta stretto rimanere confinato nel mondo dei dilettanti.

La definizione di professionismo sul piano fattuale è improba. E il dorato mondo dei dilettanti non si confà alle massime competizioni se è vero che alla vetrina dei Giochi Olimpici si affacciano con disinvoltura protagonisti (cestisti, calciatori, tennisti) con ingaggi e compensi milionari. Addirittura il pugilato ha introdotto le sliding doors o “porte scorrevoli” e Tommasone, professionista di non eccelso lignaggio, è tornato riverginato dilettante per partecipare ai Giochi colmando un’evidente lacuna azzurra nella categoria. E nessuno si è scandalizzato, men che meno il CIO.

Il fatto è che ragazze del calcio, prebende a parte, non si sentono tutelate dalla Lega Dilettanti. Vorrebbero trattare con il presidente della Federazione Gravina e godere della stessa rappresentanza dell’Associazione calciatori, con lo stesso potere di contrattazione di Tommasi (e nel prossimo futuro forse di Tardelli). Al carro del calcio, poi, si aggregano – pericolosamente – altre discipline come la pallavolo. Il rischio è di fare il passo più lungo della gamba. Di cadere in una convenzione che non ha conseguenze effettive di equiparazione. È a tutti evidente infatti che, se non dal punto di vista formale, in concreto le calciatrici vivano da professioniste. Alcune giocano all’estero, altre sono tesserate per sede diversa dalla residenza, molte dipendono esclusivamente dalle risorse assicurate dalle proprie gambe su un campo di gioco. Ma la rivoluzione copernicana del professionismo, oltre a evidenti vantaggi, presenta anche un faccia oscura della medaglia come, ad esempio, la minaccia di licenziamento per gravidanza. Le società che sono sbarcate in serie A (Juventus, Fiorentina, Roma) sottoscriveranno contratti di garanzia sul modello di quelli maschili, rispettando lo specifico femminile e dunque la possibilità di lunghi periodi di stop?

Il professionismo, intanto, fa paura alla Federazione e alla Lega pallavolo anche se è evidente che giocatrici come Sylla ed Egonu sono di fatto delle perfette professioniste. I dirigenti non vogliono aderire all’invito del Governo opponendo un veto che si riassume nell’affermazione che, dopo i promessi sgravi fiscali, non ci sono garanzie sul piano economico.

La malandata economia italiana ha riflessi nello sport e il provvedimento teso a incentivare il contratto di lavoro sportivo, ancorché giusto e sacrosanto, potrebbe minare fragili fondamenta istituzionali oltre a provocare la fuga degli sponsor (travi portanti per la sopravvivenza dei club). L’attuale professionismo mascherato delle donne in questo momento storico, per altro verso, ricorda quello della serie minori di alcune discipline coniugate al maschile (basket e pallavolo, per non parlare del calcio). I calciatori di serie D sono formalmente dilettanti ma attraverso i rimborsi spese possono guadagnare cifre più importanti dei colleghi della serie C. Basti pensare a quello che è stato il purgatorio di grandi club come il Parma, il Bari e il Napoli che non hanno badato a spese pur di propiziare una veloce risalita verso i campionati maggiori.

L’emendamento governativo è passato nello scetticismo dei presidenti di serie A (tradizionalmente conservatori e oligopolisti): le donne godranno delle stesse tutele dei maschi e i club saranno agevolati con tre anni di sgravi fiscali. In Italia il reticolo delle leggi è portentoso ma l’applicazione spesso difetta. Al di là dei proclami la messa a regime di questa delicata riconversione merita di essere verificata.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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