Nei giorni scorsi un imponente provvedimento cautelare ha scosso il mondo politico e istituzionale calabrese. In questi casi, prudenza istituzionale e rispetto per i diritti delle persone coinvolte vorrebbero che i commenti si ispirassero a grande cautela. Sia perché formulati a carte coperte, discutendosi di atti non accessibili alla pubblica opinione (e sovente agli stessi commentatori), sia soprattutto perché relativi a una fase aurorale del processo penale, il cui svolgimento e conclusione, nel caso concreto, richiederanno diversi anni data la mole del medesimo. Dalle cronache, tuttavia, parrebbe emergere la conferma della profondità e diffusività della metastasi criminale che soggioga la Calabria e non si può non provare un senso di gratitudine verso forze dell’ordine e magistrati che si sono spesi nel lungo e difficile lavoro d’indagine, a prezzi che, come sa chiunque eserciti analoghe funzioni, sono sempre tremendamente alti.
Ciò detto, è proprio in questi frangenti che chi ha a cuore le garanzie e i diritti scolpiti nella nostra Carta costituzionale deve conservare la lucidità e il coraggio necessari per denunciarne le violazioni, laddove avvengano. Violazioni che possono venire – qui sta il punto ‒ non solo dal mancato rispetto delle norme del procedimento penale, ma anche dalla sua gestione mediatica. Questione controversa come poche altre quella dei rapporti fra magistrati, in particolare pubblici ministeri, e media, che continua puntualmente a riproporsi e sulla quale è impossibile chiudere gli occhi, perché al fondo di tutto sta la presunzione costituzionale d’innocenza, che dal processo mediatico può subire lesioni non meno gravi di quelle che potrebbe patire nel processo penale vero e proprio.
È un rapporto controllato-controllore quello che si instaura fra autorità giudiziaria e organi di informazione, garanzia di trasparenza nell’esercizio dei poteri che fanno capo alla prima. Cui consegue anche un “dovere di informazione” da parte di quella stessa autorità (affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo sin dal 1979). Su come si esercitino i rispettivi doveri, tuttavia, il dibattito è sempre fremente e privo di approdi. Un’acuta giornalista come Donatella Di Stasio ha sottolineato la necessità «che la giustizia sia trasparente e comprensibile, che sappia parlare al cittadino e, dunque, comunicare, cosa ben diversa dal riconcorrere il consenso popolare o un’immagine mediatica».
Simili riflessioni vengono alla mente leggendo le dichiarazioni del dirigente dell’ufficio di Procura che ha condotto l’importante indagine di cui si è detto all’inizio e che non mi pare siano state smentite. Egli avrebbe dichiarato di avere svolto le proprie funzioni di Procuratore guidato, sin dall’inizio, dall’idea di «smontare la Calabria come un treno Lego e poi rimontarla piano piano», parlato di «giornata importante e storica, non solo per la Calabria» e collocato l’operazione in una graduatoria di portata storica («la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo»). Si è poi lamentato di una sorta di boicottaggio della notizia da parte dei media, distinguendo fra i giornali che l’hanno coraggiosamente collocata in prima pagina e quelli che l’hanno relegata all’interno. E ha descritto le condizioni della Procura, nell’anno in cui ne ha assunto la guida, come quelle di un ufficio «disorganizzato», popolato da «tristi» sostituti e da una polizia giudiziaria senza entusiasmo. Ufficio che, di nuovo, egli avrebbe «smontato» e ricostruito dalle fondamenta. Attività di smontaggio e rimontaggio che avrebbe esteso all’intera Giustizia se fosse stato investito – come alcuni anni fa si paventava ‒ del ruolo di Ministro Guardasigilli.
Tali dichiarazioni, oltre che poco riguardose verso il Procuratore facente funzioni che lo ha preceduto e che risulta averle svolte con diligenza e competenza e verso i molti sostituti che vi lavoravano e lavorano rifuggendo palcoscenici mediatici, ledono la dignità del cittadino indagato o imputato. Non solo di quelli dello specifico procedimento, ma di ogni cittadino indagato o imputato, che dovrebbe essere considerato innocente fino a condanna definitiva che dica il contrario. Il che imporrebbe, sul palcoscenico dei media, quella sobrietà di comportamenti e dichiarazioni che altri – primo l’indimenticato istruttore dell’evocato maxi procedimento di Palermo ‒ hanno sempre mantenuto.
Luigi Ferrajoli, al XIX congresso di Magistratura Democratica, regalò ai partecipanti nove massime deontologiche che dovrebbero guidare chi esercita le nostre funzioni. La sesta massima chiede «il rispetto di tutte le parti in causa, incluso l’imputato, chiunque esso sia, soggetto debole o forte, incluso il mafioso o il terrorista o il politico corrotto» perché «il diritto penale nel suo modello garantista equivale alla legge del più debole. E se nel momento del reato il soggetto debole è la parte offesa, nel momento del processo il soggetto debole è sempre l’imputato e i suoi diritti e le sue garanzie sono altrettante leggi del più debole». I diritti e le garanzie evocate all’inizio saranno sempre esposti a negazioni ed eclissi finché l’intera magistratura non mostrerà d’avere introiettato questa fondamentale massima.
Pensavo di poter continuare a leggere su queste newsletter solo articoli in coerenza col desiderio collettivo di “Volere la luna”. Dopo aver letto questo articolo mi pare, invece, che la Redazione, più o meno spintaneamente, stia meditando di tramutarsi in “Vedere il dito” i, addirittura, “Volere il dito” (un dito indice, si spera, almeno per buona educazione) ! Ove così effettivamente fosse, Vi porgo fin d’ora i miei più cordiali saluti.
D’accordo, dottor Sirianni, ma le cose sono come le descrive Gratteri oppure no? Gratteri dice la verità o no? Mi pare che sia importante capirlo. Le ci può aiutare? Mi riferisco a questi passaggi: ” «giornata importante e storica, non solo per la Calabria» …..«la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo»). …. una sorta di boicottaggio della notizia da parte dei media, distinguendo fra i giornali che l’hanno coraggiosamente collocata in prima pagina e quelli che l’hanno relegata all’interno …. le condizioni della Procura, nell’anno in cui ne ha assunto la guida, come quelle di un ufficio «disorganizzato», popolato da «tristi» sostituti e da una polizia giudiziaria senza entusiasmo. Ufficio che, di nuovo, egli avrebbe «smontato» e ricostruito dalle fondamenta”.
Cordiali saluti