Un new deal per il tennis italiano?

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Un curioso sali e scendi nel tennis italiano. Declina quella generazione al femminile che ci aveva permesso di vivere pagine gloriose nella Federation Cup, risale la versione al maschile che riporta l’Italia, nei giorni del Foro Italico, ai tempi della Coppa Davis vinta, tra mille contestazioni, in Cile nel 1976.

Tre italiani nelle classifiche mondiali tra i primi 31, eguagliando quel trittico di protagonisti di un’altra epopea. Fognini-Cecchinato-Berrettini al livello di Panatta-Barazzutti-Bertolucci, assistiti da quel fedele scudiero (valido soprattutto in doppio) che era Zugarelli? La suggestione è forte anche se l’appeal non è ancora lo stesso.

Prima di tutto il leader ‒ Fognini ‒ ha 32 anni e tra alti e bassi sembra avere come primo stimolo quello di entrare nella top ten (attualmente è n. 12). Il successo in un evento primario come Roma o Parigi Roland Garros sembra pensiero temerario constatando la sua discontinuità. Come prolungamento di carriera nel prossimo futuro lasciano ben sperare però i suoi “inseguitori” sorretti da un’anagrafe più verde. E non sembrano profeti isolati visto che anche Sonego e Fabbiano stanno compiendo passi evolutivi importanti.

In questo new deal la Federazione però sembra contare poco. Parliamo di professionisti che vivono all’estero (Fognini a Barcellona), che contano su staff privati e che conferiscono prestigio di ritorno all’istituzione di riferimento che, semmai li favorisce, in cambio pubblicità e marketing, con qualche wild card e con l’ingaggio ricompensato nella Coppa Davis, evento che peraltro sarà sottoposto a un’autentica rivoluzione nella formula.

Il trittico azzurro garantisce al movimento una densità competitiva che potrebbe spingerci lontano nella manifestazione che riassume il valore tennistico di una nazione. Facendoci dimenticare sull’altra sponda il ritiro della Pennetta (moglie, tra l’altro, di Fognini) e della Vinci, il progressivo declino della Errani (conseguenza anche dello stop per doping), l’immaturità conclamata della Giorgi, concause nella netta sconfitta con la Russia nella manifestazione a squadre al femminile, gemella della Davis.

A questa palingenesi collettiva La Federtennis abbina il successo più importante ovvero l’aggiudicazione dell’ATP Finals dal 2021. Torino ha battuto la concorrenza di Manchester, Tokyo e Singapore. Ciò rappresenta quasi un unicum nelle nomination per l’assegnazione dei grandi eventi sportivi degli ultimi anni, attendendo febbrilmente quanto verrà deciso per l’Olimpiade invernale 2026 (dove la sfida è tra Italia e Svezia). Il Governo ha prestato garanzie d’impegno di oltre 80 milioni per la manifestazione che riunisce sotto lo stesso ampio tetto dell’impianto torinese i migliori otto tennisti del mondo nel ranking con la speranza che, magari accanto ai Nadal, ai Djokovic e agli astri nascenti del tennis mondiale, posso trovare un posto al sole Fognini. Vince l’Italia ma vince soprattutto Torino che, con la capienza di quasi 15.000 posti del Pala Isozaki (che ha ospitato il torneo olimpico di hockey su ghiaccio nei Giochi del 2006 e lo spareggio preolimpico del basket tra Italia e Croazia nel 2016), assicurava l’unica location possibile per l’evento.

Il tennis vive forse sopra le proprie possibilità se – come si ventila – il biglietto più economico per assistere a una tornata di incontri costerà 188 euro. A ribadire che televisioni e vendita dei diritti multimediali saranno preponderanti per garantire un teorico pareggio di bilancio. L’evento italiano spera di imitare l’edizione 2018, gestita alla 02 Arena di Londra, che consentì un introito complessivo di 60 milioni di euro tra biglietti venduti e incassi dagli sponsor e dai diritti televisivi. Almeno per non far apparire un gigantesco buco nell’acqua questo investimento faraonico la cui riconosciuta cerniera di collegamento (tra Governo, Credito Sportivo e organizzatori) è stata la Federtennis di Binaghi, ex giocatore, presidente di lungo corso, fine polemista e discreto contestatore del suo omologo al CONI, Malagò.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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