In attesa di capire che razza di riforma sarà imposta allo sport in un campo in cui – a differenza di TAV, Venezuela e reddito di cittadinanza – Lega e Movimento 5 Stelle sembrano andare d’accordo, si intuisce che, dopo anni di stasi, succederà qualcosa al Totocalcio.
La politica degli annunci anche in questo caso ha fatto, mediaticamente, brutti scherzi. Perché ai rumor su una possibile definitiva sparizione del “gioco più amato dagli italiani” (espressione obsoleta come definire il campionato di calcio italiano “il più bello del mondo”), oggi praticato solo da 38.000 connazionali, è seguita la notizia contrastante del suo definitivo rilancio. Si sa che dei 410 milioni destinati allo sport due verranno impiegati in un contratto di servizio con i Monopòli che si impegneranno a valorizzare lo storico marchio ideato da Della Pergola, messo a punto dalla Sisal e sfruttato per alcuni decenni dal CONI per finanziare lo sport nostrano.
Piccola o grande cifra, piccola o grande intenzione?
Anche in questo caso il pallino non è in mano al CONI che è più che mai sotto l’ombrello del sottosegretario Giorgetti. Un segnale? Nella recente conferenza organizzata alla Scuola dello Sport dell’Acqua Acetosa a Roma persino i pass per le autovetture erano gestiti da Palazzo Chigi. Ergo, il presidente del CONI Malagò si è visto vietare l’ingresso e ha dovuto parcheggiare all’esterno.
Anche nel caso del Totocalcio è importante il merito più che la forma. Con quale strategia i Monopòli, – fomentatori del gioco d’azzardo per un fatturato annuo di 110 miliardi (con un milione e mezzo di azzardopati problematici, come risulta da un recente rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità) – potranno mettere il Totocalcio in competizione con le possibilità di scommesse illimitate oggi garantite al giocatore? Si scommette sul vincitore di Sanremo come sulla modalità del primo gol segnato in una partita e sul numero di corner battuti dalla tale squadra. Come potrà resistere il vetusto “1 X 2” di fronte alla macchina infernale del pronostico su tanto, su tutto, sulla scia del modello inglese? La differenza tra il mondo anglosassone e il nostro è enorme. Gli inglesi hanno una forte tradizione nelle scommesse (betting); gli italiani no. Ma un’offerta sovrabbondante, unita alle lusinghe della macchina pubblicitaria (oggi per fortuna fortemente limitata) ha provocato un disastro sociale e addirittura antropologico.
Le modeste vincite con il “dodici” e spesso anche con il “tredici” avevano ridotto al lumicino l’appeal del Totocalcio che, negli anni d’oro, aveva vissuto un boom paragonabile al miracolo economico del dopoguerra e indotto una socialità virtuosa per la modalità delle scommesse a sistema praticate da gruppi di amici, mettendo a frutto la relativa competenza nel calcio. Negli anni ’70, poi, il CONI aveva creato una rete territoriale del Totocalcio con cui fidelizzare la clientela. Questa “macchina da guerra” è stata svenduta da presidenti del CONI che si sono accontentati della cifra garantita a bilancio ordinario (oggi 410 milioni di euro, improvvisamente ridotti a 40 di pura gestione CONI) pur di salvaguardare il proprio potere.
Oggi lo sport si accorge di non essere più vergine e innocente della politica, avendo attraversato nei decenni lo scandalo delle assunzioni facili al CONI (un’infornata di quasi 1000 persone senza particolare qualificazione), la vergogna del laboratorio anti-doping di Roma, la semina dei biglietti omaggio ai notabili per la tribuna autorità dello Stadio Olimpico o con la tessera CONI (che garantisce l’accesso a tutte le manifestazioni sportive del Paese).
La mossa prevedibile dei Monopòli, grazie alla munifica iniezione di denaro garantita da Giorgetti, sarà di lanciare online il Totocalcio creando un interesse live. Basterà?