I diritti dell’uomo / Il prossimo tuo

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Le persone solidali, le associazioni che praticano e sostengono la solidarietà, sembrano soggiogate dalle vittorie elettorali degli xenofobi e si comportano come se davvero costoro avessero il mandato del popolo, di tutti gli italiani. Anche se si esprimono non fanno notizia. Le forze politiche che si presumono opposte agli xenofobi potrebbero agire ed esprimersi in modo efficace – ne hanno i mezzi – ma non agiscono praticamente perché non hanno elaborato e non stanno elaborando proposte sociali realizzabili e, in immagine, preferiscono non contrapporsi al presunto consenso della maggioranza.

Parlano, parliamo, tutti a bassa voce, come se gli argomenti giusti, forti, fossero diventati deboli per mancanza di consenso politico. Non è un buon modo di resistere. Scelte diverse da quelle distruttive, feroci, del governo – il blocco dei porti, la chiusura in via di attuazione degli SPRAR e dei CAS – vanno almeno definite, dette, sostenute, se si vuole che il consenso ad esse diventi possibile. Non si può cambiare lo stato di cose presente se si sostiene una versione attenuata del mutamento in peggio sostenuto dalla destra. Se si propone una copia stinta di ciò che fa il Governo, i più scelgono il Governo; o si astengono.

Le misure cui il Governo dà il massimo rilievo, le misure simbolo, sono contro i migranti, gli stranieri. Ma non sono le sole misure inaccettabili. Si pensi alla sicurezza in generale, alle armi, alla legittima difesa; e alla tassazione regressiva.

I migranti e la sicurezza: la percezione e la realtà

Non c’è un’emergenza migranti in Italia. Se mai in futuro ci fosse lavoro, a tutti i livelli, ci accorgeremmo che i migranti, diminuiti per la situazione economica e per il blocco, sono troppo pochi. Nessuno ha inventato un modo di avere dei ventenni senza aver avuto dei neonati venti anni prima; o senza lasciarli arrivare dai Paesi dove sono nati. Nessuno può inventare da un giorno all’altro falegnami e tornitori, medici, infermieri, insegnanti.

Non c’è un’emergenza sicurezza in Italia. I reati, in particolare quelli violenti, sono in calo. Restano solo quelli familiari, di prossimità: da cui l’attenzione sui femminicidi, che sono quasi sempre frutto di violenze di maschi nei confronti di donne conosciute molto bene. La pretesa di sottrarre alla giurisdizione, a un giudice terzo, chi dichiari di avere usato la violenza per difesa, per paura, è una risposta intrinsecamente, profondamente sbagliata perché privilegia le emozioni dichiarate sugli atti, sui fatti e perché vuole sottrarre al giudice terzo il campo, importante se accertabile, delle motivazioni, affidandolo interamente a chi ha agito. Se si applicasse lo stesso criterio al femminicidio, come qualcuno tenta di fare (“se l’è cercata”), qualcuno sosterrebbe che la gelosia è un’emozione forte quanto la paura.

In genere quando si ricorda il numero decrescente dei migranti, economici e perseguitati, troppo pochi per compensare il saldo naturale negativo, o l’inesistenza del problema sicurezza, e della corsa ad armarsi, in genere si obbietta che quel che conta non è la realtà ma la percezione. Su questo punto vorrei invitare a riflettere.

Ci saranno xenofobi assoluti, diventati tali con percorsi psicologici propri, che resterebbero tali anche in assenza di stranieri, come ci sono stati e ci sono antisemiti in assenza di ebrei, anche se una ostilità indiscriminata generata nella testa del soggetto ostile, non riferita a nessun nemico identificabile, è forse più rara. Ma molti xenofobi hanno costruito la propria ostilità in presenza di stranieri reali o delle informazioni che ricevono sugli stranieri, attraverso, la scuola, la famiglia, l’ambiente, i media, che, direttamente e indirettamente, sono influenzati dalle scelte politiche e dai silenzi dei partiti. Ambedue i percorsi consentono delle risposte, delle precisazioni. Il percorso che implica la famiglia e l’ambiente è solo più lungo. Il controllo di realtà dell’informazione è possibile, in modi diversi a seconda della professione e delle competenze. L’universalismo dell’insegnamento, nel rispetto dei rapporti di prossimità e degli affetti, è un dovere della Repubblica e degli insegnanti. Non si deve trasformare la scuola in propaganda, ma dobbiamo sostenere una scuola che rispetti il principio di realtà, che si occupi della realtà.

Diverso è il caso della percezione che deriva da un contatto parziale, deformato, con i migranti. La maggior parte dei migranti che è riuscita a trovare un lavoro non si vede in strada e si vede di notte solo se ha i turni scomodi o lavora più dell’orario contrattuale o senza orario, come le badanti. I migranti si vedono e destano allarme, più dei locali se sono fisicamente riconoscibili, in alcuni quartieri in cui si concentra lo spaccio o la prostituzione stradale, o intorno alle stazioni, o quando mendicano, e magari sono giovani e in buona salute. In questo caso si tratta di fallimenti reali del percorso di integrazione che riguarda direttamente chi lavora coi migranti per prevenire o rimediare e, solo in ultima istanza, la Pubblica Sicurezza, se si tratta di criminalità organizzata e di sfruttamento della prostituzione, che è un reato. Non abbiamo bisogno di strette repressive, ma neanche possiamo far finta di nulla se ci sono ragazze vittime della droga e della miseria che in città incontrano solo uomini violenti, locali o migranti che siano.

È il caso di Pamela Mastropietro fatta a pezzi a Macerata o di Desirée Mariottini lasciata morire di overdose a Roma, in via dei Lucani, al Tiburtino. Ho abitato al Tiburtino, allora un quartiere operaio, alla Casa dello studente, per cinque anni tra il ‘55 e il ‘60. Il quartiere emblematico del degrado era allora il Tiburtino terzo, i baraccati. Ho continuato a frequentare il Tiburtino per un albergo a basso prezzo a quattro passi da via dei Lucani e raggiungibile a piedi da Termini, per decenni. Poi mi ha costretto a cambiare albergo il degrado del quartiere. Non i nigeriani in particolare, ma il degrado generale, l’immondizia, le buche, il buio, la mancanza di esercizi pubblici. Degradata è anche la Casa dello studente, una volta molto frugale, ma non una bolgia come ora. Si capisce però che gli stranieri che si incontrano la notte al Tiburtino non sembrino un aiuto alla convivenza, anche se il problema urbanistico e sociale del Tiburtino, come quelli dei migranti in Italia, riguardano l’intero Paese e non i migranti o un unico sindaco. I problemi sono la disoccupazione e il degrado urbano, non i migranti.

Per cambiare la percezione bisogna risolvere, almeno in parte, problemi generali: diminuire le diseguaglianze, non solo quella tra migranti e nativi, diminuire la disoccupazione, non chiedere espulsioni o accettare il blocco dei porti e cancellare i salvataggi in mare, che, malgrado i lutti, sono un vanto degli uomini di mare in Italia.

Per informare non basta ripetere che dei migranti c’è bisogno, anche per noi, ma è necessario cercare o calcolare i dati reali in dettaglio, come abbiamo fatto qualche volta, in parte. Bisogna smentire le sciocchezze propagandistiche come la scoperta che, alla fine, anche i migranti vanno in pensione, col contributivo naturalmente, e senza riuscire a farsela pagare davvero quando sono tornati nel Paese di origine. O la cifra, ora cancellata, dei 35 euro per l’accoglienza, che andavano a chi fornisce accoglienza e non agli accolti. Dieci anni fa, prima della crisi ancora in corso, il tasso di attività degli stranieri era 10 punti più alto di quello degli italiani; ora, malgrado i licenziamenti preferenziali, è ancora più alto di qualche punto. Non c’è stata accoglienza ma uso di lavoro a basso costo. Anche del basso costo bisogna discutere perché può costituire corsa al ribasso, ricorso preferenziale al lavoro irregolare, ma si tratta di un problema sociale generale, affrontabile sindacalmente e politicamente, non di ordine pubblico o di scontro di civiltà.

Il prossimo tuo e i diritti

Non credo basti limitarsi al rispetto dei fatti. Chi sostiene l’accoglienza viene definito “buonista”, un babbeo che opera ingenuamente a proprio danno sostenendo gli invasori. Credo che non bisogni vergognarsi di essere solidali. Vantarsene no, non sta bene; rivendicarlo sì. I diritti sono il punto di arrivo di un lungo percorso giuridico, politico, sindacale. La solidarietà realizzata è il punto di arrivo della parte caritativa, nel senso più alto, della religione tradizionale, anche nella variante riformata – i valdesi, che di universalismo sono stati maestri. Era nato a Casale, non lontano da Torino – ed è alla fine morto di Casale, di epitelioma pleurico, di amianto – Pier Cesare Bori, che alla convergenza dei princìpi etici delle grandi religioni e dell’Universalismo laico ha dedicato la vita. Teneva seminari ai migranti carcerati alla Dozza di Bologna, sui testi sacri e su quelli di legge e di filosofia, in italiano e in arabo. Dovremmo provare a seguirne l’esempio continuando il confronto. Sappiamo bene che le guerre di religione sono possibili. Anche le convergenze lo sono, se si studia e si lavora per realizzarle.

Non abbiamo il vento a favore, in questo momento, ma neppure siamo travolti dal rifiuto di rispettare la vita e la proprietà degli altri. Perché ci sia criminalità ci vuole degrado sociale, organizzazione di alcuni a danno degli altri. Quando davvero molti scendono in strada a bruciare e saccheggiare, come è avvenuto e sta avvenendo a Parigi e nel resto della Francia, tutti ci chiediamo quale è il problema sociale, qual è la causa del rifiuto della politica del governo, che spinge molti alla rivolta. I casseurs e i saccheggiatori sono una infima minoranza che producono grandi danni, ma non propongono l’abolizione dei princìpi etici: si limitano a violarli. Sanno di fare il male, per motivi qualche volta oscuri – gli infiltrati – qualche volta miserevoli. Ci sono quelli che affermano princìpi violenti, anche su una base religiosa o politica, come i terroristi dell’ISIS, ora, all’apparenza, sconfitti, ma non sono e non sono stati loro, gli esterni, la minaccia maggiore alla convivenza.

I violenti non ci sono estranei. Anche noi abbiamo avuto i nostri terroristi, storici, come l’ala violenta degli anarchici o i fascisti, e contemporanei. Ma nulla hanno avuto a che fare con lo “scontro di civiltà”. È ai periodi totalitari e violenti del nostro passato che dovremmo guardare con timore, dal cui ritorno dovremmo difenderci.

“Noi” e “loro”

Abbiamo accettato implicitamente la separazione tra “noi” e “loro” ogni volta che abbiamo sostenuto programmi rivolti non a una fascia sociale ma agli stranieri in quanto tali. Qualche volta è stato ed è inevitabile perché la differenza di condizione giuridica dello straniero lo isola di fatto. Ma la funzione di esercito industriale di riserva nei periodi di alta disoccupazione è di tutti i disoccupati. Nei periodi di crisi sostenere la legittimità, o la utilità, degli arrivi diventa difficile, o si limita ai doveri nei confronti di chi rischia la vita o sofferenze gravi, di chi fugge da persecuzioni, di quelli che chiedono asilo. Si tratta in ogni caso di conciliare i diritti diversi dei vari attori.

La disuguaglianza crescente, accettata di fatto, sostenuta anche da governi di centrosinistra, denunciata da alcuni ma non frenata, ha portato i ceti sociali più poveri al di sotto della sussistenza. Ha portato sotto la sussistenza la retribuzione di alcuni lavori. Non è il caso di tentare in un articolo la rassegna delle rivendicazioni e delle iniziative assolutamente necessarie. È invece necessario sostenerne almeno alcune in ciò che facciamo, con le confederazioni sindacali se possibile, con sindacati nuovi o senza sindacati se necessario.

Il rispetto del prossimo / dei diritti dell’uomo e gli interessi e le convinzioni dei vecchi residenti possono confliggere. Gli ingressi per ricongiungimento familiare sono i più naturali, i più necessari umanamente e socialmente. Ma si tratta di ingressi tendenzialmente permanenti, di gruppi coesi, che aiutano sì la tenuta sociale evitando il moltiplicarsi dei minori non accompagnati, dei genitori single, delle donne sole, degli uomini soli, ma generano anche conservazione di costumi, trasmissione di fedi religiose che ad alcuni vecchi residenti possono non piacere. In periodi e in Paesi favorevoli al multiculturalismo le differenze sono state valutate positivamente. È stata valutata positivamente la etnointegrazione, la integrazione all’interno della propria comunità (è una tesi sostenuta anni fa all’Università cattolica Lovanio), a sua volta integrata nella società di tutti. Oggi Stéphane Perrier, in La France au miroir de l’immigration, sostiene la pericolosità dei ricongiungimenti familiari perché perpetuerebbe le differenze culturali e dei matrimoni “falsamente interetnici”, tra un cittadino originario di un altro Paese e un migrante proveniente da quello stesso Paese. Che le persone siano divise da appartenenze culturali una volta e per sempre, che ci siano culture assolutamente distinte, gli sembra di per sé evidente, ma non lo è affatto per gli antropologi più autorevoli, non solo per i benintenzionati.

Ci sono voci dissenzienti, non il blocco compatto del popolo italiano diventato xenofobo. Quelli che seguono papa Francesco e si identificano con la dichiarazione dei diritti dell’uomo forse sono la maggioranza e possono essere anche la maggioranza politica, se gli viene consentito di esprimersi.

C’è molto lavoro culturale da fare. Ci sono approfondimenti a cui lavorare e polemiche da sostenere. Non possiamo condurle a capo chino, cercando di mascherare le nostre convinzioni perché non avremmo il consenso dei nostri concittadini. Per sapere se sono d’accordo dobbiamo fare loro proposte chiare.

dicembre 2018

Gli autori

Francesco Ciafaloni

Ha lavorato come ingegnere per l'AGIP mineraria fino all'estate del 1966, ho lavorato per Paolo Boringhieri editore dall'agosto '66 al 1/1/1970. Poi ha lavorato per Einaudi fino all'estate del 1980. Da allora ho lavorato per la CGIL. È stato collaboratore dei Quaderni Piacentini, di Inchiesta, di Ombre Rosse, dello Straniero, degli Asini, di Una città.

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