La necessità di ricostruire una coscienza collettiva

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Quanto sta accadendo in Italia negli ultimi tempi in campo istituzionale non appare a prima vista una grande novità: con forze politiche e soggetti diversi, si assiste a una riedizione del passato remoto e recente della Repubblica, una ripetizione di condotte poste in essere all’insegna del colpire ad “alzo zero” ora uno ora l’altro dei soggetti sociali destinatari delle leggi in cantiere.

Il cosiddetto decreto sicurezza, la cui legge di conversione è stata promulgata ieri dal Capo dello Stato, è l’ultimo prodotto del Governo e della maggioranza parlamentare. A cui si aggiungerà, mancando solo il voto della Camera, la nuova disciplina della legittima difesa. Un connubio tra provvedimenti che sembrano non avere elementi in comune, ma che al contrario infieriranno all’unisono sulla ferita già inferta alla democrazia.

Questo Paese ne ha viste tante.

In un passato non troppo lontano, molti interventi legislativi furono costruiti per salvaguardare chi gestiva il potere, insidiando l’ordinamento giuridico con normative ad hoc per garantire a largo raggio immunità e impunità: erano i frutti della destra al potere, di molto avvantaggiata da un’opposizione già sulla strada dello smarrimento e in via di sparizione. Ma a ostacolare il progetto illiberale e un po’ golpista della destra, c’era una grande collettività di persone unite dall’elementare dovere di difendere la democrazia. Pur cogliendo i segnali della rarefazione dei riferimenti politici e di partito, questa grande e differenziata comunità, di sinistra nel suo profondo, era forte: si cercava, si incontrava, discuteva ed esprimeva un unanime aperto dissenso; soprattutto voleva e sapeva opporsi, ribellarsi, disobbedire.

Poi la rarefazione è arrivata: la sinistra di riferimento frantumata, dileguata, scomparsa da ogni radar democratico. E quella comunità, ancora pronta a difendere valori come l’antifascismo, ha vissuto sulla propria pelle, e nell’anima, cosa avesse significato per la presunta “sinistra” varcare la soglia di Palazzo Chigi e diventare maggioranza al Parlamento: con il benestare di leggi elettorali ad hoc, s’intende, o, in alternativa, arrivandovi attraverso rotazioni e scambi di campanelli privi di preventivo passaggio elettorale.

I risultati sono arrivati come mazzate: statuto dei lavoratori cancellato e disintegrata la vita di generazioni di lavoratori; diritti sociali annientati in nome della superiorità di fantasmagorici “mercati”; educazione scolastica ridotta a un apprendimento aziendale privo di futuro; diritti costituzionali aggrediti sfidando i fondamenti della Repubblica parlamentare.

Con le leggi approvate o in corso di approvazione in Parlamento negli ultimi due mesi, non si è, dunque, di fronte a una novità: piuttosto, mantenendo una continuità d’indirizzo, si è alzata l’asticella diretta a sacrificare i valori dell’umanità.

Il decreto sicurezza e la “nuova” legittima difesa toccano le corde di un sentire collettivo che non ha nulla del concetto di popolo, se non di un “popolo” surrettiziamente elevato a diretto beneficiario di risposte apparenti ai suoi bisogni di sicurezza, di ordine, di pulizia, di tranquillità. Sono leggi passate sotto le porte come polvere e poi presentate a porte aperte, inneggiando a esigenze di sicurezza come presupposto di legittimità.

Ma quella comunità che solo pochi anni fa sapeva opporsi – sola allora, come sola è oggi – ha la forza di respingere questa ondata?

Starebbe in questo la novità. Starebbe nel ritrovare la forza collettiva di difendere, con parole e comportamenti, l’uguaglianza, la solidarietà, il diritto, la giustizia, la legalità. Princìpi che stanno per essere soffocati da quella polvere che si fa legge; che rischiano di perdere dignità ed esistenza se non ci si oppone a decisioni nemiche della vita democratica della comunità. Una comunità fatta di donne e uomini che, pur in questo perdurante silenzio, non si capacitano di rinunciare ai diritti in nome di una presunta tranquillità sociale. La novità starebbe nell’abbandonare il pericoloso individualismo in cui molti ci si è rifugiati, nell’esprimere opposizione a tutte le ingiustizie insinuate nel tessuto sociale, guardandosi in volto, cercandosi nei luoghi pubblici, abbandonando tastiere di computer e messaggi whatsapp per ritrovare la strada comune della difesa dei valori costituzionali che hanno fatto di questo popolo, parola autentica, un popolo democratico.

Solo così, parlando e ragionando insieme, trasformando nuovamente il proprio sentire individuale in un sentire collettivo, si sarà in grado di ricostruire un’opposizione capace di incidere sulle decisioni che condizionano la vita di tutti. Si riuscirà a comprendere quanto sia ingannevole uno Stato che, dopo avere abdicato al dovere di rendere sicura la vita dei cittadini, li invita e li legittima ad armarsi e a sparare a chiunque solo minacci di introdursi nella loro vita privata, promettendo impunità che sa di non potere assicurare. Si riuscirà a comprendere che non rappresenta una collettività democratica chi, con le armi del potere e della persuasione fondata sulla paura, insinua l’aberrante concezione che migrare sia un reato e che l’essere immigrato in terra italiana vada punito come uno status criminale e cancellato come status sociale. Si riuscirà a comprendere che è disumana e incivile la criminalizzazione di persone private di una vita sociale dignitosa dallo stesso Stato, che riconverte in reati l’accattonaggio o il blocco stradale e aumenta a dismisura le pene detentive per reati come l’occupazione di edifici, raffigurati come comportamenti di pericoloso allarme sociale.

Il quadro normativo che abbiamo sotto gli occhi è giuridicamente e umanamente contrario al vivere civile di una comunità democratica.

Meglio sarebbe non aspettare di capire quanto tutto ciò farà presa nell’opinione pubblica. Le emozioni e le paure del momento – abilmente costruite per ottenere consenso – diventano fonte di legittimazione per applicare divieti, punizioni, discriminazioni, disuguaglianze. Occorre essere consapevoli che così si perdono pezzi di libertà e che, con il silenzio e l’individualismo, si contribuisce alla degenerazione della nostra umanità.

Tutto dipende perciò dalla costruzione, o meglio dalla ricostruzione, di un diverso vivere civile, guidato da principi semplicemente umani. Dipende dalla volontà di far valere e di difendere collettivamente questi principi.

La forza della democrazia sta in una consapevole, forte, unitaria coscienza collettiva.

Gli autori

Silvia Manderino

Silvia Manderino, avvocata a Venezia, è componente del direttivo dell'Associazione nazionale Giuristi democratici

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One Comment on “La necessità di ricostruire una coscienza collettiva”

  1. Siamo sicuri che l’obiettivo di ….
    “…. abbandonare il pericoloso individualismo in cui molti ci si è rifugiati ….”
    si possa raggiungere …
    ” … abbandonando tastiere di computer e messaggi whatsapp …”?
    E se fosse necessario, invece, imparare ad usare le une e gli altri in modo diverso?
    Anche le etichette con cancelletto [hashtag] possono contribuire ad aggregare partecipazione. Oggi invece si usano per aggregare seguaci [follower], come se fossero solo strumenti di una Tecnologia Alleva Galline [TAG] per Orfani di Sistema [OS].

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