Volerelaluna.it
13/06/2018 di: Gianandrea Piccioli
Con stanchezza e sconforto crescenti ho seguito sulla stampa i commenti e le articolesse sulle ultime vicende politiche del nostro infelice paese, dai concitati giorni prima della nascita del governo Conte & Custodi e poi fino alla vergognosa vicenda dell’ Aquarius e relative baruffe europee. Analisi, consigli, strategie… specie nel campo della già sinistra. Sarò disfattista, forse proietto sul mondo un mio stato d’animo senile e blandamente depresso, ma ho l’impressione che ci sia in giro uno scarso impegno a leggere quanto sta succedendo. Negli ultimi decenni non si è soltanto chiuso un ciclo, quello del post seconda guerra mondiale o della guerra fredda o del keynesismo o del comunismo, ognuno si scelga il suo termine a quo preferito, ma una vera e propria era, e cioè quella degli ultimi tre secoli, grosso modo, in rozza progressione cronologica, da Adam Smith, dalla prima rivoluzione industriale e dall’espansione coloniale fino al crollo dell’ URSS, alla definitiva conversione al neoliberismo della sinistra europea e all’esplodere della tecnologia informatica.
Ho la sensazione che viviamo ancora inconsapevoli di tutto ciò che questo passaggio comporta, anche perché, nonostante Wallerstein e Arrighi e i tanti saggi recenti, non abbiamo le chiavi di lettura per comprenderlo: siamo in mezzo al guado e ci gingilliamo con pensieri e sentimenti e soprattutto definizioni e termini di un passato che non c’è più e non abbiamo ancora l’alfabeto del futuro, posto che ce ne sia uno per il pianeta che stiamo consumando come le tarme un panno di lana. Ci mancano le parole, quelle della tradizione sono etichette su bottiglie ormai vuote, che possono essere riempite di qualsivoglia bevanda: basta pensare all’abuso dei termini “populismo” o “élites”: il primo un cassetto disordinato che si può riempire di significati opposti, le seconde divise tra economiche e intellettuali (e la distinzione fa una bella differenza, come ha notato recentemente anche Carlo Freccero polemizzando con Alessandro Dal Lago sul “Manifesto”).
Quindi anche le nostre piccole rivoluzioni casalinghe, tra il dottor Dulcamara dell’Elisir d’amore e alcune maschere della Commedia dell’Arte, tipo il capitan Matamoros e Arlecchino o Pulcinella (la tragedia la facciamo vivere ai migranti), sono un piccolo gorgo in un fiume che ormai si è scavato un altro alveo. Tutti deprecano, danno consigli, si impancano a statisti, ma intanto il mondo va da un’altra parte.
Prendiamo atto che l’Europa non esiste più e che se invece dovesse sopravvivere sarà sempre più preda di sovranismi di ogni genere; prendiamo atto che l’Occidente non è più egemone e soprattutto che il capitalismo globalizzato ci porta tutti allo schianto, come avevano previsto i maestri otto-novecenteschi del marxismo.
Ricordiamoci anche che tutti i tentativi precedenti di globalizzazione, da quello dei tempi della regina Vittoria e dell’invenzione del telegrafo in poi, sono finiti male. Del resto già il mito della Torre di Babele voleva insegnarci che se tutta la terra ha “una sola lingua e le stesse parole” la tentazione è quella della potenza in cui chiudersi, mentre è con la diversità delle lingue che il Signore “li disperse su tutta la terra” e quindi la popolò.
Forse, per chi ancora ama quella che un tempo si chiamava “sinistra” e vuole raccoglierne la bandiera, è il momento di abbandonare le frasi fatte e gli slogan e le ricette scadute e piuttosto ricominciare da capo. Riprendiamo le fila della storia antecedente al secolo breve, rileggiamo gli “eretici” Orwell, Silone, Chiaromonte. Hannah Arendt e Simone Weil, Elsa Morante e Anna Maria Ortese.
Ripartiamo accettando la nostra debolezza e la povertà dei saperi di cui disponiamo. Attenti più agli uomini che alle idee, ma cercando anche di ricostruire un senso nel nuovo mondo in cui ci tocca vivere. Facciamo in modo che siano le nostre azioni a certificare i nostri pensieri e non il contrario.
E senza fretta riallacciamo le reti. L’Italia è piena di giovani e meno giovani che si organizzano in mille iniziative: agricole, culturali, teatrali, musicali, piccole cooperative, gruppi ecologici, volontariati vari… Spesso aiutati da qualche eroico assessore, per lo più di piccoli comuni. Un tempo erano i partiti o la chiesa che organizzavano la spontaneità sociale e facevano da punti di riferimento, oggi è la fluidità della Rete, il che vuol dire che sono abbandonati a sé stessi: la Rete informa ma non coagula, non struttura e soprattutto non ha la materialità e i linguaggi dei corpi, fondamentali per ogni interazione umana. Né ha continuità: tutto si disperde con un click, tutto è volatile. Però comunica, e questa è una possibilità straordinaria, superiore a quella delle radioline a transistor che furono uno strumento prezioso per i movimenti anticolonialisti del Novecento. E diversamente da queste permette il dialogo e quindi non è in opposizione a un contatto diretto; forse potrebbe esserne la premessa: basterebbe pensare non a una sostituzione ma a un’integrazione.
Secondo un racconto popolare sudamericano un giorno scoppiò un incendio nella foresta e il colibrì cominciò a far la spola dal fiume al fuoco lasciando ogni volta cadere una goccina d’acqua sulle fiamme. Il giaguaro gli disse sprezzante: “Che cosa credi di fare con quelle goccioline?” E il colibrì: “Faccio la mia parte.”