Riflessioni su una resistenza nonviolenta vincente. Le truppe tedesche iniziano l’invasione di Norvegia e Danimarca il 9 aprile’40. Due divisioni di fanteria, calpestando il Patto di non aggressione firmato nel 1939, invadono la Danimarca: avanzano rapidamente, prendono possesso del territorio e di Copenhagen.
Re Cristiano X, informato di un’offerta da parte della Germania di una “protezione da parte del Reich” che avrebbe dovuto garantire l’indipendenza e la neutralità del paese, firma la capitolazione, alle ore 14, ritenendo insensata una resistenza che avrebbe portato inutili lutti e distruzioni al paese; il Re e il Governo, nell’assoluta impossibilità di fermare l’aggressione, evitano di proclamare una mobilitazione generale; l’invasione della Danimarca si realizza senza opposizione militare e quasi senza spargimento di sangue (16 morti e 20 feriti danesi e 20 feriti tedeschi). All’estero, questa scelta viene ridicolizzata.
Il trattato di pace tra Danimarca e Germania consente al Re e al Governo di rimanere in carica, con il solo ambasciatore tedesco a rappresentare gli interessi del Reich; unica condizione, non compiere atti ostili contro le forze di occupazione da parte dei danesi e non violare i diritti costituzionali da parte degli occupanti.

Di grande significato per il popolo è la scelta del Re di non prendere la via dell’esilio, come accaduto in Norvegia e Paesi Bassi. La sua presenza costante, con le quotidiane passeggiate a cavallo per le vie della capitale, diviene un simbolo del silenzioso atteggiamento ostile dei danesi. Nel 1941, però, inizia il malumore verso il governo che accetta di cedere alcune torpediniere ai tedeschi e sopprimere il partito comunista con l’arresto di suoi dirigenti. Comincia la resistenza nonviolenta con l’ostruzionismo verso gli occupanti: cori tradizionali contro i concerti della banda militare tedesca, lavori lenti o sbagliati da parte degli impiegati, studenti che portano berretti di lana bianchi, rossi e blu, i colori dello stemma danese (poi proibiti), la “spalla fredda” cioè tacere e uscire da un negozio o ristorante se entrano dei tedeschi (non rispondendo a domande).
Dall’estate’43 crescono i sabotaggi nei cantieri navali: erano 19 nel’41, diventati 122 nel’42, si moltiplicano a 969 nel’43. Con l’ordine di far sorvegliare gli operai da guardie armate, nascono scioperi (in 2 settimane, in15 città) che riducono sensibilmente la produzione. Nel settembre’43 nasce il Consiglio delle Libertà (7 membri dai conservatori ai comunisti, largamente seguito dalla popolazione e dai gruppi di resistenza civile che, con le azioni di sabotaggio alle vie di comunicazione e industrie, in particolare aeronavali e d’armi (non contro i soldati tedeschi) provocano una grande crisi nell’agosto’43 e i comandanti tedeschi non son capaci di fronteggiare.
L’ostilità culmina con la Sala delle Rappresentazioni di Copenhagen fatta esplodere (senza vittime) poco prima che sia adibita ad alloggio di soldati tedeschi. Questo causa il coprifuoco, la legge marziale, fino al maggio’45 e deportazione in campi di prigionia dei sospetti. Dopo l’aggressione ad un ufficiale tedesco e il rifiuto danese di consegnare i colpevoli, i tedeschi assumono il controllo di tutte le instituzioni, il Re agli arresti domiciliari, il governo si dimette. C’è anche il tentativo tedesco di impadronirsi della piccola flotta danese, nel porto di Copenhagen, ma 29 navi sono auto-affondate ed altre 13 riparano in porti svedesi.
Ora la risposta nonviolenta popolare è fondamentale: viene attivato tutto il tessuto associativo, nascosti i ricercati e raccolto il denaro per la loro fuga in Svezia, accompagnati di notte all’imbarco mentre i membri della resistenza sorvegliano le strade. Collaborano molte associazioni della società civile e organi amministrativi, polizia e guardia costiera, arrivando a pagare con la vita e le deportazioni. Grazie a questa mobilitazione più del 90% dei 7.695 ebrei danesi viene salvato. Si affianca, come negli altri paesi scandinavi, un rifiuto diffuso da parte di insegnanti, magistrati, medici e sportivi (spesso appoggiati dalle Chiese) ad iscriversi ad associazioni naziste. In Norvegia, non si organizzano gare sportive fino a fine della guerra, contribuendo ad allontanare i giovani dal regime.
L’esperienza danese insegna che la lotta nonviolenta può essere più efficacie di quella armata e una popolazione che coopera verso un fine comune può ottenere grandi risultati. C’è ancora molto da capire sul contributo alla lotta antinazista (e a qualsiasi lotta): oggi lo si valuta in termini di morti in combattimento; sarebbe invece giusto misurarlo anche sulla quantità di energie, beni, e vite strappate al nemico; sul sangue risparmiato non meno che sul sangue versato.
Nella Danimarca, occupata dai nazisti dal 1940 al 45, tutto il popolo si rifiuta di collaborare alla persecuzione degli ebrei: all’ordine di scrivere Jude sulle vetrine dei negozi ebrei, anche gli altri negozianti lo scrivono sulle loro. Quando gli ebrei sono costretti a portare la stella gialla come distintivo, tutta la popolazione, re in testa, fa altrettanto. Così quasi nessun ebreo è deportato nei campi di concentramento.
La storia degli ebrei danesi e il comportamento della popolazione e del governo danese dà un’idea dell’enorme potenza della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori.
Anche Svezia, Italia e Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall’antisemitismo, ma solo i danesi osarono dire apertamente ciò che pensavano.
Italia e Bulgaria sabotarono gli ordini e con un complicato doppio gioco, salvarono molti ebrei, ma non contestarono mai apertamente la politica antisemita.
Invece i danesi, quando i tedeschi li invitarono a introdurre il distintivo giallo, risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le dimissioni.
I tedeschi non riuscirono a imporre una distinzione tra ebrei di origine danese (6.400) e i 1400 di origine tedesca riparati in Danimarca prima della guerra, che il governo del Reich aveva dichiarato apolidi.
I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome, in quanto apolidi, non erano più cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Così le operazioni furono rinviate all’autunno’43. Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a ciò che avveniva in altri paesi d’Europa, fu un grande scompiglio.
Nell’agosto’43 (fallita l’offensiva tedesca in Russia, l’Afrika Korps arreso in Tunisia e gli Alleati sbarcati in Italia) il governo svedese annullò l’accordo concluso con la Germania nel 1940, per cui le truppe tedesche potevano attraversare la Svezia. A questo punto nei cantieri della Danimarca gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamò lo stato d’emergenza e impose la legge marziale, e Himmler pensò che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui “soluzione” si era fatta attendere fin troppo. Ma trascurò che i capi tedeschi da anni in Danimarca non erano più quelli di un tempo: il comandante militare, si rifiutò di mettere truppe a disposizione del plenipotenziario del Reich e le SS criticavano i “provvedimenti degli uffici centrali”. Così Eichmann mandò uno dei suoi uomini più duri, Guenther. Ma furono catturati solo gli ebrei che aprivano volontariamente la porta, 477 (su 7.800) anziani o poveri, non avvertiti in tempo o che non avevano capito la gravità della situazione.
Interessante il comportamento delle autorità tedesche, l’evidente sabotaggio degli ordini di Berlino. E’ l’unica volta che i nazisti incontrano una resistenza aperta, e quelli che vi si trovano coinvolti cambiano mentalità: non vedono più ovvio lo sterminio di un popolo.
L’articolo è comparso sulla pagina facebook di Michele Boato il 23 aprile 2022