Il procuratore Gratteri e il giusto processo

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La protesta degli avvocati delle Camere penali e dei magistrati di Magistratura democratica ha accolto le dichiarazioni del procuratore Gratteri a commento di una nuova maxi-indagine condotta dall’ufficio che dirige a Catanzaro. Gratteri, in un’intervista resa a Giovanni Bianconi, ha risposto alla domanda del perché spesso le sue indagini con decine di arresti vengono ridimensionate dal Tribunale del riesame o dai diversi gradi del giudizio. Il procuratore ha ricordato che è il pubblico ministero che chiede le misure cautelari ed è un giudice che le decide, aggiungendo «se poi altri giudici scarcerano nelle fasi successive, non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni». La domanda successiva è stata ovvia: «Ci sono indagini in corso? Qualche pentito parla anche di giudici?». E il procuratore ha ritrovato il dovuto riserbo: «Su questo ovviamente non posso rispondere».

Non è la prima volta che le parole di Gratteri ‒ che sarebbe stato ministro della Giustizia nel Governo Renzi se il presidente Napolitano non si fosse opposto ‒ suscitano sconcerto. Emerge mancanza di rispetto del ruolo proprio del pubblico ministero nel processo, del valore della presunzione di innocenza per tutti gli indagati, del senso profondo della dialettica tra pubblico ministero e difensori di fronte al giudice.

Ma questa volta il procuratore ha lanciato gravissime insinuazioni sui giudici che non seguono le sue indicazioni. E ha fatto intendere che in quei casi potrebbe esserci qualcosa di losco che la storia si incaricherà di mettere in luce. Inaudito. È persino troppo ricordare il codice etico della magistratura o i documenti europei che invitano a impedire che pubbliche autorità rilascino dichiarazioni che fanno intendere che gli indagati siano colpevoli, prima della sentenza di condanna definitiva. Qui siamo sotto il minimo della cultura istituzionale, che comporta l’accettazione dei limiti del proprio ruolo, non di oracolo repressivo del male, ma di parte in una procedura che si svolge davanti a giudici secondo le regole del processo. I quali giudici, sentiti i difensori, devono applicare con prudenza le regole di ammissibilità e di valutazione delle prove, con esiti che la legge vuole anche diversi da quelli proposti dal pubblico ministero. Le regole strette del processo penale lo rendono poco adatto alla lotta contro fenomeni, siano essi criminali o di malcostume. Esse sono disegnate per assicurare il giusto processo a ciascuna delle persone contro le quali il pubblico ministero eleva una accusa penale. E menzionando ciascuna persona accusata, il pensiero va ai processi con centinaia di imputati, per chiedersi come sia possibile la doverosa, approfondita valutazione individualizzata.

Il codice di procedura, con le sue regole, tende a selezionare il più possibile gli indagati da rinviare a giudizio. La regola è che gli elementi acquisiti non debbono essere insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio e ottenere dal giudice una sentenza di condanna. Il troppo elevato numero di assoluzioni all’esito delle indagini preliminari o nelle diverse fasi del giudizio dimostra che questa regola è scarsamente osservata e che da parte dei pubblici ministeri e dei giudici preliminari vi è una insufficiente selezione iniziale delle ipotesi accusatorie e una inclinazione ad accuse azzardate, prive del necessario riscontro con le prove. Si tratta di un fenomeno dannoso per gli imputati ed anche per l’opinione pubblica, indotta a credere alle accuse e poi all’oscuro della realtà risultata dal processo.

A seguire quanto dice il procuratore Gratteri, ci sarebbe da credere che fondata è l’iniziale accusa e sospetta la finale assoluzione. E i Tribunali vengono ingolfati di processi che non dovrebbero esser portati avanti. Le sentenze di assoluzione spesso giungono dopo anni e dopo che gli imputati hanno subìto danni umani e professionali spesso enormi.

È di questi tempi la rinnovata denunzia della frequenza di processi, talora persino con iniziali privazioni di libertà, che durano molti anni e si concludono con assoluzioni (non solo con sentenze di prescrizione). Spesso gli indagati sono persone che hanno ruoli pubblici e che vengono indotte alle dimissioni o comunque impedite nella loro normale azione. In quei casi le conseguenze pesano non solo sulle persone, ma anche sull’ordinario funzionamento della cosa pubblica. Non solo la normale prudenza, ma anche la massima rapidità delle decisioni in tutti i gradi del giudizio dovrebbe in quei casi essere obbligatoria.

Ora, in una delle riforme pendenti in Parlamento (e riportate nel progetto di Recovery Plan) si propone di modificare il criterio di selezione dei procedimenti da portare a giudizio: non idoneità degli elementi acquisiti a consentire una ragionevole previsione di accoglimento della tesi accusatoria nel giudizio (cioè la condanna). Si tratta di un ritocco della formula del codice vigente. Di per sé non servirà a nulla se dalla magistratura non verrà una convinta adesione culturale e professionale, consapevole del proprio ruolo nel rapporto tra lo Stato e l’individuo, regolato dal giusto processo. Fossero rappresentative, le frasi del procuratore Gratteri non preluderebbero a nulla di buono.

L’articolo è tratto da La Stampa del 25 gennaio 2021

Gli autori

Vladimiro Zagrebelsky

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One Comment on “Il procuratore Gratteri e il giusto processo”

  1. Caro Vladimiro,
    di là dal giudizio sull’opportunità della sede scelta da Gratteri per la sua denuncia e dalla genericità delle accuse, mi tocca ricordare un’ovvietà e cioè che neppure la Magistratura, pur nella sua legittima pretesa di autonomia, vive in totale isolamento dalla società: la ‘scoperta’ della criminalità dei colletti bianchi in tempi relativi recenti (‘scoperta’ a cui tu stesso contribuisti) n è la prova macroscopica. Per non parlare della denuncia di Falcone sul caso Palermo quando affermava: ‘ci hanno messo nella condizione di non muoverci ‘ (l’Espresso, 18 settembre 1988). Un caro saluto Amedeo

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