In un momento molto delicato, prossimo alle elezioni nazionali, europee e delle comunità autonome, José García Molina, attuale secondo vicepresidente della Giunta della Comunità di Castilla-La Mancha e segretario generale di Podemos per la regione, ci espone la sua opinione circa la rotta che dovrebbero seguire il suo partito e le forze politiche progressiste per affrontare e sconfiggere quelle reazionarie, implementando un progetto di maggiore democrazia e giustizia sociale.
La prima domanda si riferisce alle prossime elezioni previste in Spagna. Di fronte al rischio di divisioni interne e dell’insorgenza delle forze conservatrici, anche di estrema destra, che strategie deve porre in atto Podemos, relativamente alle alleanze e alla formazione di un programma politico?
Nell’ultimo anno si è andato configurando qualcosa che già prevedevamo: una politica fatta di blocchi contrapposti, dove non vi è una maggioranza assoluta. C’è un’aritmetica variabile, nella quale, per esempio, un partito come Ciudadanos – che si era presentato come innovatore, come risposta conservatrice a Podemos – si è allineato al blocco di destra. Giungendo tra l’altro al governo dell’Andalusia, dove prima governava con il PSOE (Partito socialista e operaio spagnolo), con un partito di estrema destra come Vox. Ciò a dimostrazione del suo opportunismo. La sua idea è di trovare un accordo con chiunque assicuri che non vi saranno grandi cambiamenti socio-politici. Ciudadanos è nato per stabilizzare un sistema che era moribondo. Non gli importano né le idee, né le ideologie e nemmeno la democrazia in senso sostanziale. Ha svolto una sua funzione: aiutare le forze politiche ed economiche tradizionali perché non si abbiano cambiamenti significativi in Spagna. Pertanto, ritegno che in linea generale si vadano strutturando due campi: uno reazionario con il Partito Popolare, Ciudadanos e Vox; e un altro, che spero si possa formare, più progressista, dove siano presenti fra gli altri il PSOE e Unidos Podemos. Non è facile fare previsioni, perché ci troviamo in uno scenario molto instabile. Gli stessi sondaggi sono poco affidabili. Mi piacerebbe pensare che a Madrid, come in Castilla-La Mancha e in tutte le comunità regionali, si possano formare blocchi progressisti e si continui a governare, per lasciarci alle spalle le politiche portate avanti nel Paese dal Partito Popolare e che hanno a che fare con l’austerità, con il taglio dei diritti d’accesso ai servici pubblici, sindacali, civili e politici.
In una sua recente dichiarazione, riportata da “El Diario”, in occasione della riunione a Toledo dei segretari regionali di Podemos, lei aveva fatto un richiamo “all’unità, alla responsabilità e all’allegria”. In particolare, mi aveva sorpreso quest’ultimo riferimento all’allegria, che ho interpretato come invito ad adottare, in forma sostanziale, un linguaggio diverso e in contrasto con quello aggressivo della destra. A cosa si riferiva lei precisamente?
Quando parlo di allegria, in effetti mi riferisco alla costruzione di un progetto politico che si cotruisca osservando la realtà del presente e sapendo fare i conti con essa, ma soprattuto guardando a un futuro migliore. Il discorso prevalente della destra non è solo conservatore e rivolto al passato: è, al contempo, un discorso di odio, di risentimento verso la differenza dell’altro e di esclusione. La sinistra deve presentare un progetto per una Spagna, un’Europa e un mondo molto più egualitari, più includenti e soprattuto molto più allegri, dove vi sia meno rancore rispetto alla convivenza con persone diverse culturalmente, etnicamente e politicamente. La democrazia è l’unico sistema in cui si può negoziare sulla base delle differenze e in cui i problemi non si risolvano ricorrendo all’odio e all’esclusione.
Speriamo in un futuro come quello da lei prospettato. Certamente però, ad oggi la situazione è drammatica in tutta Europa, seppur in forma e proporzioni differenti. In Spagna è sicuramente migliore che in Italia, dove la sinistra è divisa in molte piccole fazioni in continuo contrasto tra di loro, che nella maggior parte dei casi non hanno un progetto politico ben strutturato. E quello che era il principale partito di centro-sinistra (definizione ora forse inappropriata e che meriterebbe molte precisazioni), il Partito Democratico, è fortemente disorientato e diviso al suo interno, tra forze più progressiste (poche), liberali e conservatrici, specialmente per quanto riguarda l’ambito economico e l’interpretazione delle dinamiche sociali moderne.
Un problema storico della sinistra è stato e continua a essere il fatto che, a causa di una legittima difesa delle proprie idee e delle proprie forme d’intendere l’esistenza, diventa spesso difficile costruire un’unità; ben diversa, s’intende, da una unicità od omogeneità di pensiero. Così si antepone il “narcisismo delle sfumature” (di pensiero, ndr) rispetto a ciò che unisce, compresi gli avversari comuni. A me pare un errore politico sempre e un errore grave oggi, quando vediamo sorgere partiti o regimi escludenti e reazionari in Europa e in tutto il mondo. In questo periodo storico in particolare, dovremmo, alla scopo di contrastare le forze reazionarie, collaborare intensamente e non competere fra di noi.
Chiaramente tutto ciò si fa più difficile quando non c’è un pensiero profondo a sostegno di un progetto d’unità. Proseguendo, lei ha fatto riferimento alla situazione europea. A maggio ci saranno le elezioni parlamentari europee. Quale è la strategia di Podemos per questo importante appuntamento?
Nel caso di Podemos, dovremo anzitutto difendere ciò che abbiamo sempre difeso: un’Europa unita, più forte, molto più sociale ed egualitaria. L’Europa è un continente ricco economicamente e culturalmente, e deve difendere i valori su cui ha costruito il proprio progetto politico, democratico e di tolleranza. Rappresentare una politica che non si renda ostile contro gli altri. L’Europa non deve acquisire modelli democratici in cui il mercato sia l’unica legge, come è accaduto con il neoliberismo. L’Europa deve poter dire al mondo che vi sono forme migliori d’intendere la politica e la vita in generale, nelle quali possiamo ritrovarci tutti, senza esclusioni e disuguaglianze tanto eclatanti in ambito economico e sociale.
E circa le alleanze, avete già un progetto ben definito?
Quelli che chiamiamo “processi di confluenza” con altre forze, sono in generale in un stato avanzato. Ci sono sicuramenti diversi problemi e situazioni complicate in alcune comunità regionali, però la maggior parte delle persone di sinistra è d’accordo su questa confluenza. Credo che, sia nelle elezioni municipali e regionali che in quelle nazionale ed europea, possiamo presentarci uniti. Abbiamo visto cosa è accaduto in Andalusia, dove le divisioni di stampo elettorale hanno favorito la destra. La gente vuole un’unità che rinforzi i nostri progetti politici.
Abbiamo citato, tra le altre questioni, la situazione internazionale. In questo momento, una delle vicende più rilevanti è quella che riguarda il Venezuela. Qual è la sua opinione in merito, anche in riferimento all’azione del Governo spagnolo e dell’UE?
Il Governo spagnolo ha riconosciuto Guaidó come presidente legittimo. Io ho espresso la mia opinione in merito in alcune interviste. Credo che in Venezuela siano in gioco il concetto e il significato di sovranità nazionale. In un paese che si dice democratico il presidente e il parlamento li elegge la cittadinanza, non si autoproclamano e non debbono essere imposti da ingerenze di paesi terzi. Un problema ulteriore è che nei media di informazione vi è un dibattito molto caricaturale tra le varie posizioni e non si analizzino invece le cause che generano tale situazione. In Venezuela la situazione non è facile, è ovvio. Però nel mondo vi sono molti paesi con maggiori difficoltà politiche, economiche e sociali, e quasi nessuno dice che si deva intervenire lì. Chiaramente si parla di Venezuela perché vi sono interessi politici ed economici molto precisi. Credo che la vicenda venezuelana debba essere risolta dalla sua popolazione, con gli strumenti democratici che posseggono, senza interventi esterni.
Dunque, lei pensa che l’UE dovrebbe spendersi per favorire il dialogo tra le parti in contesa.
Prima abbiamo parlato di politica del risentimento, caratterizzata da un discorso molto violento. Credo che la politica debba essere, soprattuto, negoziazione tra posizioni differenti. Così, se vogliamo aiutare a risolvere un conflitto, dobbiamo contribuire ad abbassare le tensioni per favorire il dialogo, e non buttare benzina sul fuoco con ultimatum e minacce d’interventi militari. Quindi, se desideriamo migliorare la vita della popolazione del Venezuela o di qualunque altro Paese, dobbiamo fornire il nostro aiuto cooperando e rispettando la sovranità dei Paesi e dei loro cittadini.
Un paese che si è posizionato in maniera differente rispetto a USA e UE in merito al Venezuela è la Cina. Come si pone Podemos rispetto alla Cina, un paese con molte contraddizioni e molto difficile da comprendere?
La Cina è in effetti un paese molto curioso, che ha una forte differenza fra la struttura politica formale e l’azione economica, avendo in alcuni casi abbracciato una forma di capitalismo e di neoliberismo selvaggi. Sinceramente, non sono solito criticare troppo le dinamiche di altri paesi, fatta eccezione per quando si riscontrano palesi violazioni dei diritti umani. Siamo nel XXI secolo, la geopolitica è cambiata molto rispetto al passato. È inevitabile stabilire accordi di collaborazione e rispettare la singolarità di ciascuno Stato, con attenzione, ripeto, alle questioni legate al rispetto dei diritti umani e ai valori democratici. A partire da ciò, in Cina vi sono elementi interessanti, su cui potremmo collaborare; e altri aspetti relativi alle libertà e ai diritti democratici nei quali credo si debba avanzare molto per giungere a una democrazia degna di questo nome.
Chiaro. L’ultima domanda si riferisce invece a una riflessione più teorica, più astratta e perciò più generale. Nelle ultime elezioni, in particolare in America del Sud, le forze di sinistra, che avevano governato ponendo in essere politiche volte al miglioramento della condizione economica e sociale di larga parte della popolazione, hanno perso l’appoggio delle classi popolari, che con molta facilità sono passate a sostenere la destra neoliberale e persino reazionaria. Questi eventi mettono in risalto una questione che mi pare di natura socio-psicoanalitica. Come pensa che si possano interpretare tali comportamenti?
È una questione complessa alla quale bisognerebbe dedicare molte tesi di dottorato. Ho riflettuto e continuo a riflettere sul perché alcuni governi, che sono riusciti ad andare al potere attraverso un’operazione egemonica culturale di costruzione di un popolo, non hanno poi saputo o potuto mantenere il potere. E perdendo tale forza, hanno lasciato il posto non a un’alternativa politica semplicemente diversa, ma proprio al loro antagonista. I casi di Brasile e Argentina sono i più evidenti. Si tratta, chiaramente, di una questione in cui confluiscono diversi fattori: economici, sociali e influenze esterne internazionali. Fortunatemente, e insieme sfortunatamente, non si fa politica solo secondo la logica nazionale. Il che comporta la presenza di collaborazioni e di interferenze con altri paesi.
Detto ciò, una questione che deve porsi come fondamentale per una forza di governo è come continuare a costruire una relazione con il popolo, come mantenere e aumentare la propria egemonia culturale. Ernesto Laclau, che teorizzò molto su tale argomento, sosteneva che un popolo si costruisce intorno ad alcune richieste riguardanti maggiori prestazioni o servizi nell’ambito del lavoro, dell’istruzione, della sanità, delle esigenze abitative… Quando non vengono soddisfatte, tali richieste si convogliano in proteste popolari, costruendo un forte antagonismo verso una oligarchia (una casta) che viene identificata come responabile del mancato miglioramento e sviluppo. Così, tutte queste diverse richieste si articolano in una sola, che può far sì che la forza politica che la sa tenere insieme possa prendere il potere. Però, una volta al governo, sorge un paradosso: se si esaudiscono le richieste si mette fine alla protesta del popolo, e il popolo, che si era formato come soggetto intorno ala protesta, si smobilita. Lo abbiamo visto molto bene in Brasile: dov’era la gente che i governi di Lula o di Dilma Rousseff avevano risollevato dalla povertà, quando essi sono stati cacciati in malo modo? Dunque, se adempi a tali richieste, può accadere che il popolo smobiliti; se invece non vi adempi è ancora peggio perché le persone non vedono migliorare la propria vita e la società si stanca. Questo paradosso deve essere sciolto affrontando, e magari risolvendo, il quesito circa i modi per esercitare il potere di governo mantenendo al contempo la costruzione politica del popolo. Anche se, accanto a tali questioni socio-politiche, vi sono probabilmente aspetti attinenti alla psicologia più profonda e atavica, che ha a che vedere con l’attrazione per il leader, per l’espressione violenta e il rancore.
Negli anni ho letto molto Freud e Lacan. Perciò penso che tutte le esperienze umane, compresa la politica, debbano essere esaminate tenendo conto degli insegnamenti della psicoanalisi e della psicologia delle masse; il che è sempre una scelta rischiosa. Tanto nella costruzione del popolo che nella scelta del leader, vi sono identificazioni che non dobbiamo dimenticare.
Ciò che possiamo dedurre è che in fondo il popolo può costruirsi in diversi modi. Non si può pensare che esso sia sempre buono o progressista. In ciò è molto utile la lettura di Freud e Lacan. Claude Lefort disse che un popolo si può costruire a favore della democrazia o trovando un altro amo, un popolo-uno. Effettivamente, la costruzione di un popolo si può effettuare a partire da certi significanti che possono essere di eguaglianza, di democrazia, di futuro; o, alla stesso modo, di esclusione, di odio, di disuguaglianza.
In questo momento storico ci troviamo in tale scenario. I messaggi, gli immaginari, i significanti prevalenti stanno costruendo il popolo sulla base di una psicologia delle masse escludente e reazionaria. Credo che il rimedio sia continuare a contrapponere a questa psicologia delle masse una costruzione politica che si ispiri ai valori democratici, una logica politica di cooperazione e non di feroce competizione, una politica di inclusione e non di esclusione. Credo che questo sia il compito più importante di questo periodo.
Non possiamo permettere che il giro di vite autoritario che si sta espantendo in tutto il mondo prevalga, nell’analisi e nella pratica, sui progetti progressisti. È necessaria una strategia molto forte ed efficace di comunicazione di altri valori e progetti politici. Dobbiamo essere capaci di comunicare e di dimostrare che un altro mondo è davvero possibile. Questa è la grande sfida politica in questo momento così complicato.
L’articolo è tratto dal sito del CRS (Centro Riforma dello Stato)