Migranti in treno senza biglietto

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Ho cominciato a prendere il treno che da Iglesias porta a Cagliari che avevo quattordici anni. Salivo a Siliqua: partivo alle 7:20 la mattina, alle 13:10 quando facevo il turno di sera. L’abbonamento costava quarantacinque mila lire. I treni erano vecchi ma sempre in orario, i controllori erano gentili. Non c’erano stranieri allora ad affollare i “nostri” treni.

Sono passati più di vent’anni e continuo a prendere il treno quasi quotidianamente. Sempre la stessa tratta. Ora parto alle 8:40 la mattina, alle 15:40 quando faccio il pomeriggio. L’abbonamento costa cinquantadue euro. I treni sono migliori rispetto al passato: più nuovi e moderni. Però non sono mai in orario. I controllori gentili sono quasi tutti andati in pensione e quelli nuovi, da quando li chiamano “pubblici ufficiali”, si sono un po’ montati la testa, mi sembra.

Sui treni ci sono tanti stranieri ora, spesso donne con bimbi molto piccoli.

C’è uno strano zelo sul controllo dei loro biglietti. Un’affezione esagerata al rispetto delle regole, un’inflessibilità più che rigorosa. Una cosa strana dato che io ho obliterato l’abbonamento il primo del mese e ad oggi non me l’ha controllato nessuno. A me che sono italiana e più o meno bianca. Qualche volta mi sono passati accanto i controllori-pubblici ufficiali e con aria annoiata mi hanno chiesto «abbonata?» e senza nemmeno ascoltare risposta sono passati oltre.

Ha fatto discutere qualche settimana fa il video di una capotreno che, proprio sulla tratta Cagliari-Iglesias, faceva scendere un gruppo di migranti perché senza biglietto. Il video ha avuto una larga diffusione, ed è stato condiviso migliaia di volte sui social.

La capotreno è stata pubblicamente lodata dal ministro degli interni. È opinione condivisa che facesse solo rispettare le regole. Del resto è vero: non si sale sul treno senza biglietto.

Tuttavia si può espletare il proprio dovere senza cadere nella barbarie dell’ordine e della disciplina senza via di scampo. A volte si può provare a far prevalere l’umanità. Si può misurare la fiscalità. Si può essere elastici. Capita di rado, ma capita. Con i turisti che salgono all’aeroporto, per esempio. Ho visto scene belle, di ramanzine, spiegazioni, prediche. Scene paterne, di rimproveri sacrosanti a chi infrangeva le regole. Scene, anche, di chi sa che a volte si può chiudere un occhio.

La capotreno in questione continuo a vederla spesso. È bella, ha due enormi occhioni verdi. Ha da poco tagliato i capelli: un taglio corto che la valorizza ancora di più. Sta bene in divisa, è magra e slanciata. Ha un accento diverso dal mio, credo sia del nord Italia. Spesso, prima di salire sul treno, parla fitto-fitto al telefono. Forse parla con la madre, mi è capitato di pensare, oppure con il fidanzato. È lontana da casa.

Mi faceva tenerezza all’inizio, mi sembrava sola. Ora mi mette in imbarazzo: non riesco a riservarle che sguardi scuri e biechi.

 

L’articolo è tratto da Il Risveglio della Sardegna del 14 novembre 2018

Gli autori

Michela Calledda

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