Roma: aggressione razzista a San Lorenzo

image_pdfimage_print

Ieri sera, San Lorenzo, aggressione razzista. Non sarà né la prima né l’ultima ma c’ero, è stata violenta e ho sperimentato su di me che vuol dire essere investiti da insulti e minacce e aver paura di uscire da un locale.

Io e Alberto Campailla stavamo mangiando una pizza al Formula 1, sentiamo delle urla che vengono da fuori, chiediamo che succede e ci dicono “una mezza rissa”. Usciamo a vedere di che si tratta. Troviamo una ragazza nera, venditrice ambulante, che viene da più persone allontanata con toni poco gentili, dall’altra parte vediamo un gruppo di circa dieci ragazzi e qualche donna visibilmente su di giri.

Chiedo cosa sia successo, alcune delle persone sedute ai tavoli non rispondono, credo spaventate, quelli su di giri dicono che la venditrice ambulante ha insultato dei clienti. Vado da lei che è lì a pochi metri, sola e terrorizzata che mi racconta tutta un’altra storia, dice che l’hanno insultata e lei ha risposto a tono e che da lì sono partite minacce nei suoi confronti e tutti l’hanno voluta mandare via. Provo a tranquillizzarla ed è in quel momento che i dieci ragazzotti e alcune donne iniziano a urlarmi dietro di tutto, in particolare che io «faccio schifo» perché «fate più schifo voi che li aiutate».

Alberto dice loro di andarsene e diventa anche lui oggetto di urla, improperi e intimidazioni, gli vanno sotto con fare di sfida. Raggiungo Alberto, le donne lì intorno, amiche dei ragazzotti, mi dicono che mi devo dare una calmata e devo smetterla di “coccolarmi la negra” perché se no rischio di far prendere botte al mio compagno. I toni sono alti e i movimenti frenetici, tutti guardano, molti sono in piedi, qualcuno del locale prova a calmare la situazione.

Ci sono dei ragazzi che ci dicono cose di incoraggiamento e ci guardano le spalle, sono loro a chiamare la polizia. Non siamo ancora all’apice però. Quello arriva dopo poco, quando una donna inizia a dire «loro non so umani», le chiedo di chi parla, lei dice «i negri sono infami di merda». Lo dice. Lo urla. E subito dopo urla «l’Italia agli italiani». Le dico quello che andava detto, lei mi viene sotto, si fa avanti la polizia, qualcuno la porta via.

Non finisce qui perché le stesse persone che ci hanno aggrediti, una volta sedata la discussione, si sono appostate lì a pochi metri, ci hanno aspettato per circa un’ora fuori dal locale. La nostra fortuna è stato quel gruppo di ragazzi che aveva chiamato la polizia, che poi abbiamo scoperto essere della Cgil e del Pd, se ne sono accorti loro, ci hanno avvertiti e scortati al motorino. Non se ne sono andati finché non siamo saliti in sella. A loro va un grazie enorme.

Questa è la cronaca.

Ma è la sensazione di rabbia, frustrazione e paura che voglio raccontare.

C’erano quasi cento persone in quel locale e a discutere con quei violenti eravamo in due. Quasi cento persone e in pochi (ma fondamentali) ci hanno aiutato attivamente. Molti ci sostenevano, ne sono convinta, ma avevano paura di prendere parola o esporsi. Magari perché vivono lì e hanno paura di ritorsioni. Del resto gli aggressori usavano modalità simil mafiose ‒ le minacce e l’appostamento fuori ‒ e si comportavano da padroni del quartiere che decidono chi può stare “a casa loro” e chi no: per loro chi si ribella “fa ancora più schifo dei negri”.

Mi è rimasto impresso un ragazzo che dopo, mentre andavo al motorino, mi è passato accanto e ha sussurrato «tante palle, davvero tante palle avete avuto». In un altro caso avrei fatto notare che sono una donna e le palle non le tengo, stavolta ho chiuso un occhio sul linguaggio vagamente sessista e mi sono presa l’incoraggiamento.

C’è un clima infame nel paese e c’è in questa città. C’è a San Lorenzo, che è stata violentata insieme a Desirée e che è giustamente incazzata e ferita, ma dove ‒ come ormai avviene in modo sistematico ‒ sulla tragedia e sul dolore c’è chi cerca di sciacallare per fare propaganda razzista.

Non è nato all’improvviso questo clima, ma ha trovato oggi i massimi rappresentati istituzionali che lo alimentano dall’alto. E non è più possibile alzare le spalle, girarsi dall’altra parte o raccontarlo e basta. Bisogna reagire. Ogni giorno. Colpo su colpo. A livello collettivo ma anche nei comportamenti individuali. Per troppo tempo forse per pigrizia, o per snobismo o per paura non abbiamo preso parola, non siamo intervenuti nei quotidiani microepisodi di discriminazione sul tram, nei bar o in fila alla posta.

Questo è il risultato. Il senso comune è una battaglia quotidiana che passa dalle parole e dalle azioni di tutti noi. Non possiamo mollare più neanche un centimetro.

Il messaggio è tratto da Facebook 26 ottobre 2018

Gli autori

Claudia Pratelli

Claudia Pratelli è assessora alla scuola del Municipio III di Roma

Guarda gli altri post di: