Ci risiamo. Dopo il “Servizio bilancio” del Senato che alcune settimane fa in un proprio documento (diventato in un secondo momento soltanto una “bozza provvisoria non verificata”) aveva sottolineato come la cosiddetta Autonomia differenziata non potrà mai essere a costo zero per lo Stato centrale, al netto della nefasta accettazione che le Regioni più povere debbano perdere risorse per il finanziamento delle loro prestazioni, ora anche l’Ufficio parlamentare di bilancio si è permesso di avanzare una puntuale critica allo “Spacca Italia” e, in particolare, al meccanismo previsto per il finanziamento delle prestazioni che le Regioni si propongono di sottrarre allo Stato.
Come è noto, il ministro Calderoli ha previsto che le Regioni che si differenziano trattengano una quota maggiore rispetto a quella attuale dei tributi pagati sul territorio. Una situazione sulla quale il consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giampaolo Arachi, intervenuto in audizione nella Prima Commissione del Senato della Repubblica, ha messo in guardia, sottolineando che: «non vi è motivo per ritenere, anzi tutt’altro, che una volta fissata un’aliquota di compartecipazione a un tributo erariale il gettito seguirà un andamento simile ai fabbisogni». Quindi, si potrebbe facilmente verificare la circostanza che con un’aliquota fissa la compartecipazione al tributo non riesca affatto a coprire il fabbisogno con la conseguente necessità di integrazioni per assicurare le risorse necessarie. E pensare che è stato strombazzato in lungo e in largo per tutto lo Stivale italico che il disegno di legge sull’Autonomia tirato su dal ministro Calderoli non avrebbe prodotto alcun aumento dei costi per lo Stato centrale.
Il consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio si è soffermato anche sull’ipotesi in cui «la dinamica della compartecipazione eccedesse quella del fabbisogno», ipotizzando in questo caso che le regioni alle quali sarà stata riconosciuta l’Autonomia differenziata potranno disporre «di risorse in eccesso rispetto a quelle che sarebbero state garantite dalla fornitura statale», determinando così «meno risorse per il resto delle amministrazioni pubbliche che, dati gli obiettivi di finanza pubblica, dovrebbero essere reperite con riduzioni di spesa, che potrebbero anche riguardare il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni costituzionali o aumenti della pressione fiscale che si scaricherebbero anche sui cittadini delle altre regioni».
Si tratta di analisi che andrebbero seriamente approfondite (l’Ufficio parlamentare di bilancio deve ancora presentare il suo report definitivo), ma che invece scivolano via nell’indifferenza di una maggioranza sempre più allergica a controlli, approfondimenti e critiche. Una maggioranza che ha già deciso che deve iniziare subito la discussione generale e che entro il 22 giugno dovranno essere depositati gli emendamenti. Una fretta pericolosa e ingiustificabile. Sostenere che è tempo di portare a casa il provvedimento perché si sono tenute oltre 60 audizioni ed è stata ascoltata ogni sorta di posizione è fuorviante e pericoloso, soprattutto se le audizioni diventano un mero adempimento formale e le posizioni, in particolare quelle dei tecnici, sono del tutto inascoltate. Vien da chiedersi: perché non snellire questi processi decisionali e farla finita una volta per tutte con questi uffici che rallentano e con l’ascolto di questi tecnici che alimentano soltanto dubbi?
Per fortuna una buona notizia c’è: il 1° giugno al Senato sono state presentate le firme raccolte a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per fermare l’autonomia differenziata. Oltre il doppio di quelle necessarie, circa 106mila, di cui il 60% su carta, tramite i vecchi tradizionali banchetti, e circa il 40% online: https://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/press/.
Qui l’audizione del consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giampaolo Arachi al Senato: https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2023/06/Audizione-UPB-autonomia_differenziata.pdf.