Da quasi un mese è in corso, nel totale silenzio dei media, la raccolta delle firme per indire tre referendum abrogativi, diretti, in due casi, a impedire la fornitura di armi all’Ucraina e ad ogni altro soggetto coinvolto in guerre e conflitti e, nel terzo, a contrastare lo smantellamento del Servizio sanitario nazionale. Si tratta di obiettivi importanti e condivisi da tutto il movimento pacifista e da chi, più semplicemente, non partecipa al furore bellico in atto in Europa e nell’Occidente. Eppure l’iniziativa non ha portato alla costituzione di uno schieramento unitario ed è stata accolta in modo assai tiepido da diverse parti di quel mondo. Per vari motivi, tra cui il mancato coinvolgimento nella definizione del progetto, alcuni dubbi sull’ammissibilità dei quesiti e una malcelata insofferenza nei confronti di alcuni soggetti in essa coinvolti (a cominciare dal post fascista Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e oggi portavoce del comitato “Fermare la Guerra”). Noi di Volere la Luna, impegnati da sempre contro la guerra e l’invio di armi in Ucraina, preferiamo sottrarci a logiche di schieramento e cogliere l’occasione per rilanciare un confronto e una mobilitazione sul punto, convinti che la raccolta delle firme per i referendum debba diventare un veicolo di unità e non di divisione. Per questo abbiamo deciso di aprire il sito agli interventi che ci perverranno riservandoci, se il dibattito decollerà, una sintesi finale e la proposta di iniziative conseguenti. Dopo l’articolo di presentazione di Giuseppe Mastruzzo, del comitato promotore dei referendum (https://volerelaluna.it/politica/2023/05/18/ferma-il-dolore-firma-per-la-pace/) pubblichiamo, dunque, un contributo – parzialmente critico – del Movimento Nonviolento.
(la redazione)
È iniziata la raccolta firme per due quesiti referendari relativi all’export di armamenti (volti a modificare il primo la legge di proroga dell’invio di armi in Ucraina e il secondo la legge 185/1990 sull’export di armamenti) su cui ci esprimiamo nel metodo e nel merito con questo documento, per rispondere a chi chiede il nostro parere.
I due quesiti referendari sono promossi da due diversi Comitati, “Generazioni future” (primo quesito) e “Ripudia la guerra” (secondo quesito), e si coordinano per la raccolta firme con la campagna referendaria “L’Italia per la pace”. La raccolta firme durerà tre mesi, dal 22 aprile al 22 luglio 2023, e dovrà raggiungere 500mila firme valide da presentare alla Corte di Cassazione. La decisione finale della Corte Costituzionale sull’ammissibilità arriverà entro fine 2023, per poi votare, se i quesiti e la validità delle firme troveranno semaforo verde, fra il 15 aprile e il 15 giugno 2024.
Siamo venuti a sapere di tale iniziativa a cose fatte, senza essere coinvolti nel dibattito preparatorio, né consultati sull’opportunità o meno di fare ricorso all’istituto referendario per tale materia e nella valutazione e scelta dei quesiti specifici. Il Movimento Nonviolento fa parte della Rete Italiana Pace e Disarmo (RiPD), network di coordinamento delle maggiori organizzazioni impegnate sui temi oggetto dei quesiti referendari, che promuove in continuità campagne per il disarmo e il controllo degli armamenti, con la quale non c’è stato confronto né condivisione sull’opportunità del lancio di questa campagna referendaria, che avrebbe potuto evidenziarne gli elementi di debolezza. Per questo esprimiamo solo a posteriori dubbi e perplessità che forse (se richiesti prima) avrebbero potuto portare a scelte diverse. Per i motivi che esponiamo qui sotto riteniamo di non attivarci nella raccolta firme.
Come Movimento Nonviolento siamo già fortemente impegnati – al limite delle nostre energie e risorse – contro la guerra e per la pace in Ucraina fin dal giorno dell’invasione russa (e anche ben prima, dal 2014 contro la vendita di armi alla Russia, contro l’espansione della Nato e per i processi di disarmo e democratizzazione in Europa e ai suoi confini). Impegnati come siamo nella Campagna “Un’altra difesa è possibile” per l’istituzione del Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta tramite Legge di iniziativa popolare, e nella Campagna di “Obiezione alla guerra”, per il sostegno agli obiettori di coscienza, disertori e renitenti alla leva russi, bielorussi e ucraini, fosse dipeso da noi non avremmo certamente aggiunto l’impegno gravosissimo di una raccolta firme per dei referendum che non avranno, comunque vada, impatto sul conflitto in corso. Di fronte alla necessità di unire gli sforzi del mondo per la pace, il disarmo, la nonviolenza, non ci pare opportuno lanciare a freddo, senza un approfondito dibattito preventivo, una ulteriore campagna (che se presa sul serio sarebbe totalizzante) che richiede organizzazione, sforzi e ingenti risorse che francamente non abbiamo e che non ci pare di vedere in campo.
Nel merito le proposte referendarie ci appaiono deboli per due ragioni:
– a proposito del quesito relativo all’abrogazione dell’art. 1 del decreto legge 2 dicembre 2022 n. 185, convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023, che proroga al 31 dicembre 2023 l’autorizzazione parlamentare all’invio di armi in Ucraina, ci sembra evidente che i tempi referendari – seppure tutto l’iter andasse in porto positivamente – non siano compatibili con i tempi tecnici per intervenire su una proroga che scade fra otto mesi;
– per quanto riguarda il quesito relativo all’abrogazione dell’art. 1, comma 6, lettera a), legge 9 luglio 1990, n. 185, relativamente alle parole «o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere», in riferimento all’invio di armi all’Ucraina, è privo di efficacia in quanto la legge 185/1990 si applica all’export di armamenti effettuato dalle aziende produttrici di armi: togliere quindi direttamente nella legge 185/1990 il punto sulle deliberazioni di Governo/Camere non ha alcuna influenza sulla cessione di armi verso l’Ucraina. Il passaggio parlamentare, in questo caso, è politico e non tecnico.
Per queste ragioni, di metodo e di merito, il Movimento Nonviolento non aderisce al comitato referendario e non collaborerà alla raccolta di firme né sul piano nazionale né su quello territoriale, non potendoci permettere di disperdere le nostre energie già impegnate in campagne che riteniamo di primaria importanza politica.
Il rischio di non riuscire a raccogliere le 500mila firme valide necessarie è tecnicamente elevato, e l’insuccesso andrebbe comunque a pesare sull’intero movimento pacifista, che verrebbe additato come debole e disorganizzato, e il tema pace/guerra liquidato come non popolare. Se invece le firme saranno comunque raccolte, i due quesiti, così come formulati, hanno un’alta possibilità di essere bocciati dalla Corte, che può dichiararli inammissibili. In questo caso i proponenti potranno protestare, denunciando furti di democrazia, complotti o manovre politiche contro il pacifismo, ma alla fine ci sarà un nulla di fatto, con grande dispendio di energie.
Se invece la Corte approverà i quesiti e si arriverà a celebrare il referendum nel 2024, a quel punto ovviamente parteciperemo alla campagna e al dibattito politico che ne scaturirà. Ma fin d’ora possiamo dire che a noi non pare che il “pacifismo giuridico” possa essere introdotto per via referendaria. Il ripudio costituzionale della guerra c’è già, e non viene rispettato dalla politica: non saranno due limitatissimi quesiti referendari, facilmente aggirabili, a ripristinarlo. Inoltre, fatto ancora più grave, se i referendum andassero disertati, e non raggiungessero il quorum (rischio molto concreto), o peggio fossero bocciati nelle urne, allora le conseguenze politiche sarebbero disastrose: il pacifismo in toto sarebbe accusato di essere ininfluente, minoritario, residuale.
Detto tutto questo, aggiungiamo però che: il referendum, previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana, è un elemento fondamentale della nostra democrazia: l’intero corpo elettorale viene chiamato ad abrogare una legge, o una sua parte, per correggere l’azione del Parlamento ritenuta errata: il popolo come controparte del legislatore che egli stesso ha eletto; si capisce quindi la delicatezza e la straordinarietà di tale istituto, che tuttavia va preservato come espressione di volontà partecipativa diretta da parte del singolo cittadino. Per questo riteniamo inaccettabile che dopo l’approvazione del decreto attuativo relativo al funzionamento della piattaforma di raccolta elettronica delle sottoscrizioni per i referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare, tale modalità non sia ancora operativa con la piattaforma istituzionale e gratuita, ma ci si debba rivolgere a piattaforme implementate da società private a pagamento. Per questo chiediamo al Governo che venga garantito il diritto alla piena partecipazione civica attivando senza ulteriori ritardi la piattaforma pubblica.
A fronte delle critiche e perplessità che abbiamo illustrato, esprimiamo pieno rispetto per tutti coloro che si impegneranno nel referendum, per chi firmerà e voterà, riconoscendone la formale legittimità e il diritto, pur nel dissenso politico e nella differente valutazione di opportunità.
Il mio è un commento volutamente scarno e privo di noioso politichese. Senza autodeterminazione totale del territorio non ci sono clausole o postille che tengano. Mattei è morto nel tentativo di liberare l’Italia dal controllo USA e dopo questo ben poco è stato fatto. Non esiste una soluzione intermedia. Per “ripudiare la guerra” occorre USCIRE DALLA NATO !! Ed essendo la UE una sua estensione viene da sé che continuare a farne parte ci pone in una condizione di inaccettabile contraddittorietà.
Errata corrige: Ritengo che il movimento contro la guerra abbia un minimo comune denominatore, che e unisce unisce tutte le anime: indipendentemente da ogni valutazione sul conflitto ucraino, sul ruolo della Nato, sulle responsabilità dell’Ucraina e della Russia , siamo tutti contro l’invio delle armi in Ucraina, perché contrario alla costituzione, perché ci coinvolge direttamente nella guerra e rischia di scatenare un conflitto nucleare… L’unico modo per avere peso , essere effficaci, e dotarsi degli strumenti finanziari necessari, è quello di costituirsi in una associazione nazionale (potrebbe chiamarsi “articolo 11”), nella quale convergano le molte associazioni attive, nonché i personaggi che più si espongono sul tema, (santoro, rovelli, gallo, etc) con uno scopo molto circoscritto, fermare l’invio delle armi, che promuova una battaglia politica, giudiziaria, parlamentare, mediatica..
Dario rossi, avvocato, giuristi democratici genova
Le armi dovrebbero essere bandite per l’umanità e dovremmo avere ripudio come l’incesto
Magari avete anche ragione, da un punto di vista tecnico, ma non mi sembra un buon motivo per non partecipare.
Quali sono altre proposte ?
Potreste anche non impegnarvi economicamente e organizzativamente, ma perlomeno un appoggio solidaristico di tutti i movimenti pacifisti mi sembrerebbe assolutamente necessario.
Non secondaria è l’importanza di sapere quanti sono davvero contrari alla guerra. Il rischio di essere in minoranza non cambierebbe il nostro peso morale e politico, ne il nostro impegno in questa battaglia di civiltà. Ma se fossimo la maggioranza avremmo finalmente un grande peso politico e sociale.
In certi momenti i distinguo come questo sono semplicemente senza senso. Qual è il problema? di non essere stati interpellati? Ma di fronte ad un’iniziativa come questa, proprio per la sua valenza di politica “dal basso”, chiunque abbia a cuore il pacifismo dovrebbe aderire, anche se avrebbe fatto le cose diversamente. Se si crede davvero nel pacifismo, non ci si ferma “perché potrebbe non esserci sufficiente risposta”. Si fa quello che si può perché la risposta ci sia. Anche se i quesiti non fossero perfetti, una larga risposta popolare sarebbe un successo per tutto il movimento pacifista.
Per la redazione: mi sembra quantomeno riduttivo citare solo Gianni Allemanno come criticità tra i promotori del referendum. Basta guardare i profili dei responsabili regionali e provinciali della raccolta firme con trascorsi complottisti, no vax ecc.. ma soprattutto aderenti o affini all’area di Italia Sovrana e Popolare che non ha mai nascosto le proprie simpatie per l’intervento militare di Putin a sostegno del Donbass, difficile trovare tra i promotori personalità ascrivibili al mondo pacifista riconosciute a livello nazionale. Mi pare solo Moni Ovadia si sia espresso per la quale e Don Ciotti abbia accettato di firmare durante un banchetto allestito nella piazza di Modena.
Pur essendo anch’io contro l’invio di armi allo stato ucraino è evidente prevedere i risultati che un referendum così posto e cioè senza prevedere in contemporanea un necessario intervento diplomatico e umanitario causerebbe.
Se ci ponessimo nell’ipotesi (fantascientifica) che in tutti gli stati che ora forniscono armamenti allo stato Ucraino vincesse un referendum posto in questi termini ci aspetterebbe forse la pace, intesa come termine del conflitto, ma attraverso l’invasione dell’esercito russo di tutto il territorio ucraino? Pace non vuol dire solo niente guerra