E così persino lui che, avvezzo alle sfide rischiose, aveva accettato quest’altra tremenda prova, ritenendo di poter incantare anche i serpenti di palazzo, ne ha rimediato alla fine un triplice morso. Lui che, prima di aprire le gabbie, avrebbe forse dovuto resistere agli attacchi frontali e alle richieste più inopportune, almeno fino alla primavera prossima. Eppure quest’esito nefasto era prevedibile poiché egli era stato chiamato ad assolvere quel compito pericoloso in sostituzione di un altro incantatore, forse meno esperto di lui, ma senza alcun dubbio vittima anch’egli dei morsi velenosi provenienti da quel covo di vipere che per tutto il tempo del mandato rimangono attorcigliate con le spire sudaticce attorno ai loro ombrosi scranni, pronti ad addentare il primo che prova a disturbare il loro finto sonno.
E poi se da un canto l’aria esterna al palazzo, che normalmente ristagna ed è appesantita dalla gravità delle crisi irrisolte, e che ora è ulteriormente ammorbata da un virus che, proprio come quegli aspidi, cambia pelle e si trasforma ad ogni rimedio vaccinale, dall’altro canto l’aria interna a quella sede del potere è resa ancora più mefitica sia dai conati corrotti che i crotali esalano per sfoderare la loro lingua biforcuta sia dallo stridio terrificante dei loro sonagli. Era infatti persino disgustoso sentire qualcuno di quegli irresponsabili che diciassette mesi prima avevano determinato la fine del salvatore rilevato, aprendo così una crisi più o meno nelle stesse condizioni pietose in cui si trova oggi il paese, accusare ora di irresponsabilità proprio colui che essi, questi esseri mefistofelici, avevano irresponsabilmente detronizzato. Così come era sorprendente sentire dire da qualcuno degli esclaustrati e degli scomunicati le stesse parole che l’affossatore di governi aveva detto per giustificare la sua azione irresponsabile, e cioè: noi siamo l’unica forza politica che interroga e incalza il governo, che agisce per il suo bene e per quello del paese. Era forse proprio questo il drammatico tema di fondo che il Sartre del Diavolo e del buon Dio ricercava nel Flaubert di Un coeur simple, il tema del male che viene generato nonostante la volontà di bene. Tema dialettico che esprime tutta la complessità e la confusione che ogni guerra genera, compresa ovviamente quella in corso (e che ormai langue tristemente in secondo piano) tra Russia e Ucraina.
È forse per questo motivo che la sacra iconografia fa del serpente il simbolo del male: perché la sua viscida e innata ambiguità, costringendo il vero al falso, ha istintivamente di mira la distruzione del bene in vista della ricostruzione del male, di un male che peraltro è già stato sconfitto una volta, ma che purtroppo non è stato eliminato alla radice. Il male meduseo continua a vivere sotto la cenere con tutti i suoi serpenti grigi e da lì, dal covo in cui vivono e sonnecchiano e nel quale qualcuno periodicamente prova a risvegliarli, essi sono pronti a distruggere tutto, a buttare giù il palazzo con tutti i suoi filistei per innalzare un nuovo tempio all’iniquità.
E così, dunque, come il ciclope omerico, anche il drago, nonostante la sua ben nota potenza di fuoco, è stato depotenziato e intorpidito dai morsi letali degli ofidi. Esseri astuti e astiosi, questi serpenti sono perlopiù grigi, ma non manca molto all’occasione in cui essi avranno modo di cambiar pelle e di mostrare con orgoglio e fierezza quella più scura che per troppo tempo hanno portato dentro. Sicché, proprio quando il drago incantatore pensava di aver realizzato un “miracolo civile” e di poter andar fiero del lavoro svolto insieme con le serpi che si portava in seno; proprio nel momento in cui dichiarava apertamente che era “orgoglioso di essere italiano” e, alzando di poco il tono della voce a mo’ di amaro rimprovero, pronunciava per tre volte quel suo “Siete pronti?” – quando insomma, dopo essersi però denudato ed esposto così ai morsi velenosi, chiede, forse ancora con una certa fiducia, alle sue vipere se erano pronte ad accettare il suo nuovo progetto, la sua nuova alleanza, il suo nuovo inizio, ebbene proprio in quell’istante conclusivo egli forse non immaginava, non credeva che la sua fine fosse già stata decretata. La sua era infatti una fine prevista già da tempo e non più differibile, era una fine prestabilita che nessun Ignazio di Loyola avrebbe potuto revocare. Una fine tanto attesa e preparata ad arte: la fine dell’impresa del forte drago, nella cui azione molti esseri viscidi, interni ed esterni al palazzo, avevano colto qualcosa di taumaturgico.
Essendosi dunque già preventivamente accordati in qualche villa romana sulla congiura da attuare nel palazzo, ai congiurati non restava altro che trasformare quella seduta estrema e straordinaria in preziosa occasione elettorale per affondare non solo il Movimento, ma anche e soprattutto i Democratici, accusati pubblicamente e in diretta televisiva non solo di pretendere un’egemonia culturale e politica, ma anche per aver stretto alleanze con i (primi) pugnalatori del drago e del suo governo.
Forse non ci sono parole più efficaci per sintetizzare le nostre e per inquadrare questo grigiore italico di quelle riportate da Paolo nel capitolo 3 della Lettera ai Romani:
Non c’è nessuno che sia giusto, neppure uno.
Non c’è uomo che sia sensato,
non c’è chi cerchi Dio.
Tutti deviarono, insieme si ridussero a inutilità.
Non c’è chi faccia il bene, neppure uno (Salmi 14, 1-3).
Sepolcro spalancato la loro gola,
con la loro lingua tramavano inganni (Salmi 5, 10).
Veleno di serpenti sotto le loro labbra (Salmi 140, 4).
Piena di maledizione e di amarezza
la loro bocca (Salmi 10, 7).
Rapidi i loro piedi a versare sangue.
Distruzione e disgrazia sui loro cammini.
E il sentiero della pace lo ignorarono (kaì hodòn eirḗnēs ouk égnōsan); Isaia 59, 7-8: dérekh šalòm lo’ iadàu.