La guerra divide, ma perché non unirsi almeno contro la corsa al riarmo?

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La nuova guerra in Europa è giunta a due mesi, e qualunque previsione è quanto mai azzardata. La presunta scadenza del 9 maggio indicata da Putin, sembra l’ennesima menzogna, mentre la NATO, tramite il suo segretario generale, prospetta scenari afghani, e non si sa se è un auspicio o un programma pianificato. Siamo sommersi da immagini, articoli, analisi, commenti. Un diluvio di fronte al quale è estremamente difficile capire cosa stia succedendo, dato che, come è stato giustamente ricordato, nelle guerre la verità è ostaggio della propaganda. È il conflitto bellico più mediatizzato in assoluto. Altre realtà quanto mai drammatiche non le vediamo, possiamo solo immaginarle: lo Yemen, ora aggrappato a una tregua i cui esiti sono quanto mai incerti, come spesso capita in questi casi, le guerre africane, la Palestina… e nell’elenco va messa quella guerra strisciante che si compie quotidianamente contro le tante migrazioni, contro chi disperatamente cerca di fuggire dalla violenza, dalla miseria, dal disastro climatico. Chi oggi si erge dinnanzi alla macelleria russa in Ucraina rivendicando i “valori europei”, ha sulla coscienza le migliaia di morti che hanno reso il Mediterraneo una gigantesca tomba marina.

Come già accaduto in precedenza, in particolare durante la guerra nell’ex Jugoslavia, prologo e angosciante metafora del nuovo mondo che si stava iniziando a delineare davanti ai nostri occhi, l’invasione della Russia putiniana in Ucraina ha provocato lacerazioni, schieramenti trasversali, prese di posizione a volte sconcertanti, tra improbabili paragoni storici e insopportabili salotti televisivi con un chiacchiericcio incessante dove imperversano nuovi personaggi e presunti esperti impregnati di un compiaciuto narcisismo, felici sotto sotto dell’imprevista notorietà, dopo che per mesi e anni vegetavano in qualche istituto universitario o centro di ricerca.

Ma le lacerazioni inevitabilmente riguardano anche la cerchia di amici, compagni di provata e lunga militanza. Ti sorprendi di determinate prese di posizione, anche se avendo a che fare con persone capaci, intelligenti e preparate, la loro riflessione lascia traccia anche in te. Le poche certezze a cui ci si aggrappa rischiano di vacillare di fronte alle immagini della carneficina in atto. Gli orrori della guerra, come sempre, ti propongono i massacri di civili, ormai una triste abitudine nelle guerre moderne, ché già accadeva nel secolo precedente. E l’interrogativo più grande è il quesito già emerso in altre occasioni: come fermare l’immane eccidio? Il “né né”, in realtà “contro contro”, ritorna puntuale. Seppure giusto, rischia di essere ormai un rito. La parola d’ordine disertare è altrettanto valida, in linea di principio, ma cozza contro la realtà: gli ucraini, come ha giustamente rilevato in una lucida e condivisibile analisi Augusto Illuminati, hanno deciso, ci piaccia o no, di resistere con le armi all’aggressione russa. Quindi non ci pensano proprio a disertare, e anche se lo volessero fare c’è la legge marziale. Dall’altra parte l’impressione crescente è che le truppe dove erano presenti molti ragazzini ignari di cosa li stesse aspettando, sono state gradualmente sostituite dalle truppe mercenarie, tagliagola abituati da lunga esperienza a non farsi scrupoli. Quindi chi dovrebbe disertare? Inoltre una martellante propaganda ha raccontato ai militari russi che gli “ucraini sono nazisti”, e dunque nessuna pietà, la quale, com’è noto, nelle guerre è merce estremamente rara. E le testimonianze dei sopravvissuti a Bucha e nelle altre città lo stanno a dimostrare, con buona pace di chi si aggrappa a improbabili “sceneggiate”, come se i casi di Timisoara o Racak potessero essere riproposti in ogni occasione.

Un altro aspetto sconcertante sono i luoghi comuni. Sono cresciuto in una famiglia ebraica e il principio per cui “i tedeschi erano tutti nazisti e non si compra nulla prodotto in Germania” ha accompagnato la mia infanzia e parte dell’adolescenza. Era un ritornello ampiamente presente nelle famiglie italiane, come se Mussolini non avesse avuto un consenso ampio e diffuso, incrinato solo, gradualmente, con l’entrata in guerra. Poi, per tornare ai tedeschi, la storiografia ha cominciato a fare chiarezza; abbiamo scoperto che anche in Germania, seppur in un contesto dove l’appoggio a Hitler era schiacciante, si sono verificati atti di resistenza, fino a recenti lavori (cito per tutti quello di Carlo Greppi, Il buon tedesco) che hanno meritoriamente portato alla luce altri fatti che mettono in discussione vecchi stereotipi. E così oggi sta accadendo con gli ucraini. Anche qui ci sono alcune verità incontestabili, ma ritenere che siano tutti convinti nazisti, è assurdo. Appunto un luogo comune. Certamente alla base di questa guerra, oltre al ritorno in grande delle varie logiche imperialiste (l’Impero negriano, tesi suggestiva e interessante, ormai appartiene al passato), il vecchio cancro del nazionalismo cresce e si sviluppa implacabile e offusca le menti. Si è ampiamente disseminato nell’Est europeo dopo il crollo del muro, e oggi fomenta anche questa guerra. Ma ci vorrebbe equilibrio e buonsenso prima di esprimere certi giudizi.

Tornando a noi, forse – se non vogliamo sembrare velleitari – andrebbe raccolta la proposta di Illuminati di bypassare le questioni che ci dividono e aggregare un fronte ampio sulla parola d’ordine contro la folle corsa al riarmo, che sta avvenendo in tutta Europa e non solo, a discapito di quelle timide, insufficienti e contraddittorie scelte di politica sociale dettate dalla crisi pandemica. Una follia ancora più grande se si pensa alle ricadute terribili che si prospettano a causa di questo conflitto, anche sul piano delle politiche agricole che già stanno ulteriormente affamando chi la fame la conosce purtroppo molto bene. Il vecchio slogan di pertiniana memoria «Si svuotino gli arsenali si riempiano i granai» ritorna di estrema attualità. L’alternativa è continuare a precipitare verso il baratro, è inutile nascondercelo. Certo c’è la speranza, al momento assai improbabile, che la tenuta della resistenza ucraina possa portare a un cambio al vertice russo, pur nella consapevolezza che l’eventuale sostituzione non sarebbe di nessuna garanzia. Morto uno zar se ne può fare un altro. Infine, ma è il pericolo maggiore, l’incubo nucleare è all’ordine del giorno.

In questo senso mi è tornato in mente un episodio/metafora che Oskar Lafontaine, allora leader della Spd, a quei tempi abbastanza diversa rispetto alla versione attuale, raccontò in un saggio uscito in Germania alla fine degli anni Ottanta e pubblicato da Marsilio nel 1990 con il titolo La società del futuro. Lafontaine vi trattava diversi temi, allora e in parte anche oggi, di stretta attualità e, a proposito dell’unificazione tedesca, proponeva il superamento degli stati nazionali pur auspicando una unità europea su determinati contenuti. Un manifesto politico importante. All’inizio del testo viene descritto uno strano incidente automobilistico di cui fu testimone il leader della sinistra tedesca. Si verificò in Francia: in un tratto completamente dritto una vettura era andata a sbattere, per fortuna senza gravi conseguenze, contro un tir che la precedeva. La strada era un rettilineo, quindi chi guidava aveva visto da lontano l’ostacolo, ma nonostante questo era andato a sbattere. Sorpreso Lafontaine chiese chiarimenti a un psicologo, studioso di casi di questo tipo, il quale gli rispose che «il guidatore aveva visto le luci dell’autotreno (era notte) ma, per le condizioni monotone di guida su una strada senza curve, le aveva notate fin troppo a lungo prima di raggiungerle, per cui dopo un po’ aveva smesso di percepirle». Speriamo che non andremo a schiantarci anche noi.

Gli autori

Sergio Sinigaglia

Sergio Sinigaglia (Ancona, 1954) ha svolto le professioni di libraio e successivamente di giornalista in una società di comunicazione. Dal 1976 al 1978 è stato redattore a Roma del quotidiano Lotta Continua, organizzazione dove ha militato sin dal 1970. A partire dalla metà degli anni Novanta ha collaborato con il mensile Una città (1995-99), il settimanale Carta Cantieri Sociali (1998-2010) e i quotidiani Il Centro (1995) e il Manifesto (2010-2014). Dal 2018 al 2021 ha scritto commenti su temi di attualità e recensioni sul sito Global Project. Attualmente scrive sul trimestrale Malamente.

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One Comment on “La guerra divide, ma perché non unirsi almeno contro la corsa al riarmo?”

  1. Interessante, ho paura che andremo a sbattere e non lo voglio, dobbiamo organizzare dei comitati contro la guerra come fu per la guerra in Jugoslavia quando in Italia fu fortissimo il.movimento pacifista, nonostante questo il governo D’Alema continuò e bombardò insieme alla Nato quel territorio. Oggi ancora vi troviamo il PD e tutti i partiti di governo e opposizione d’accordo per invio di armi e aumento di spese per il riarmo. Che sinistra c’è nel ns paese, ispirata ai temi della sinistra no al riarmo no all’aggressione e alla guerra anche no alla Nato. Ricostruiamo questi comitati contro la guerra è urgente

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