I “putiniani”, come inventare una categoria per eliminare la complessità

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Putin è il cognome perfetto per essere trasformato in un aggettivo con cui creare e nominare una categoria: i “putiniani”. Altri cognomi, come Riotta, non si prestano perché suonerebbero male nel disarmonico aggettivo i “riottani”. Ma proprio Gianni Riotta è stato, tra i giornalisti “riottani”, il più veloce nel convogliare qualunque tentativo di analisi, qualunque discussione fuori dal coro sulla guerra in Ucraina, nella categoria i “putiniani”. La categoria diventa così un ghetto in cui è più semplice rinchiudere e sminuire, deridere o criminalizzare, qualunque analisi che cerchi di approfondire le cause per cui si sta pericolosamente scivolando verso un nuovo conflitto mondiale, con un elevato rischio nucleare.

Le linee editoriali dei principali media, sempre più omogenee tra loro e allineate, hanno dato l’indicazione di mettere l’elmetto che è stato prontamente indossato, con rare eccezioni, da una classe giornalistica che negli ultimi decenni ha smarrito la propria autonomia. E i giornalisti con l’elmetto più che analizzare le cause di questa drammatica situazione internazionale, che stravolgerà il presente e il futuro prossimo dell’intero pianeta e in particolare dell’Europa, sono scesi, pur restando sul sofà, in guerra contro il “nemico interno”, individuato in chiunque ritenga che sia necessario capire come si sia potuti arrivare sull’orlo della terza guerra mondiale. Perché di questo si tratta e non ne siamo distanti.  

Non c’è alcun confine etico, come incredibilmente o faziosamente sostiene Antonio Polito sul Corriere della Sera, tra guerra e barbarie: la guerra è barbarie, è sempre e in ogni caso un crimine contro l’umanità, tira fuori il peggio di ogni uomo, di ogni nazione, e la violenza verso la popolazione civile è una terribile ma inevitabile conseguenza di ogni guerra da cui non ci siamo distinti nemmeno noi italiani come ricostruisce, con precisione, Angelo Del Boca nel libro Italiani brava gente?. Ogni guerra ci riporta al Medioevo più profondo e violento che azzera ogni progresso sociale e culturale degli Stati coinvolti e quindi la domanda se è stato fatto di tutto e di più per impedire l’aggressione dell’Ucraina è importante e legittima, e le risposte possono anche non essere univoche ma sicuramente sono inquietanti.

La Russia è colpevole per aver invaso l’Ucraina, per aver amplificato a dismisura un conflitto iniziato ben otto anni fa che ha avuto il suo epicentro nel Donbass ma che, in realtà, ha investito, nel silenzio dell’informazione occidentale, gran parte dell’Ucraina; la Russia con l’invasione dell’Ucraina è passata dalla parte del torto, a prescindere da qualunque giustificazione, perché ha privilegiato la guerra alla diplomazia. Ma questa pesante colpevolezza non assolve la NATO, evidenzia il deficit politico dell’Unione Europea, non assolve la classe dirigente dell’Ucraina.

Le manovre NATO sul territorio Ucraino come il recente Three Swords 2021, gli armamenti considerevoli e l’addestramento militare garantiti da oltre dieci anni all’Ucraina da parte di alcuni Paesi della NATO (in primis da Stati Uniti e Gran Bretagna), il continuo ampliamento verso Est della NATO che ha via via inglobato una serie Paesi (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia nel 1999, Paesi Baltici, Romania e Bulgaria nel 2004) hanno contribuito ad alimentare il potenziale scontro delle sfere d’influenza tra la NATO, che è a trazione statunitense, e la Russia in piena sindrome da accerchiamento. Era imprevedibile la reazione della Russia rispetto a un accerchiamento sempre più stringente e ravvicinato di Paesi NATO, dove gli Stati Uniti, che giocano sempre in trasferta e sulla pelle di altri popoli, possono dislocare le proprie basi e armamenti nucleari? Non lo era affatto, e anche se la realtà è molto complessa e di non facile lettura perché in ogni guerra non c’è una “verità superiore” ma un insieme di interessi inconfessabili, è chiaro che le due massime potenze imperialiste, Russia e USA, stanno giocando una geopolitica partita a scacchi in cui i vari pedoni, in primis i cittadini ucraini, sono stati mandati allo sbaraglio e considerati carne da macello.

L’Unione Europea manca di una omogenea visione progettuale su molti temi ma soprattutto è carente in politica estera e ha, colpevolmente, sottovalutato l’esplosiva escalation della guerra che è iniziata nell’aprile del 2014 nel Donbass, forse sperando che restasse confinata nella parte più orientale dell’Ucraina.

Quanto alla classe dirigente ucraina: non ha avuto alcuna remora a utilizzare forze paramilitari di stampo fascista e neonazista nelle manifestazioni di Piazza Maidan del 2014, che portarono alla caduta del governo filorusso del premier Janukovyc contrario ad un accordo di associazione economica e politica con l’Unione Europea. Non ha avuto remore nel coprire i crimini compiuti dalle forze paramilitari neonaziste nella repressione della minoranza filorussa, forte nel Donbass ma diffusa in tutta l’Ucraina. Nella strage di Odessa del 2 maggio 2014, colpevolmente oscurata dai media occidentali, un imprecisato numero di manifestanti filorussi furono massacrati dalla violenza neonazista del gruppo Pravij Sektor. In fuga dalla piazza di Kulikovo di Odessa e costretti a riparare nella Casa del Sindacato, molti bruciarono vivi nell’incendio dell’edificio. Ufficialmente si parla di 48 persone che morirono nel rogo acceso dai neonazisti ma in una interpellanza presentata al Parlamento Europeo si sostiene che i morti furono molti di più, di cui numerosi linciati e massacrati a bastonate, o uccisi con colpi da armi da fuoco mentre la polizia non intervenne in alcun modo. Non solo il Governo Ucraino nulla ha fatto per impedire questa come altre violenze o per punirne i responsabili, ma nel corso degli anni ha inglobato questi consistenti gruppi, che si richiamano alle SS e di cui Pravij Sektor e il Battaglione Azov sono solo i più noti, nelle forze militari del Paese. Ma per molti politici dell’attuale establishment ucraino l’obiettivo in questi anni è stato proprio quello di reprimere e terrorizzare qualunque forma di dissenso al nuovo corso, e a questo punto la domanda legittima è: si può integrare nell’unione Europea uno Stato il cui Governo non ha avuto remore a finanziare ed utilizzare gruppi paramilitari di matrice fascista e neonazista nella repressione violenta delle componenti ucraine filorusse?

I vari direttori ed editorialisti con l’elmetto dei principali media liquidando con l’aggettivo “putiniano” chi solleva queste complesse questioni, diventano consapevolmente esecutori di una linea di censura che avvilisce l’idea stessa dell’informazione che non può essere confusa con la formazione.

Gli autori

Giovanni Vighetti

Giovanni Vighetti vive a Bussoleno ed è esponente del Movimento No Tav

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5 Comments on “I “putiniani”, come inventare una categoria per eliminare la complessità”

  1. Caro sig.Vighetti.
    Come sempre la sua analisi è puntuale e precisa.
    Ma è un dato di fatto che tutti i popoli confinanti con la Russia verso Occidente, ad eccezione dei bielorussi, almeno per quanto è dato di sapere, abbiano optato per un modello occidentale, compreso lo scudo difensivo rappresentato dalla NATO .
    Varrebbe la pena di analizzarne con pari dovizia tutte le possibili ragioni.
    Perché guardi, Signor Vighetti…pur condividendo in buona misura la sua analisi (e confortato dal fatto che domani questo sito non sarà censurato a causa di essa e alla faccia della faziosità della stampa ufficiale), le confesso che se al posto di Zagabria ci fosse Mosca, nonostante tutta la sua analisi sarei ben felice di stare nella NATO.
    Un abbraccio.

    1. Gentile Sig. Giorgio, suggerirei la lettura di ‘Il secolo autoritario’ da Internazionale n. 1455, 8/14 aprile 2022. In effetti, anche la ‘hybris’ eurocentrica e Natocentrica ha le sue responsabilità per la situazione attuale. La pretesa superiorità morale, politica, economica (e militare) del cosiddetto Occidente non è immune da limiti e contraddizioni: giusto per fare un es., se fossi curdo è molto probabile che non mi piacerebbe vivere in Turchia (Paese Nato).

  2. La Turchia non è propriamente un fulgido esempio di modello occidentale. È solo messa nel posto sbagliato.

  3. La situazione politica prebellica dell’Ucraina era certamente complessa, ma la Russia di Putin non era estranea ai disordini del Donbass. Inoltre le motivazioni della guerra, enunciate più volte dallo stesso Putin, hanno più a che fare con una malintesa unificazione delle popolazioni slave di lingua russa e di religione ortodossa, che non con l’estensione della NATO. Oggi il problema è quello di trovare una base negoziale sulla quale forzare un incontro tra Putin e Zelensky, e le richieste di Putin sono apparentemente le più difficili da gestire, perché implicano grosse cessioni territoriali da parte dell’Ucraina. Debolezze europee e influenze USA ci saranno pure ma non sembrano essere “il” problema.

    1. Gentile Sig. Bellelli, la guerra “a bassa intensità” nel Donbass si trascinava dal 2014 e gli accordi di Minsk non sono stati rispettati sia dall’Ucraina sia dalla Federazione Russa (due nazionalismi esasperati). Non potendo riassumere in poche battute un quadro complesso ed articolato, quel conflitto (a partire dalla cinica ‘operazione speciale’ lanciata da Putin, premessa ormai indispensabile per evitare di finire nella categoria richiamata dal contributo commentato in questa sede) ha chiaramente assunto i connotati di una ‘guerra per procura’ che sta determinando un vero e proprio massacro e le cui radici possono essere individuate – in buona parte – nell’articolo di Alberto Negri , il manifesto 21 aprile 2022. Cordiali saluti.

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