Pacifismo realistico o corsa alle armi? Dialogando con Gianni Cuperlo

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Caro Cuperlo,

ho letto con attenzione l’intervista che hai rilasciato a Il Riformista del 30 marzo (https://www.ilriformista.it/facile-dire-allucraina-sei-debole-arrenditi-lue-con-armi-accoglienza-e-sanzioni-obbliga-putin-a-trattare-intervista-a-gianni-cuperlo-290158/?refresh_ce), nella quale sostieni che tra la scelta di inviare armi all’Ucraina, le cui ragioni tu difendi, e la politica di riarmo a livello europeo e italiano non vi è, o non vi dovrebbe essere, un nesso così stretto tale da stabilire un rapporto di causa ed effetto.

Si può concordare solo in parte con questa tua considerazione. È infatti vero che la spinta al riarmo è ben antecedente all’invasione russa dell’Ucraina. Del resto nel mondo non sono mai mancate guerre, di maggiore o minore intensità, più vicine o più lontane, da foraggiare o da assumere come un pretesto per un incremento della produzione e della spesa bellica. Ce lo ha ricordato Giulio Marcon in un recente articolo su il manifesto (https://ilmanifesto.it/elogio-del-disarmo-ovvero-finche-ce-guerra-non-ce-speranza) sottolineando che nel nostro paese le spese militari sono aumentate negli ultimi dieci anni di oltre il 15%. E il Sipri rende noto che negli ultimi due anni, malgrado la pandemia e la necessità di destinare maggiori risorse per contrastarla, le spese militari hanno continuato imperterrite il loro percorso di crescita aumentando del 2,6%. Eppure non ti sarà sfuggito come proprio l’apertura del conflitto bellico in Ucraina abbia dato una potente accelerata a questa crescita già in atto. La scelta della Germania di destinare al riarmo 100 miliardi assume un significato epocale e difficilmente immaginabile senza l’inizio di quel conflitto. Siamo di fronte a un salto di qualità in negativo, impossibile non vederlo e non trarne le debite conseguenze. Esso fa parte di un processo più complessivo che va nell’affossare qualunque tipo di politica verso la Russia da parte dell’Europa, lasciando aperte solo le vie di comunicazione costituite dalle forniture del gas russo di cui “pare” non si possa fare a meno. E infatti sembra che possiamo continuare a pagarlo in euro anziché in rubli. Come sono lontani i tempi in cui pensavamo l’Europa come una costruzione unitaria, su base federale, dalla foce del Tago ai monti Urali! Il conflitto in Ucraina ha dato una buona mano, obiettivamente, alla realizzazione del disegno statunitense, sempre più evidente in questi ultimi anni, di creare una frattura tra l’Europa e la Russia, allo scopo di indebolire la prima e isolare la seconda.

Ma torniamo alla questione delle armi all’Ucraina. Tu dici che non si può chiedere al popolo ucraino di arrendersi. In effetti non si può imporre ad altri i propri desiderata qualunque essi siano. I paragoni con la Danimarca ai tempi di Hitler sono ugualmente strampalati, quanto lo sono quelli tra la Resistenza italiana e l’opposizione attiva delle forze ucraine all’invasione russa. La profonda diversità della situazione storica, in particolare l’esistenza di una guerra mondiale in atto dovrebbe trattenere chiunque da stabilire impossibili parallelismi. Dobbiamo perciò giudicare la decisione di fornire armi all’Ucraina per quello che è nel tempo presente. Si è detto che si tratta di fornire armi di difesa. Ma il confine tra queste e armi offensive è assai dubbio e labile. In ogni caso il Parlamento è stato o si è deprivato di qualsiasi possibilità di controllo su che tipo di armi verranno inviate, essendo questa materia degli organi militari. D’altro canto la richiesta di Zelenski riguarda insistentemente la no-fly zone e aerei, il che comporterebbe la generalizzazione del conflitto ben al di là del diritto di difesa di fronte alla invasione. La quale, già ora, non pare proprio così priva di strumentazioni belliche. È dal 2014 che la Nato ha contribuito a sostenere l’Ucraina, armando e addestrando le sue forze armate.

L’iperfiloatlantica Repubblica riferiva qualche giorno fa di una riunione tenutasi giovedì 24 marzo, in (non troppo) gran segreto, a Forte Braschi a Roma, sede dell’Aise, il servizio di intelligence estera. Pare vi abbiano partecipato tra gli altri figure come il direttore della Cia, William Burns, il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, i vertici dei servizi di sicurezza esterni inglesi, tedeschi e francesi. Il tutto mentre a Bruxelles si riunivano ufficialmente il vertice Nato e quello europeo alla presenza di Joe Biden. I convenuti hanno giudicato fallite le previsioni di guerra lampo dei consiglieri di Putin; hanno previsto il riposizionamento delle truppe russe nel Donbass, come del resto annunciato dal capo della direzione operativa dello Stato maggiore della Difesa russo; hanno giudicato che le forze russe sul campo sarebbero stanche e demotivate; che non se ne vedono altre ammassate ai confini, almeno per il momento. Ma soprattutto hanno sottolineato che sul campo ci sarebbe un vantaggio ucraino calcolabile in armi, dal momento che, secondo le stime alleate, per ogni tank russo ci sarebbero 11 armi anticarro in mano agli ucraini. Sarà vero? Certo la fonte è attendibile. Tutti hanno detto che le previsioni americane sull’inizio della guerra si sono rivelate inesatte. Gli si può prestare un certo credito anche in una valutazione come questa.

Ma allora, caro Cuperlo, lo scontro non è tra un pacifismo “profetico” e uno “concreto”, ma di sapere valutare bene la necessità, l’incidenza, l’efficacia e le conseguenze degli atti che si compiono. Portare il nostro, o altri paesi, sulla soglia della cobelligeranza, o addirittura varcarla, allontana la pace e la soluzione del problema per il popolo ucraino in primo luogo, e poi per la Russia, per l’Europa e per gli equilibri mondiali, già prima così squilibrati. La scelta deve essere quella di continuare nella trattativa, chiamando in causa una mediazione autorevole che non può essere di quello o di questo paese, ognuno interessato a trarne un proprio vantaggio, ma deve essere di un Onu che va richiamata alle proprie responsabilità. L’idea messa in campo da Luigi Ferrajoli (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2022/03/23/per-la-pace-in-ucraina-le-nazioni-unite-in-seduta-permanente/) di una sessione aperta, continuata e pubblica dei massimi organi delle Nazioni unite va precisamente in questa giusta direzione.

Gli autori

Alfonso Gianni

Alfonso Gianni, saggista e studioso di problemi economici, è stato parlamentare e sottosegretario allo Sviluppo economico nel secondo Governo Prodi. È attualmente condirettore della rivista trimestrale "Alternative per il socialismo".

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