A sinistra, feconda passione

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Che cosa è stare a sinistra, anzi “essere” di sinistra? Dario Oitana diceva fin da giovane: un cristiano è di sinistra. Il nostro giornale, Il foglio, è nato così, dalla fede cristiana e dalla laicità umanistica. Bobbio diceva: «Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi: ecco la differenza» (1985). «La differenza è fra chi prova un senso di sofferenza di fronte alle disuguaglianze e chi invece non lo prova e ritiene, in sostanza, che al contrario esse producano benessere e quindi debbano essere sostenute. In questa contrapposizione vedo il nucleo fondamentale di ciò che è sinistra e di ciò che è destra» (1994). «Sarei tentato di dire che la distinzione va al di là delle semplici idee politiche, è un elemento quasi antropologico» (1994). La differenza non è contingente, ma permanente nella storia umana, nel mutare delle forme sociali.

Non è principalmente questione di collocazione sociale, di classe, di reddito, di cultura. Riguarda l’etica umana e non la meccanica delle forze quantitative nell’agone politico, né l’alternativa tra conservazione e riforma, progresso. È la tensione morale e attivamente politica verso la realizzazione del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 Costituzione italiana) in tutti, quindi anzitutto negli impediti.

È un’idea sempre davanti al cammino umano, più avanti. Non è la differenza tra buoni e cattivi, ma tra insoddisfatti a sinistra e rassegnati a destra, tra speranza e fiducia a sinistra, e scetticismo sull’evoluzione umana a destra. È la differenza tra chi, a sinistra, rifiuta la legge della forza, e chi, a destra, sottomette le persone alle diseguaglianze di forza. La sinistra è giustizia perché vi sia libertà comune, e non quella di «libere volpi fra libere galline» (Fidel Castro, citato dal vescovo Bettazzi).

La sinistra non è la storia delle rivoluzioni violente, o delle utopie irresponsabili, che hanno deformato o vanificato l’idea-guida di una umanità in incessante umanizzazione. È stupido citare il libro nero di Stalin per condannare la sinistra: sarebbe come confondere il Grande Inquisitore con Gesù, suo prigioniero. La sinistra nell’agire storico – nella persona di ciascuno, come nella società umana – è l’umanità aperta al possibile, che è più del reale, che la realtà invoca. Sinistra è trasformare, e non solo gestire, la nostra umanità vissuta insieme. È l’idea, e non la forza, che determina l’azione. Quale idea e quale modello di umanità guida una politica? Ciò conta più delle quantità, delle alleanze, delle vittorie: se un obiettivo è davvero umano, se è più umano, emergerà nel cammino storico umano. La fecondità vale più dei risultati: questi passano, la fecondità rimane.

Sinistra è umanesimo compartecipato da tutti: nessuno ne sia lasciato fuori! Umanesimo è coscienza irrinunciabile del mistero drammatico nel centro delle persone umane. La cultura dei diritti umani, già nelle sapienze antiche, emersa per riscatto dalle violenze disumane del Novecento, chiede a ciascun cittadino del mondo la coscienza della propria invendibile dignità, e lo stesso dovere verso ogni altro umano. Il tuo diritto è difeso dal mio dovere verso di te, e così sono difeso io, non dalla mia forza, ma dal tuo sentito riconoscimento. Non c’è democrazia dei diritti umani senza la coscienza socialista, della sinistra che cerca la propria autenticità. Socialismo non è questo o quel regime, o movimento, o partito: è la coscienza profonda che siamo soci e non rivali; che la convivenza non è una gara a scavalcarci, ma una collaborazione impegnata per tutti; che la differenza non è l’occasione per sopraffare, ma per condividere. E non solo soci in una impresa produttiva, ma fratelli per origine e destino, e attivamente amici (la Fratelli Tutti parla ripetutamente di «amicizia sociale», senza la quale non si vive: nn. 2, 6, 94, 99, 106, 142, 154, 180, 198ss, 233, 245, …).

La sinistra è fiducia nell’umanità. Non si fa vincere dallo spettacolo enorme della sopraffazione e della violenza, non è rassegnata al male. Anche quando non afferma la fede in un Bene vivente, solitamente chiamato Dio, ha questa fede fondamentale. Infatti non soggiace alla fede nella forza, che la forza stessa impone alle coscienze violentate. Perciò sinistra è libertà, non degli egoismi, ma delle coscienze che obiettano alla forza stabilita. La sinistra è atea del dio violento. Dicendo no, nella mente e nell’azione, a ciò che nega il bene umano, dichiara fede nel Bene. Negando il negativo (non-uccidere; non-violenza; il negativo è l’uccidere, la violenza) fa una immensa affermazione, cioè afferma che il bene è radicale (Hannah Arendt) e non il male (come dice Kant, in linea con il dogma agostiniano, ma non biblico, del peccato originale, radicale). Il male non è ineliminabile, non è metafisico, con esso non c’è da venire a patti e meno che mai possiamo usarlo come arma. La sinistra, cioè il socialismo degli umani-soci-fratelli, è una fede attiva e impegnativa. Si può e si deve essere umani, e lo saremo.

Intanto, vediamo: nella realtà di questo momento i vaccini anti-covid devono essere disponibili per tutti i popoli, anche quelli che non possono pagare, perché la vita di ognuno e di tutti è al di sopra del commercio speculativo, e farne commercio è delitto. La sinistra non accetta il “nazionalismo vaccinale” che crea nuove diseguaglianze, approfittando delle precedenti (cfr. Lucia Capuzzi, Avvenire del 14 marzo 2021 e intervista a Ugo Pagano, il manifesto dello stesso giorno).

Non basta alla sinistra assicurare uguali punti di partenza, come se poi la vita sociale dovesse essere gara e non collaborazione, come se la società fosse una pista che decide i primi e gli ultimi. Un esploratore, in una tribù africana, promise un premio a chi, in un gruppo di bambini, sarebbe arrivato primo nella corsa: i sapienti e civili bambini corsero tutti alla pari per dividersi il premio. La competizione frutta buoni risultati se è collaborativa e non eliminatoria, come l’evoluzione delle specie si scopre oggi che avviene nella collaborazione e non nella selezione: soci nel vivere e non rivali.

La sinistra oggi è cultura, lettura dell’umano in difesa dell’umano. Ricchissime fondazioni Usa, finanziate dai grandi capitalisti vogliono convincerci che non esistono sfruttatori e sfruttati, ma solo «imprenditori di se stessi», che siano miliardari o profughi a Lampedusa: questa è la predicazione di destra (denuncia Marco D’Eramo in Dominio, Feltrinelli). Al contrario, la sinistra è cultura dell’umanesimo universale, della Regola d’oro, legge della reciprocità, presente in tutte le civiltà umane di ogni tempo e latitudine; è il sentire del Samaritano che soffre nelle proprie viscere le ferite dell’uomo aggredito; è il pensiero confuciano per cui il sentimento dell’umanità, ren zhi xin, si esprime nel «non poter sopportare le sofferenze altrui» (Pier Cesare Bori, Per un percorso etico tra culture, Carocci 2003, pp. 58-60).

La cultura di sinistra valuta il lavoro, ogni lavoro, non solo come mezzo e necessità per vivere, ma come dimensione essenziale della persona umana, espressione libera e creativa. Lo sfruttamento del lavoro, ad ogni livello e grado, è atto disumano, che la politica deve impedire, come impedisce la delinquenza. La difesa dell’ambiente dallo sfruttamento e le riforme radicali per uscire da una economia distruttiva, sono nel centro della politica umanistica di sinistra.

La vita armata è intollerabilmente di destra, produce dolore di massa e crudele vantaggio di pochissimi. È tirannia odiosa, anche dove il popolo elegge il governo. La sinistra non vuole la vita armata. Le istituzioni armate sono sopraffazione strutturale. La mano armata è assoluta diseguale pre-potenza sulla vita disarmata. Negli Usa ci sono 393 milioni di armi per 328 milioni di cittadini. L’arma offende l’umanità anche prima di sparare: «La persona minacciata è ridotta a cosa» (Simone Weil). In un mondo armato noi siamo cose. L’arma uccide con facilità vergognosa. La volontà politica di una sinistra viva vuole che siano distrutte e vietate le armi che causano guerre per consumare nel sangue umano gli investimenti finanziari folli e criminali.

Altri punti qualificanti, oggi in Italia, dimostrebbero che la sinistra c’è se c’è un ideale di giustizia: una riforma fiscale fortemente progressiva; imposta di successione pure progressiva per patrimoni superiori; reddito sufficiente per tutti; ius loci et culturae; forte richiesta di riforma europea dell’immigrazione; primato della scuola a difesa dei giovani dalla corruzione consumistica; pubblicizzazione della sanità e suo rafforzamento sul territorio; alleanza degli umani con la natura; forte investimento prioritario nelle infrastrutture nel Sud; scelta per un’Europa più integrata e politica, anche a scapito del legame atlantico.

La sinistra è passione, nel duplice senso, di amore e di sofferenza. Ma è la passione il carburante e l’alimentazione dell’intelligenza e dell’azione degnamente umana. Se non c’è ora la vita giusta, c’è la passione, che ne è la madre feconda.

L’articolo è pubblicato anche su il foglio n. 480, maggio 2021 (www.ilfoglio.info)

Gli autori

Enrico Peyretti

Enrico Peyretti, già docente di storia e filosofia nei licei, svolge attività come ricercatore per la pace nel Centro Studi Domenico Sereno Regis di Torino, sede dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). È membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi. È un riferimento all'interno del Movimento nonviolento e del Movimento Internazionale di Riconciliazione.

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6 Comments on “A sinistra, feconda passione”

  1. Grazie. Un bellissimo articolo. Fa riflettere ed è sollecitazione ad un nuovo impegno di lotta per tutti gli uomini che si sentono di sinistra. Come dice Lei non è l’appartenenza ad una classe sociale che determina l’essere di sinistra oppure no, ma il sentimento di sdegno che ci pervade di fronte alle ingiustizie e la voglia di non poter accettare che le stesse governino il mondo.
    La vedo dura, ma val la pena di lottare e portare ognuno la propria testimonianza ed esempio nella società.
    Saluti.

  2. La Sinistra è un’idea platonica; quando cerca di oggettivarsi dà misera prova di sé. Invece di sollevare i “meno”, abbassa le mete alle loro capacità. Tradisce l’ideale per illudere quelli che tanto giustamente le piacerebbe aiutare.

  3. Laconico ed efficace il commento di Anna Macchioni. Poi c’è sempre chi sbuffa “allora che fare?”. E si spera che lo sbuffo sia fecondo, anzichè lo slaccio di una cintura che fa calare le braghe.
    Riflessioni come queste di Enrico Peyretti, a mio avviso, fungono solo da raccolta d’idee. Utilissima, ma cosa diventano quando qualcuno prova a praticarle nell’intrico della realtà?
    1) si pende dalle labbra dei politici, che ci schifano quando non ci paiono così “disinistra”; in pratica, campiamo del nostro schifarci
    2) si reagisce volando alto, sopra un emiciclo i cui occupanti sgomitano facendo ruzzolare fuori le estreme (poi si scopre che cadono i deboli e i nonviolenti, scaraventati di sotto come allo stadio Heysel)
    3) si finisce col confondere ogni coalizione maggioritaria “nondidestra” con un periodico e inevitabile “salviamo il salvabile”; chi non ci sta alla luce degli ideali qui elencati (quelli “disinistra”)… se cade di sotto se l’è andata a cercare ed è pure considerato un traditore (ma no, non si usano queste parole così violente, noi siamo pacifici…)
    Intanto, l’emiciclo si trasforma man mano in una forma toroidale, dove le estreme si salvano saldandosi e le altre fazioni trasmutano da ideologie a conflitti politici colloidali (scarsamente mediati dalla discussione, se non puramente mediatici). Resta ben poco di certo, nel setaccio di chi ragiona alla Enrico Peyretti, purtroppo.
    Ecco perchè ci si ritrova, alla fine, ad accontentarsi: di trattenere qualcuna, delle belle idee in elenco.
    Ma della deriva colloidale, che se ne fa? La si aborre, dicendoci che in fondo è “didestra” (mentre noi siamo rock)?
    La mia idea è che, se la sinistra è quanto vuol salvare l’umanità a dispetto delle sue disumanità, allora deve donare tutta se stessa (in senso evangelico) all’Umanità. E questo non significa gettarsi nel fiume con una pietra al collo (immagine evangelica per i veri peccatori dello Scandalo). Proprio il contrario, direi…

  4. Vale sempre il concetto pragmatico di giudicare l’albero dal frutto che produce ma forse purtroppo siamo tanto vicini al precipizio che persino il giudizio positivo sulla bontà del frutto può corrispondere a chi esprime il giudizio e a causa del potere distribuito in modo diseguale favorire gli interessi di chi ha maggiori capacità. Allora l’affermazione “Se non c’è ora la vita giusta, c’è la passione, che ne è la madre feconda” deve significare non lasciarsi offuscare la vista da una vita ricca di soddisfazioni personali e o della propria cerchia sociale ma esprimere in continuazione il concetto che si può ottenere malessere ingerendo buoni frutti perché noi stessi negandoli agli altri inquiniamo l’ambiente in cui viviamo e non solo con i veleni fisici ma anche con quelli morali che stanno sconquassando la società.

  5. “La cultura di sinistra valuta il lavoro, ogni lavoro, non solo come mezzo e necessità per vivere, ma come dimensione essenziale della persona umana, espressione libera e creativa.”
    Devo fare rilevare che il concetto di lavoro espresso in questo modo ha lasciato aperto un varco in cui si è intromessa la speculazione di chi adopera il lavoro degli altri per il proprio arricchimento sia materiale che di sopraffazione mentale sugli altri. Come minimo il concetto deve essere rovesciato; se dicessimo: “il lavoro è la dimensione essenziale alla persona umana, espressione libera e creativa attraverso cui l’individuo si procura anche il necessario per vivere”; non avremmo secondo me ancora risolto la contradizione insita nelle conseguenze logiche. L’individuo può infatti trarre la conclusione che, indipendentemente da quanto fa, il proprio lavoro è buono perché gli dà il necessario per vivere. D’altra parte, chi gli dà il lavoro gli può dire; “accontentati di quanto ti do, hai già le tue soddisfazioni!” Secondo me nel concetto di lavoro deve entrare quello di società che in questo modo finalizza ad un obiettivo libertà e creatività. Riformulo ancora: “il lavoro è la dimensione essenziale alla persona umana, espressione libera e creativa attraverso cui l’individuo assolve, per quelle che sono le proprie capacità, alla vita della società e contribuisce al suo miglioramento, mentre la società si prefigge e si organizza, sospinta dalla libertà e creatività individuale, per dare ad ogni individuo (e quindi a tutti gli individui) le migliori condizioni di esistenza possibili.”

  6. Il mio commento: A sinistra, feconda passione
    26-04-2021 – di: Enrico Peyretti

    “Altri punti qualificanti, oggi in Italia, dimostrerebbero che la sinistra c’è se c’è un ideale di giustizia: una riforma fiscale fortemente progressiva; imposta di successione pure progressiva per patrimoni superiori; reddito sufficiente per tutti…….”

    Giustissimo: “la sinistra c’è se c’è un ideale di giustizia”
    Ma se andiamo a controllare quanto s’intende perseguire rimaniamo delusi. Cerchiamo allora di capire come interviene la sequenza logica espressa col susseguirsi dei concetti sui convincimenti degli individui che entrando in relazione stabiliscono il vivere sociale. Cioè che significa dare valore sociale alla proposizione “una riforma fiscale fortemente progressiva? Significa, secondo me, dare l’assenso alla situazione in essere della sperequazione; è come rispondere al quesito proposto da Berlusconi, ad una assemblea di persone molto propense a seguirne l’esempio: “è forse reato essere ricchi?” dandogli ragione. La domanda è proposta volutamente in modo ambiguo; si dice ricchi invece che ricco e non si fa precedere il termine ricco da un avverbio appropriato che sarebbe spropositamente. Quando teniamo conto del fatto che ciascun individuo rispetto agli altri può essere più o meno ricco, si confondono le risposte. La domanda rivolta in un ambiente dove molti vivacchiano nel senso che non gli manca il necessario per vivere, acquisisce il significato dell’esortazione: “difendete il vostro stato sociale da chi ve lo vuole togliere e il concetto di solidarietà con chi è bisognoso si dissolve come neve al sole, diventa un fatto naturale.
    Quando esaminiamo i riflessi sulla società delle misure che conseguono (i frutti per la comunità umana), ci accorgiamo che le modalità d’intervento perseguono, poco e male, l’obiettivo espresso per ultimo: “reddito sufficiente per tutti”; come mai? Perché qualcosa che tutti, a prima vista, affermano essere decisivo per la soluzione positiva induce logicamente proprio il contrario sulle relazioni umane? Mi rendo conto che sto trattando una problematica estremamente complessa, ma ancora una volta mi varrò della logica fondamentale del pragmatismo del cristianesimo nascente: “l’albero si riconosce dai suoi frutti” e nel nostro caso il frutto è ingiustizia nelle relazioni fra gli uomini di questa Società. Il problema è complesso perché stiamo trattando un albero che è la nostra stessa società della quale noi stessi impostiamo e gestiamo la capacità di produrre e distribuire i frutti. Secondo me si deve accettare che alla naturale diversità di ogni individuo umano corrisponde in concreto la gerarchia dei poteri di ciascuno. Ma ogni individuo uomo proprio per come è fatta la sua società si specializza all’esecuzione di un compito in modo molto diverso da quanto avviene per le altre forme viventi. Gli stimoli individuali alla evoluzione sociale umana hanno procurato che a questa influenza partecipino in modo rilevante gli appartenenti alle gerarchie superiori di potere e questo ne accresce ulteriormente il potere. La logica della società umana attuale di distribuire qualsiasi bene che ciascun individuo chiede mediante il denaro creato il circuito logico di far crescere sempre di più il potere di chi ha denaro. Ma questo circuito logico non risponde più al progetto fondante di qualsiasi società di esseri viventi che secondo me è il seguente: regolare la vita degli individui appartenenti alla società stessa in modo da utilizzare al meglio le risorse disponibili distribuendole agli stessi suoi componenti senza rompere l’equilibrio ecologico che permette la riproduzione delle risorse utilizzate. Questo principio fondamentale vale non soltanto quindi fra gli individui di una società ma fra tutte queste di modo che ciascuna società di viventi deve coesistere con le altre in equilibrio di concedere alle atre la possibilità di vivere e riceverla dalle altre. La pretesa della società umana è di trasformarsi in una sorta di alveare con una élite dominante e le classi dominanti e quelle dipendenti al suo servizio. In realtà esiste una differenza sostanziale perché le api operaie partecipano all’equilibrio biologico con l’impollinazione. La verità è che questo sistema che chiamiamo economico, ha usurpato persino il significato del proprio nome perché è fondato sul principio di poter consumare senza attivare il processo di riattivazione del risorse consumate (come fanno le api) e si può chiamare distruzione definitiva non economia. Allora studiamo una nuova economia non creiamo artifizi per mantenere in vita questa che in realtà è distruzione. Forse la nuova economia non può essere altro che solidarietà.

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