La formazione del Governo Draghi, le vicende che l’hanno favorita e accompagnata, la sua accettazione acritica da parte delle forze politiche (all’infuori della destra neofascista e di qualche esponente, in numero inferiore alle dita di una mano, di Sinistra italiana) e della totalità della stampa nazionale hanno aperto in quel che resta della sinistra un confronto sulle prospettive che si aprono. Le domande sono chiare: dove stiamo andando? E, ancora, che fare? A questo dibattito, su cui stanno arrivando molti e appassionati contributi, Volere la Luna dedicherà una particolare attenzione.
Venne il giorno della Provvidenza ed era un giorno di pioggia come tutti gli altri. SuperMario, il Messia, il più competente, colui che tutto il mondo ci invidia e che non ci farà più vergognare, squarcia gli Osanna e dai cori emergono uomini e donne a volte mediocri a volte raccapriccianti. Ci avevano preparati ad avere il meglio cui l’Italia potesse aspirare. L’innovatore invece attinge al passato, quasi a voler fermare la storia, e vara un Governo di destra-centro-sinistra che riesce a concentrare il peggio dei Governi di centrodestra e di centrosinistra degli ultimi decenni: Brunetta, Gelmini, Carfagna, Franceschini, Orlando. Il suo Governo riporta l’orologio indietro di vent’anni. Come se la storia non avesse già decretato il fallimento del liberismo, della terza via e del berlusconismo. Il Migliore riesce nell’impresa di mettere insieme tutti questi fantasmi del passato quasi scommettendo che essi si possano esorcizzare gli uni con gli altri. Davamo tutti per morto il neoliberismo e ci dicevano che il Draghi della Trojka, della lettera d’intenti, della messa in ginocchio della Grecia era un lontano ricordo e che l’Uomo era cambiato. E invece l’Uomo della Provvidenza (che in Italia sarà anche Divina, ma è sempre di sesso maschile) vara un’operazione nostalgia piuttosto scialba e mediocre. Siamo dalle parti dei Governi Dini e Monti, ma in un contesto storico e internazionale totalmente mutato e con un tessuto sociale sfibrato e in ginocchio rispetto a venti o dieci anni fa. E con un tesoro di miliardi da distribuire in modo da ridisegnare gli equilibri di potere e i rapporti di forza dei prossimi anni.
Tanto rumore per nulla, dunque? Non è così.
La vera portata del Governo Draghi non sta nel Governo stesso, ma nel tipo di operazione di cui è portatore. Lo scenario politico ne esce travolto e radicalmente mutato nel giro di pochi giorni. L’operazione Draghi lascia fuori solo la Destra nazionalista e razzista, ma insonorizza e imbriglia tutto il resto, il sovranismo muscolare e xenofobo, il populismo movimentista, anche l’egoismo narcisista renziano. Non è un’operazione casuale, è quello che si voleva, che si è teorizzato e preparato nei dettagli: l’omologazione del sistema politico italiano. I poteri economici nazionali e sovranazionali hanno ritenuto che non si potesse rischiare, che alcuni disegni di legge in cantiere dovessero essere affossati e che timidissimi segnali di autonomia presenti nel precedente Governo e nel premier dovessero essere bloccati sul nascere. E così, anche la democrazia costituzionale ne esce normalizzata e commissariata. Quello di Draghi è un Governo ineccepibile sul piano della democrazia parlamentare, ma è un Governo normalizzatore e imbrigliatore delle dinamiche partecipative della democrazia costituzionale: azzerare le differenze, rendere obsoleta l’esistenza di posizione politiche contrapposte; tra Salvini e Speranza non ci devono essere differenze o comunque non devono essere percepite, perché il messaggio diretto al ventre del Paese è abbandonare gli egoismi di parte e concorrere tutti insieme al bene della nazione. Destra e sinistra definitivamente omologate. I rider e le multinazionali, gli invisibili e i miliardari del Billionaire, sono la stessa cosa. Difendere i primi contrasta con l’interesse nazionale. E soprattutto i primi devono rimanere senza rappresentanza politica, mentre ai secondi è garantita la “copertura” di tutto l’arco parlamentare. Da questo punto di vista, si tratta del disegno più pericoloso che il Paese potesse subire. Azzerare il conflitto vuol dire consegnare lo scettro ai più forti, negare l’esistenza stessa della lotta politica per la difesa di interessi differenti; e prelude sempre alla chiamata della Patria che non consente diserzioni. E infatti nessuno ha disertato; anche quella sparuta pattuglia di parlamentari di sinistra, del tutto scollegata con i fermenti vivi del Paese, ha piegato la testa. Il Normalizzatore ha sancito così la definitiva vittoria dell’antipolitica; ci avevano detto di aspettarci chissà quale svolta storica o quale raffinata teoria e invece siamo a livello di pettegolezzo da bar: «tanto son tutti uguali». Draghi offre così il migliore puntello alla recente vittoria referendaria: che senso ha avere così tanti parlamentari se tanto stanno tutti dalla stessa parte? L’unanimismo rende inutili le sfumature e le differenze e la rappresentanza era già diventata un costo da tagliare.
Ma se questo è lo scenario, oggi che essere “di parte” è messo al bando dalla storia, per chi intende la democrazia costituzionale come partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese in difesa di idee, valori, interessi, programmi si apre uno scenario inedito e senza precedenti. In un contesto in cui tutte le forze rappresentate in Parlamento fanno da megafono alla normalizzazione di ogni alterità, chi intende stare da una parte sola ha un’occasione unica. Bisogna far nascere immediatamente nel Paese una forza politica alternativa, che sottragga alla Meloni il palcoscenico della vita pubblica per evitare l’ultima delle beffe, ossia che una forza in realtà omogenea alla compagine governativa riesca a intercettare l’opposizione senza essere autenticamente diversa. La costituzione di una forza politica che sappia mettere a nudo l’anticaglia di questo Governo non può essere rinviata oltre. Fra un anno, l’antipolitica avrà seminato ulteriori veleni e una parte rilevante del Paese non può continuare a essere ancora esclusa dalla rappresentanza politica. O dovremo prepararci a scenari ancora più cupi.
Ci sono alcuni pilastri imprescindibili per avviare questo percorso. Primo. Il meglio che offre il Paese non è dentro questo Governo e non trova rappresentanza in questo Parlamento. Bisogna risvegliare queste energie e farle tornare in politica, coinvolgerle da subito nel processo costituente. Secondo. Chi è antagonista a questo sistema politico ed economico deve smetterla di ritenersi autosufficiente e di vantarsi della propria identità e purezza. Nei prossimi mesi, PD e 5S deflagreranno. Occorre da subito, con umiltà, avviare un dialogo con le parti migliori di questi due soggetti politici perché nessuno è sufficiente a sé stesso. Terzo. La testimonianza appartiene alla sfera personale dell’impegno politico, non a quella collettiva. Un soggetto collettivo che si propone il cambiamento del Paese deve essere consapevole che le sue posizioni e tutta la sua comunicazione devono essere popolari e non elitarie.
Il momento è questo e non è rinviabile. Forse Draghi è davvero l’uomo mandato dalla Provvidenza, per dare nuova vita a una storia spezzata.
PD e M5S deflagheranno?
Ma va… si ridimensioneranno un po’, all’italiana, magari spostandosi a litigare in un condominio “parallelo” (rispetto alle stanze del Governo), sperando che Conte si convinca a farne da amministratore. Per un po’ lo coccoleranno, come hanno fatto per decenni i “democratici” con Draghi ma certamente non con la stessa “perseverance”.
Nel frattempo, gli “alternativi” non dovrenno neanche più lambiccarsi sulla diatriba tra “popolari” ed “elitari”. Se lo continueranno a fare, sarà perchè stanno ancora fuori della mischia parlamentare che conta, là fuori a guardarsi l’ombelico e magari (nei casi migliori) leccare le ferite degli ultimi. Cosa succederà se invece in qualche piccola misura saranno chiamati ad entrare in quella mischia?
Ipotesi A: continueranno a litigare sulla medesima diatriba, condannandosi ad essere perennemente sbertucciati dai farisei… e a rincorrere il precipitare della politica come se mai fosse stata anche affar loro “da sempre critici”.
Ipotesi B: metteranno SPECIFICAMENTE in chiaro, prima d’ogni chiamata del popolo al consenso elettorale, le cose su cui non rinunceranno giammai, a prezzo di perdere influenza.
Caldeggio vivamente la seconda opzione. Osteggio mortalmente chiunque la contrasti dicendo “non ci si può ridurre alla mera testimonanza”. Se la coerenza è solo una tendenza morale e non un modo d’essere, allora il menopeggismo è l’approdo immediato. Ma allora di cosa stiamo parlando, visto che l’agenda è dettata altrove?
Tale agenda, se non si prova a riscriverla nei dettagli, il “pilota automatico” di quelli come Draghi la ha già impostata come un vero e proprio software. E’ un errore capitale, pensare di influire “perchè noi rappresentiamo l’hardware”. Non è più nemmeno vero, da tempo ormai…
L’Odissea della “Sinistra”, in questo vagare di approdo in approdo, non è ancora finita. Avrà qualche speranza di riposare con soddisfazione le sue stanche membra e riversare saggezza sulle nuove generazioni… solo quando avrà trasformato le sue battaglie nell’agone della democrazia rappresentativa. Non per toglier loro il conflitto, ma per eliminare morti e feriti inutili: quelli degli zombies vaganti dopo autocastrazioni multiple.
Le stesse popolazioni della polis non aspettano altro, che farsi difendere da gente tutta d’un pezzo, non da promettitori e giuratori seriali. Mica bisogna essere un Duce, per evitare di calarsi le brache dinanzi a un forcone diabolico!
Dunque, signori, una sola promessa mi attenderei da ciascun futuro candidato alle prossime elezioni: dica almeno una cosa SPECIFICA CONCRETA e VERIFICABILE che, se poi si rivelerà inattuabile per i rapporti di forza, vi porterà alle dimissioni.
So bene che la democrazia non dovrebbe essere, in realtà, un campo di battaglia tra aut aut. Magari… Vi sembra forse che, nella situazione venutasi a creare almeno in Italia, essa assuma la forma di una affidabile rappresentazione della polis? A me no. Ecco perchè trovo osceno il metodo M5S, e per certi versi pure certi loro “obbiettivi programmatici”, ma apprezzo alcune loro motivazioni originarie, che meglio di quasi tutti gli attori politici richiamano quanto ho appena detto. A partire dal “vincolo di mandato”, che è contro la nostra Carta ma affronta il problema cruciale. I grillini originari lo volevano come alternativa totale (e poi alla carlona l’han girato come faceva comodo a seconda delle circostanze), io invece lo penserei come patto verbale tra candidato ed elettore. Non serve e non è giusto contrapporlo surretiziamente alla Costituzione. Basta porlo come momento DAVVERO culminante di una campagna elettorale. Chi poi lo disattende in Parlamento, nessuno lo manda via per “non-Statuto”. Basta la rilevanza del patto e la sua trasparenza, per stimolare una consapevolezza pubblica che negli anni fa maturare la rappresentatività stessa degli eletti.
Danilo Conte fornisce un quadro terribilmente attendibile ed uno stimolo.
Sintetizzando: democrazia commissariata e omologazione destra e sinistra.
Riattiviamo il conflitto e lavoriamo seriamente. Il momento è qui e ora e la responsabilità è nostra.