Ho letto con molto interesse la “Talpa” sul sistema elettorale proporzionale (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/04/proporzionale-e-meglio/). Vorrei aggiungere a quanto contenuto in quel dossier la confutazione di due luoghi comuni sbagliati ampiamente sostenuti da chi preferisce un sistema maggioritario. Poiché questa confutazione si basa sulle mie ricerche, sono inevitabilmente obbligato ad autocitarmi. Inoltre vorrei aggiungere un suggerimento teorico, con riferimento soprattutto all’articolo di Francesco Pallante (file:///D:/DOWNLOAD/TALPA-proporzionale-7-pallante.pdf).
Primo luogo comune sbagliato: «In un sistema proporzionale puro i piccoli partiti di centro godono di un’indebita quota di potere». Questa affermazione urta contro due ostacoli piuttosto formidabili: l’evidenza empirica, che ci dice che nei sistemi proporzionali puri che ci sono stati in Europa nel dopoguerra il caso di una maggioranza di governo che avrebbe cessato di essere tale qualora da essa fosse uscito un partito piccolo è stato molto raro. In Italia ciò è successo in 6 governi su 49 non di minoranza fra il 1946 e il 1993. Il secondo ostacolo è teorico, e rende pienamente conto del dato precedente: se un piccolo partito di centro gode di una rendita di posizione in termini di potere, nasceranno altri piccoli partiti di centro, e questo processo si fermerà solo quando la rendita sarà stata interamente dissipata; in altri termini ci sarà un numero di partiti piccoli sufficiente a far sì che nessuno di essi possa da solo fare collassare la maggioranza abbandonando la coalizione di governo. Un corollario di ciò è che una soglia di sbarramento avrà effetti controproducenti, in quanto indurrà i partiti piccoli a coalizzarsi. Sono disponibili dati sperimentali ottenuti mediante simulazione. Nell’ambito del confronto fra sistemi elettorali la simulazione, se il programma usato è buono, è il miglior strumento disponibile, dato che consente di confrontare i diversi Parlamenti che derivano dall’uso di diversi sistemi elettorali data la stessa distribuzione degli elettori, un dato che nella realtà non è disponibile, poiché il sistema elettorale influenza l’espressione delle preferenze. Gli esperimenti da noi condotti con l’ottimo programma di simulazione dell’Università del Piemonte Orientale confermano entrambe le previsioni (si veda M. Migheli, G. Ortona e F. Ponzano, Competiton among parties and power: an empirical analysis, Annals of Operations Research, 2013).
Secondo luogo comune sbagliato: «In un sistema maggioritario ci sono meno partiti, quindi è più facile prendere decisioni». L’evidenza empirica di ciò è sostanzialmente assente, e la spiegazione teorica di questa assenza è la seguente. Se i partiti sono forzati a essere pochi, tendenzialmente due, diverranno dei partiti-contenitori, composti da correnti che possono avere posizioni anche molto diverse. La contrattazione si sposta quindi all’interno dei partiti, fra le correnti; e non è detto che sia più semplice che se avvenisse all’esterno (oltre ad essere evidentemente molto meno trasparente). Qui la sperimentazione dà esiti meno solidi: l’ipotesi che un sistema proporzionale abbia costi di decisione più bassi non è provata conclusivamente, ma ancora meno lo è la tesi opposta, il che ovviamente smentisce il luogo comune (si veda M. Migheli e G. Ortona, Plurality, proportionality, governability and factions, “Representation”, 2011).
Vengo ora al suggerimento teorico. Il punto fondamentale dell’articolo di Pallante può essere riassunto come segue. Se una società è fortemente differenziata, occorre che la rappresentanza politica rifletta le articolazioni della società. Una forzatura della rappresentanza che obblighi la formazione di una maggioranza è tanto più pericolosa quanto più la società è articolata, anche se è proprio in queste condizioni che la tentazione di ricorrere a questa forzatura sarà particolarmente seducente. Sono assolutamente d’accordo. Il discorso di Pallante si ferma qui. Ma naturalmente è vero che se la società è molto articolata un Parlamento perfettamente rappresentativo dovrà legiferare in una situazione in cui gli interessi da comporre sono molti e molto diversi. Credo che lui sarebbe d’accordo che il problema normativo è allora quello di quali regole decisionali adottare facendo salva la massima rappresentanza.
In Parlamento si decide a maggioranza assoluta dei presenti (salvo casi particolari). Questo impone una vasta contrattazione (se il provvedimento è importante) entro la coalizione di maggioranza, e una volta che sia stato opportunamente emendato il testo definitivo dovrà essere sottoposto a una scelta binaria: essere approvato o respinto a maggioranza assoluta dei presenti. Che fare se tale maggioranza assoluta non esiste, o può essere raggiunta solo con compromessi troppo complessi e/o tali da rendere la decisione risultante poco praticabile, o addirittura impossibile? Possiamo porre la questione in termini schematici, ma corretti, come segue. Il Parlamento funziona così: (a) un’assemblea elettiva (b) decide a maggioranza e (c) adotta dei provvedimenti. Questo circuito può bloccarsi, nel senso che (c), l’adozione di provvedimenti, può risultare difficoltosa. La soluzione non-proporzionale è che in tal caso occorre intervenire su (a). Se noi rifiutiamo di intervenire su (a), dobbiamo allora concludere che occorre intervenire su (b). Occorre cioè che il Parlamento decida con una regola diversa dalla maggioranza assoluta dei presenti.
Esiste una regola che si candidi plausibilmente a svolgere questo ruolo? La risposta è sì, ed è la cosiddetta Regola di Condorcet. Funziona così. Immaginiamo che il Parlamento debba decidere fra 4 diverse alternative, A-D. Ogni alternativa viene votata contro ciascuna delle altre, in una serie di “duelli” (ce ne saranno 6), in ciascuno dei quali la vincitrice è l’alternativa che ha la maggioranza fra le due che partecipano a quel duello. L’alternativa che vince tutti i duelli è l’alternativa che verrà scelta, la cosiddetta “vincitrice di Condorcet”. Questa procedura ha due enormi vantaggi. La prima è che si dimostra (ma non qui!) che è immune dal voto strategico, in altri termini che a nessuno conviene votare un’alternativa diversa da quella che preferisce per propiziare la vittoria di una second best. La seconda, e fondamentale, è che la scelta della alternativa vincitrice di Condorcet fa sì che venga scelta un’alternativa tale per cui nessuna altra gode di una maggioranza nei suoi confronti. La stessa cosa può essere detta in modo più suggestivo osservando che se non viene scelta la vincitrice di Condorcet allora si sceglie un’alternativa nonostante che ce ne sia un’altra che una maggioranza preferisce a quella.
Può darsi che una vincitrice di Condorcet non esista. Allora bisogna ricorrere a una regola di tie-breaking. Non approfondisco questo punto per un motivo che sarà subito chiaro. L’adozione della regola di Condorcet comporta una serie di problemi non da poco, ma risolvibili. Bisogna far sì che ogni partito avanzi la sua proposta sul problema che il disegno di legge si propone di affrontare. Bisogna valutare la coerenza di queste proposte con tale problema, per evitare proposte di disturbo. Occorrerebbe (forse, ma non è detto) modificare l’art. 64 della Costituzione («Le deliberazioni del Parlamento non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti»). Ancora, si dovrebbero rivedere le norme sul voto di fiducia e più in generale sulla formazione del governo. E bisognerebbe, come detto sopra, decidere la regola di riserva per il caso che non ci sia la vincitrice di Condorcet.
Questi problemi vanno studiati con attenzione. Io quindi mi fermo qui. Ciò che volevo dire è che un sistema proporzionale puro richiede, per funzionare in condizioni difficili, che si adotti una regola di decisione diversa dalla scelta a maggioranza. La regola in questione esiste, ed è la regola di Condorcet; occorre però studiarne a fondo le implicazioni onde arrivare a una proposta realistica. Un compito molto stimolante, ritengo, per i costituzionalisti e gli studiosi di scelte collettive.
Intanto: la successione temporale delle votazioni alla Condorcet sarebbe importante. Le strategie si dipanerebbero tra una votazione e l’altra, e non credo ci sarebbe norma capace di limitarle a sufficienza.
Poi, in questa idea (una serie di sfide a duello tra Nobili Proposte con le regole della cavalleria) vedo il medesimo enorme difetto che credo abbia contribuito parecchio alla conquistata… insignificanza della sinistra: è il difetto intrinseco d’ogni vera democrazia, che una volta assunto a pregio cardine della propria identità politica diventa imperdonabile per chi si ritiene campione ideologico della Democrazia. Intendo la deriva che pressochè sempre si manifesta passando per decisioni a maggioranza in successioni sempre più complesse di riunioni/assemblee/votazioni; la loro complessa articolazione non è affatto garanzia di libera realizzazione di un cammino democratico, ma lo rende vieppiù manovrabile da chi sa e conta: l’aristocrazia 2.0, per il tramite dei suoi maggiordomi. L’errore sta nel metterla sempre, anche dove non è più segno di democrazia sostanziale ma solo suo simulacro… candidandosi con sempre maggiore possibilità ad esserne sepolcro.
In questo senso, le procedure statutarie piddine e quelle “non-statutarie” dei 5Stelle dovrebbero insegnare qualcosa. Qualcosa di positivo (a cercarlo col lanternino), o piuttosto il concretissimo rischio di tradursi in una pesante presa in giro nei confronti della vera democrazia illiminata dalla nostra Costituzione (oltre che delle minoranze, al di là dei quesiti oscenamente mirati)? Una successione di sfide a duello, ne sarebbe alternativa valida?
Supponiamo che ci siano 4 opzioni (A, B, C, D). Su 100 votanti A batte B 51-49, C batte D 90-10, A batte C 51-49. Alla fine, i consensi iniziali (A, B, C, D)=(51, 49, 90, 10) diventerebbero (51, 0, 49, 0). La definirei una cancellazione selettiva delle minoranze, più che una loro selezione democratica. Due opzioni eliminate del tutto. Nella sostanza, il contrario di qualsiasi “proporzionale”. Con una legge elettorale proporzionale magari si tutelerebbero le minoranze, ma poi queste avrebbero vita grama in simili procedure ultramaggioritarie delle camere.
Viceversa, un taglio delle procedure parlamentari (una sola votazione a maggioranza anzichè una successione di duelli) farebbe seguito al taglio dei parlamentari stessi. Saremmo così tentati di leggerlo con gli stessi occhiali: quelli di una deriva autoritaria. Ciò sarebbe corretto solo se avessimo fede nelle procedure attuali: ma davvero crediamo che in esse trovino attuazione i principi costituzionali? In realtà proprio la legittimità sostanziale dei parlamenti, a partire dall’aderenza della legge elettorale a tali principi, è condizione necessaria (ancorchè non sufficiente, ma pazienza) per la loro attuazione in sede procedurale.
Ritengo dunque sia meglio concentrarsi sulle declinazioni più dirette dei principi constituzionali, evitando il rischio di contorcere la discussione su quanto sta a valle. C’è lo stesso di cui discutere.