Per il sindacato è necessaria una nuova strategia

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Il sindacato è sulla difensiva in ogni parte del mondo, sottoposto all’offensiva di potenti forze economiche e politiche. Ha attraversato molteplici crisi. Gli imprenditori lo stanno attaccando su tanti fronti e anche l’attuale pandemia viene usata per ridurre la sua influenza, come anche i salari e, più in generale, le condizioni di lavoro. Dal 1980, momento nel quale ebbe inizio l’offensiva neoliberale, stiamo vivendo un drastico cambio negli equilibri di potere, con un loro trasferimento dal lavoro verso il capitale. Per limitare questo processo importanti e diffusi settori del movimento sindacale hanno continuato a perseguire la strategia, l’ideologia della concertazione sociale pensata in altri momenti quando i rapporti di forza erano profondamente diversi. Ora, un numero crescente di sindacati sta prendendo coscienza di essere in una situazione critica e che sono ogni giorno di più necessari dei passi audaci per affrontare i propri avversari. Dobbiamo riformare i nostri sindacati, per convertirli in strumenti più efficaci e con una maggiore preparazione in vista dei confronti che si presentano per l’avvenire.

Manca la discussione

I sindacati si stanno opponendo a una riorganizzazione neoliberale delle nostre società. Si uniscono contro le privatizzazioni e le deregolazioni dei nostri servizi pubblici. Rivendicano occupazioni più sicure, migliori condizioni di lavoro, di salute e di sicurezza sul lavoro e una “giusta transizione” per evitare una catastrofe climatica. In generale, i sindacati sono portatori di un elenco impressionante di domande di progresso.

Il problema è che queste istanze tendono a fermarsi lì. Mancano un approfondimento e una discussione politica sulle modalità e sui tempi per perseguire gli obiettivi che quelle stesse domande richiedono. E, dato che i processi economici, sociali e politici vanno prevalentemente in senso opposto, diventa importante approfondire lo stato delle organizzazioni dei lavoratori, le loro difficoltà e, insieme, le loro forze.

Portare avanti le strategie sindacali presuppone sfide nuove e singolari. Queste strategie comportano trasformazioni sociali ed economiche profonde e rimandano a una lotta fondata su specifici interessi. È, a ben guardare, una questione di potere. Per queste ragioni è necessario che i sindacati siano capaci di lottare e, soprattutto, che siano disposti a lottare. Sono necessarie nuove alleanze sociali più ampie. Sono necessarie una mobilitazione di massa delle forze sociali interessate e una reciproca solidarietà. Tuttavia c’è un problema, dato che settori importanti del movimento sindacale internazionale sono intrappolati nella gabbia del dialogo sociale.

Un altro orizzonte di lotta

Nella interpretazione dominante il dialogo sociale si è convertito in un fine ultimo, nell’unica forma per proseguire nelle relazioni con gli imprenditori e con i governi. Orbene, la possibilità di parlare con gli imprenditori è sicuramente importante, ma non è un valore se non attribuisce un maggiore potere ai lavoratori; in mancanza si presenta come l’ambito nel quale cercare di esprime il potere già ottenuto nel passato. È la forma istituzionale della nostra rappresentanza, ma senza rinnovate capacità e predisposizioni a promuovere delle azioni non darà un potere ma continuerà a presentarsi come il tavolo delle possibili contrattazioni. In questo modo, negli anni, l’ideologia della concertazione sociale si è distaccata ogni volta di più dai rapporti di potere dai quali aveva avuto inizio.

Nessuno imputa al sindacato di perseguire incontri con gli imprenditori, ovviamente necessari e importanti. L’interrogativo è, però, se questo dialogo può ancora essere il mezzo principale per avere una reale influenza. Al posto di umiliarci per “avere un posto a tavola”, dobbiamo impegnare le nostre risorse e la nostra politica per costruire sindacati più forti con un solido radicamento nell’industria. Nell’attuale società capitalista, se non si rappresenta una potenziale minaccia per l’impresa non si ha alcun potere, con o senza dialogo sociale.

Per un impegno di classe

È necessario riflettere sulle origini del dialogo sociale. Tutto richiama l’istituzionalizzazione del confronto di classe tra le forze del lavoro e del capitale dopo la Seconda Guerra mondiale, con il suo epicentro nell’Europa occidentale. Questo confronto (non importa in questo momento quale giudizio si possa avere al riguardo) si è certamente costruito su rapporti di potere. È stato il risultato di un momento storico specifico durante il quale il movimento sindacale e dei lavoratori è stato capace di minacciare gli interessi del capitale con le sue mobilitazioni e le sue lotte.

Il compromesso di classe fondato sul dialogo sociale non è stato il risultato di una semplice richiesta agli imprenditori, ma una condizione determinata da una forte azione del sindacato e dei lavoratori dell’industria. Gli imprenditori imboccarono la strada dell’accordo con i lavoratori non perché animati da buona volontà, ma per evitare qualcosa di peggio, un qualsiasi tipo di socialismo. Questo compromesso si affermò dopo 50 anni di dura lotta di classe. Fu la forza dei lavoratori che permise un cambio nelle relazioni, con il riconoscimento di un loro potere e permettendo così al movimento sindacale un’influenza attraverso la negoziazione tripartita e il dialogo sociale.

Ora, nel momento in cui i rapporti di potere si sono radicalmente modificati a favore degli imprenditori, queste relazioni stanno frantumandosi o sono sul punto di esserlo. Con un movimento sindacale e dei lavoratori molto deboli e sulla difensiva, gli imprenditori non hanno più alcun interesse al compromesso, a partire da una dialogo sociale efficace. Una prova evidente della crisi che stiamo vivendo è nei sindacati europei che si sono dimezzati durante gli ultimi 40 anni; e c’è un’offensiva contro i sindacati senza precedenti nei tempi moderni. Sperare che, in questa situazione, ci si possa salvare con il dialogo sociale è come minimo ingenuo.

Per una strategia efficace

Non è difficile comprendere gli obiettivi perseguiti dagli imprenditori: abolire lo Stato sociale e privatizzare progressivamente parti crescenti della struttura economica, mantenendo in condizioni di debolezza il sindacato. Per combattere questa strategia, è necessario un sindacato più forte perché disposto a sfidarla. Va analizzata la congiuntura politica attuale e vanno sviluppati politiche e programmi capaci di offrire visioni e speranze che producano entusiasmo e fiducia e che siano contemporaneamente in grado di presentare strategie nelle quali gli obiettivi si possano concretamente realizzare.

Ma i rapporti di potere sono fondamentali: al posto del tavolo del dialogo sociale dovrà essere realizzata una situazione in cui gli imprenditori si rendano di nuovo conto che è meglio tenere i sindacati al tavolo che non per le strade e nei picchetti davanti ai luoghi di lavoro per lo sciopero.

L’articolo è stato pubblicato su Social Europe il 15 settembre 2020

La traduzione è di Fulvio Perini

Gli autori

Asbjørn Wahl

Asbjørn Wahl è un sindacalista norvegese con una lunga esperienza nazionale e internazionale. Oggi ricercatore e consulente per il sindacato. È stato sino a poco tempo fa Presidente del Comitato per il trasporto urbano del sindacato internazionale dei lavoratori dei trasporti (ITF) e coordinatore del gruppo di lavoro sul cambio climatico.

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