Dunque la grande paura è passata.
Era legittima, perché la Toscana in mano alla Lega faceva veramente orrore e l’idea che il mio non-voto per Giani potesse contribuire – idea a cui non credevo ma che dentro di me circolava nelle notti nere – mi terrorizzava. Era una paura legittima ma anche, forse si può dire adesso, un po’ gonfiata da sondaggi fasulli, o di incompetenti o di interessati. D’Alimonte non è che ne esca benissimo.
In ogni caso – anche se le prime dichiarazioni di Giani in televisione mi sono sembrate un po’ comiche – avere fermato Salvini sia in Toscana sia in Puglia (e con un risultato pessimo di Italia Viva), di sicuro mi fa stare bene. La notte dopo il voto ho dormito tranquillo.
Meno bene mi sembra che nessuna opposizione di sinistra sia in Consiglio. Né una componente di sinistra nella maggioranza. Non credo, tuttavia, si possa fare la somma di Toscana a Sinistra e Sinistra Civica Ecologista, per dire che insieme sarebbero state quasi al 6%, perché una buona parte di elettori non avrebbe votato in alleanza con Renzi e un’altra buona parte non avrebbe accettato di stare fuori, col rischio di favorire la destra. Certo, sostenendo Giani, si sarebbe superato il 3% ed eletto qualcuno. Però sono sempre numeri che è difficile pensare possano fare la differenza. Anche perché con queste leggi elettorali a me pare che il Pd non abbia bisogno di fare mediazioni e accordi veri. La sua forza è presentarsi come l’unico argine alla destra mostruosa che abbiamo, contro cui tutti siamo chiamati a votare. Ed è un richiamo a cui è davvero difficile resistere. Troppo rischioso. Non voglio dire che sia una finzione o un’astuzia: sono le regole entro le quali ci muoviamo, un dato di fatto, che ha la forza della realtà.
A gennaio, prima delle elezioni emiliane, avevo detto a compagne e compagni di Firenze Città Aperta che forse non era il caso di partecipare alla campagna elettorale. Non ci sarebbe stato spazio davanti al pericolo di Salvini. Poi in Emilia era andata diversamente, inoltre mi era sembrato che nei mesi dell’emergenza il governo Conte si fosse mosso bene, avesse interpretato (sebbene in forma un po’ paternalistica) un sentimento collettivo e solidale che circolava miracolosamente in Italia; questo aveva messo un po’ nell’angolo la Lega e la sua cultura dell’odio.
Ma gli ultimi mesi hanno riportato il tema dei migranti untori che ci invadono, e riprodotto mediaticamente l’idea della Toscana in bilico, addirittura con Ceccardi in vantaggio. Allora niente da fare, occorre serrare le fila. Non si vota più per la rappresentanza, si vota per chi vince. Anzi, contro chi potrebbe vincere.
Ma non c’è da imprecare contro il destino cinico e baro. Dovevamo sapere che quando si va sul terreno elettorale si gioca sempre fuori casa e si gioca con arbitraggi modello Juve. I media mainstream fanno il loro mestiere e le sigle maggiori pure. Pensare che alle elezioni vinca il voto dei militanti, di chi sta nelle lotte e nei comitati, è una sciocchezza, e lo è sempre stata. Però non l’abbiamo ancora capito, mi sembra. Quello è un terreno politico fondamentale per difendere territori e diritti ma è molto diverso dalla competizione elettorale. Non a caso, nel passato, molti di quei comitati hanno votato per i grillini: più visibili e competitivi su quel terreno.
Per me la conclusione è che se una sinistra non liberista, etica, rispettosa dell’ambiente e delle relazioni umane può rinascere in Italia, non può partire dalle scadenze elettorali e dalle liste. Quello è un altro gioco, oggi una specie di infinito ballottaggio fra l’orrore e il meno peggio.
Una soggettività politica all’altezza della devastazione attuale dovrebbe esistere prima, partire da pratiche politiche più di fondo, in un certo senso esistenziali, di ricostruzione della polis, della comunità politica disgregata di oggi. Di un tessuto di relazioni che allontani la solitudine e la paura.
Il populismo si alimenta della scomparsa di un popolo, della sua polverizzazione rabbiosa. Penso occorra ripartire da lì, dal cuore del disastro. E c’è una notevole quantità di persone – me compreso – che dovrebbero dedicarsi ad altro e fare spazio a una generazione nuova, nella speranza che non sia definitivamente disincantata o disgustata. A me sembra che ancora esista questa possibilità. La vedo ogni tanto negli occhi di ragazze e ragazzi. Malgrado noi.
Per me è una conclusione amara, ma non amarissima. Ci sono un sacco di cose belle che si possono fare nella società, come mutualismo, dialogo e formazione, conflitto. Cose politiche.
Cose che possono aiutare da subito le persone, e dare un po’ di felicità.
“Per me la conclusione è che se una sinistra non liberista, etica, rispettosa dell’ambiente e delle relazioni umane può rinascere in Italia, non può partire dalle scadenze elettorali e dalle liste. Quello è un altro gioco, oggi una specie di infinito ballottaggio fra l’orrore e il meno peggio.
Una soggettività politica all’altezza della devastazione attuale dovrebbe esistere prima, partire da pratiche politiche più di fondo, in un certo senso esistenziali, di ricostruzione della polis, della comunità politica disgregata di oggi. Di un tessuto di relazioni che allontani la solitudine e la paura.”
Condivido integralmente!
Caro Andrea, penso che la tua riflessione è bella (come tante altre tue riflessioni), onesta e in gran parte condivisibile anche da parte mia: hai ragione quando dici che la ricostruzione della sinistra è affidata alla gioventù, ma aggiungo che – a mio parere – sarà possibile soltanto tramite il dialogo critico costruttivo rispettoso di opinioni e scelte diverse (con gli insulti ed il disprezzo di opinioni e scelte diverse.. la sinistra plurale è destinata non solo a dividersi ma anche a disprezzarsi a vicenda).